Fiabe dei Grimm

Le Fiabe dei Fratelli Grimm, originariamente compilate da Jacob e Wilhelm Grimm, sono una raccolta di racconti popolari senza tempo che incantano i lettori da secoli. Questi racconti sono un tesoro di folklore, con storie di coraggio, magia e moralità che risuonano attraverso le generazioni. Dai classici come ”Cenerentola”, ”Biancaneve” e ”Hansel e Gretel”, a gemme meno conosciute come ”Il Pescatore e sua Moglie” e ”Rumpelstiltskin”, ogni storia offre uno sguardo sulla ricca tessitura della tradizione orale europea. Le Fiabe dei Grimm sono caratterizzate dai loro personaggi vivaci, lezioni morali e spesso toni oscuri, riflettendo le dure realtà e gli elementi fantastici dei loro contesti storici. Il loro fascino duraturo risiede nella loro capacità di intrattenere, insegnare e ispirare meraviglia, facendole diventare una pietra miliare della letteratura per bambini e una fonte di fascinazione per studiosi di folklore e narrazione.

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Il contadinello

Tuesday Aug 13, 2024

Tuesday Aug 13, 2024

C'era un villaggio dove tutti i contadini erano ricchi, meno uno che chiamavano il contadinello. Egli non aveva neanche una mucca e men che meno denaro per comprarla; e dire che lui e sua moglie avrebbero tanto desiderato averla! Un giorno egli le disse: "Ascolta, ho una bell'idea: il nostro compare falegname ci farà un vitello di legno, verniciato di scuro, che sembri un vitello come gli altri; con il tempo crescerà e diventerà una mucca." Alla donna piacque l'idea, e il compare falegname formò e piallò per bene il vitello, lo verniciò come si conveniva e lo fece con la testa abbassata come se stesse mangiando.
Il mattino dopo, quando condussero le mucche al pascolo, il contadinello chiamò il pastore e gli disse: "Vedete, ho qui un vitellino, ma è ancora troppo piccolo e bisogna portarlo." - "Sta bene!" disse il pastore; lo prese in braccio, lo portò al pascolo e lo lasciò sul prato. Il vitellino stette sempre fermo come se mangiasse, e il pastore disse: "Ben presto sarà in grado di correr da solo: guarda come mangia!" La sera, quando fu ora di ricondurre il branco, disse al vitello: "Se sai stare qui a rimpinzarti, puoi anche andar con le tue gambe; non ho più voglia di portarti a casa in braccio." Ma il contadinello se ne stava sulla porta ad aspettare il suo vitellino; quando vide il pastore attraversare il villaggio senza il vitellino, gliene chiese notizie. Il pastore rispose: "E ancora là che mangia; non ha voluto smetterla per venire con noi." Ma il contadinello disse: "Storie! Io devo riavere la mia bestia." Ritornarono insieme nel prato, ma qualcuno doveva aver rubato il vitello perché‚ non c'era più. Disse il pastore: "Se ne sarà andato." Ma il contadinello disse: "Non la bevo!" e condusse davanti al sindaco il pastore che fu condannato per la sua negligenza e dovette dare al contadinello una mucca a risarcimento del vitello smarrito.
Finalmente il contadinello e sua moglie avevano la mucca tanto desiderata; si rallegrarono di cuore, ma non avevano mangime e non potevano nutrirla, perciò decisero di macellarla. Salarono la carne e il contadinello andò in città a vendere la pelle, per comperare con il ricavato un altro vitellino. Strada facendo giunse a un mulino dove trovò un corvo senz'ali; per pietà lo raccolse e lo avvolse nella pelle. Ma il tempo era tanto brutto, tirava vento e la bufera imperversava, sicché‚ egli, non potendo proseguire, tornò al mulino e chiese alloggio.
La mugnaia era sola in casa e disse al contadinello: "Sdraiati sulla paglia," e gli diede un po' di pane e formaggio. Il contadinello mangiò e si coricò con la sua pelle vicino; la mugnaia pensò: "Costui è stanco e dorme." In quella arrivò il prete, e la donna, accogliendolo con cortesia, disse: "Mio marito non c'è, possiamo far baldoria." Il contadinello tese le orecchie e, sentendo parlare di ristoro, si seccò che avesse dovuto accontentarsi di pane e formaggio. La donna intanto mise in tavola ogni ben di Dio: arrosto, insalata, focaccia e vino. Si erano appena seduti a tavola e stavano per mettersi a mangiare, quando da fuori bussarono alla porta. "Ah, Dio, è mio marito!" e in fretta nascose l'arrosto nel tegame, il vino sotto il guanciale, l'insalata nel letto, la focaccia sotto il letto e il prete nell'armadio. Poi aprì al marito e disse: "Dio sia lodato, sei qui!" Il mugnaio vide il contadinello disteso sulla paglia e domandò: "Che cosa vuole costui?" - "Ah," disse la moglie, "è arrivato durante la tempesta e ha chiesto ricovero; allora gli ho dato del pane e formaggio e gli ho detto di sdraiarsi sulla paglia." L'uomo disse: "Non ho nulla in contrario, dammi solo qualcosa da mangiare." La donna rispose: "Ho soltanto del pane e del formaggio." - "Da' pure," rispose l'uomo. Guardò il contadinello e disse: "Vieni a mangiare con me!" Il contadinello non se lo fece dire due volte, si alzò e mangiò con lui. Poi il mugnaio gli chiese: "Cos'hai lì nella pelle?" Il contadinello rispose: "C'è dentro un indovino." - "Può indovinare anche per me?" domandò il mugnaio. "Perché‚ no?" rispose il contadinello, "ma dice solo quattro cose e la quinta la tiene per se." Il mugnaio, incuriosito disse: "Fallo indovinare." Allora il contadinello premette il corvo sulla testa e quello gracchiò facendo 'crr, crr'. "Che ha detto?" domandò il mugnaio. Il contadinello rispose: "Per prima cosa ha detto che c'è del vino sotto il guanciale." - "Sarà roba del diavolo!" esclamò il mugnaio, andò e trovò il vino. "Continua!" soggiunse. Il contadinello fece di nuovo gracchiare il corvo e disse: "Secondo: ha detto che c'è dell'arrosto nel tegame." - "Sarà roba del diavolo!" esclamò il mugnaio, andò e trovò l'arrosto. Il contadinello interrogò ancora l'indovino e disse: -Terzo: ha detto che c'è dell'insalata nel letto-. -Sarà roba del diavolo!- esclamò il mugnaio, andò e trovò l'insalata. Infine il contadinello premette ancora una volta il corvo, facendolo gracchiare e disse: -Quarto: ha detto che c'è della focaccia sotto il letto-. -Sarà roba del diavolo!- esclamò il mugnaio, andò e trovò la focaccia. I due si sedettero insieme a tavola, ma la mugnaia aveva una gran paura; andò a letto e prese con s‚ tutte le chiavi. Il mugnaio avrebbe saputo volentieri anche la quinta cosa, ma il contadinello disse: -Prima mangiamo tranquillamente le altre quattro, perché‚ la quinta è sgradevole-. Mangiarono e poi contrattarono quanto dovesse pagare il mugnaio per il quinto pronostico, finché‚ si accordarono su trecento scudi. Allora il contadinello premette ancora una volta la testa del corvo che gracchiò forte. Il mugnaio domandò: -Che ha detto?-. Il contadinello rispose: -Ha detto che fuori, nell'armadio del corridoio c'è nascosto il diavolo-. Il mugnaio disse: -Il diavolo deve uscire!-. Spalancò la porta di casa, si fece dare le chiavi dalla moglie e il contadinello aprì l'armadio. Allora il prete corse fuori più in fretta che pot‚ e il mugnaio disse: -Ho visto una figura tutta nera!-. All'alba il contadinello se la svignò con i trecento scudi. Al villaggio il contadinello a poco a poco s'ingrandì costruendosi una bella casa, e i contadini dicevano: -Il contadinello è sicuramente stato dove nevica l'oro e lo si porta a casa a palate- Allora fu chiamato dal sindaco a render conto della sua ricchezza. Egli rispose: -In città ho venduto la pelle della mucca per trecento scudi-. Udendo questo i contadini vollero anch'essi approfittarne: corsero a casa, ammazzarono tutte le mucche e le scuoiarono per venderne la pelle in città a caro prezzo. Il sindaco disse: -Per prima andrà la mia serva- Quando questa giunse in città dal mercante, non ricavò più di tre scudi per una pelle e, quando arrivarono gli altri, il mercante diede loro ancora di meno dicendo: -Che cosa me ne faccio di tutte queste pelli?-. Allora i contadini si arrabbiarono, perché‚ il contadinello li aveva presi in giro; vollero vendicarsi e lo denunciarono per truffa davanti al sindaco.
Questi condannò il contadinello a morte: doveva essere gettato in acqua in una botte forata. Il contadinello fu condotto fuori e gli portarono un prete che doveva leggergli l'uffizio dei morti. Gli altri dovettero allontanarsi tutti e quando il contadinello guardò il prete riconobbe in lui quello che era stato dalla mugnaia. Così gli disse: -Io vi ho liberato dall'armadio, voi liberatemi dalla botte-. In quella passò di lì un pastore con le sue pecore; il contadinello, sapendo da un pezzo che egli desiderava diventare sindaco, gridò forte: -No, non lo faccio! Anche se tutto il mondo lo volesse, non lo faccio, no!-. All'udirlo, il pastore si avvicinò e chiese: -Che intendi dire, cos'è che non vuoi fare?-. Il contadinello rispose: -Vogliono farmi sindaco se entro nella botte, ma io non lo faccio!-. Il pecoraio disse: -E' tutto qui? Per diventare sindaco io ci entrerei subito-. Il contadinello disse: -Se ci entri diventi anche sindaco-. Il pastore acconsentì soddisfatto, entrò nella botte e il contadinello chiuse il coperchio; poi prese il gregge e lo condusse via. Il prete andò in municipio a dire che l'uffizio funebre era terminato. Allora andarono e rotolarono la botte in acqua. Quando la botte incominciò a rotolare, il pastore gridò: -Sono contento di diventare sindaco! Sono contento di diventare sindaco!-. Tutti credettero che si trattasse del contadinello e risposero: -Lo crediamo anche noi, ma prima devi dare un'occhiata là sotto!-. E gettarono la botte in acqua. Poi i contadini se ne andarono a casa e, quando giunsero al villaggio, videro arrivare il contadinello che, tutto contento, menava tranquillamente un branco di pecore. I contadini allibirono e dissero: -Contadinello da dove vieni? Dall'acqua forse?-. -Certo- rispose il contadinello -sono andato giù giù, finché‚ ho toccato il fondo. Ho sfondato la botte con un calcio e sono sgusciato fuori: c'erano dei bellissimi prati, dove pascolavano tanti agnelli, e ho portato il gregge con me.- I contadini dissero: -Ce ne sono ancora?-. -Oh sì- rispose il contadinello -più del vostro fabbisogno.- Andarono tutti insieme al fiume e nel cielo azzurro c'erano quelle nuvolette che si chiamano pecorelle e si specchiavano in acqua. I contadini gridarono: -Vediamo già le pecore sul fondo!-. Il sindaco si fece avanti e disse: -Scenderò per primo a dare un'occhiata; se tutto va bene vi chiamerò-. Si tuffò e l'acqua fece "plump!." Essi credettero che egli li chiamasse gridando: -Giù!- e tutti quanti si precipitarono dietro in gran fretta. Così il villaggio rimase disabitato e il contadinello, unico erede, divenne un uomo ricco.Questo episodio è offerto da Podbean.com.

I due fratelli

Tuesday Aug 13, 2024

Tuesday Aug 13, 2024

C'erano una volta due fratelli, uno ricco e uno povero. Il ricco era un orefice ed era malvagio; il povero invece campava facendo scope ed era buono e onesto. Quest'ultimo aveva due figli gemelli che si assomigliavano come due gocce d'acqua. I due ragazzi frequentavano la casa del ricco e, di tanto in tanto, toccava loro qualche avanzo. Un giorno che il pover'uomo era andato nel bosco a raccogliere rami secchi, vide un uccello tutto d'oro, bello come non gli era mai capitato di vederne. Prese un sassolino, glielo gettò e riuscì a colpirlo, ma cadde soltanto una penna d'oro e l'uccello fuggì via. L'uomo prese la piuma e la portò al fratello che la esaminò e disse: -E' oro puro- e in cambio gli diede parecchio denaro. Il giorno seguente, l'uomo salì su una betulla per tagliare qualche ramo quando, d'un tratto, vide levarsi dall'albero il medesimo uccello; si mise a cercare e trovò un nido con dentro un uovo d'oro. Prese l'uovo e lo portò nuovamente al fratello che ripeté‚: -E' oro puro- e glielo pagò il prezzo dovuto. Infine l'orefice disse: -Vorrei avere anche l'uccello-. Il pover'uomo si recò per la terza volta nel bosco e, di nuovo, vide l'uccello posato sull'albero; prese una pietra, lo abbatté‚ e lo portò al fratello che, in cambio, gli diede un bel gruzzolo di monete d'oro. "Così posso tirare avanti per un po' '' pensò, e se ne andò a casa tutto contento. L'orefice era furbo e accorto e sapeva bene di quale uccello si trattasse. Chiamò la moglie e le disse: -Arrostiscimi l'uccello d'oro, ma bada che non ne manchi neanche un pezzo: voglio mangiarmelo tutto intero-. L'uccello, infatti, non era un animale comune, ma era di una specie rara che, a mangiarne il cuore e il fegato, ogni mattina si trovava una moneta d'oro sotto il cuscino. La donna preparò l'uccello, l'infilzò con uno spiedo e lo fece arrostire. Ma mentre l'animale cuoceva sul fuoco, la donna fu costretta a uscire dalla cucina per sbrigare delle faccende; ed ecco entrare di corsa i due figli del povero fabbricante di scope, che si misero davanti allo spiedo e lo fecero girare un paio di volte. E siccome, proprio in quel momento, caddero nella padella due pezzettini, uno disse: -Possiamo ben mangiare quei due bocconcini! Io ho tanta fame, nessuno lo noterà-. E li mangiarono. Ma in quella arrivò la donna, e vedendo che stavano mangiando, disse: -Cosa avete mangiato?-. -I due piccoli pezzettini, caduti dall'uccello- risposero. -Erano il cuore e il fegato- esclamò la donna spaventata e, perché‚ il marito non andasse in collera, sgozzò in tutta fretta un galletto, gli prese il cuore e il fegato e li mise nell'uccello d'oro. Quando fu ben cotto, lo portò all'orefice che se lo mangiò tutto. Il mattino dopo egli pensava di trovare una moneta d'oro sotto il guanciale, e invece non trovò un bel niente. I due bambini erano ignari della fortuna che era loro toccata. Al mattino, quando si alzarono, qualcosa cadde a terra tintinnando: erano due monete d'oro. Essi le presero e le portarono al padre che disse stupito: -Com'è possibile?-. Ma quando, il giorno dopo, ne trovarono altre due e così ogni giorno, egli andò dal fratello e gli raccontò quella strana storia. L'orefice capì subito come stavano le cose, e che i bambini avevano mangiato il cuore e il fegato dell'uccello d'oro; allora, per vendicarsi, invidioso e perfido com'era disse al padre: -I tuoi bambini se l'intendono con il diavolo; non prendere il denaro e cacciali da casa, poiché‚ il diavolo li ha in suo potere e può portare anche te alla dannazione-. Il padre temeva il maligno, e, per quanto gli fosse penoso, condusse i due gemelli nel bosco e li abbandonò con il cuore grosso. I due bambini se ne andarono per il bosco qua e là, cercando la via di casa, ma non la trovarono e si persero sempre più. Finalmente incontrarono un cacciatore che domandò loro: -Chi siete, bambini?-. -Siamo i figli del povero fabbricante di scope- risposero; e gli raccontarono che il padre li aveva abbandonati perché‚ ogni mattina c'era una moneta d'oro sotto il loro guanciale. Il cacciatore era un buon uomo e, siccome i bambini gli piacevano ed egli non ne aveva, se li portò a casa dicendo: -Vi farò io da padre e vi alleverò-. Da lui impararono l'arte della caccia, e la moneta d'oro che ognuno trovava al risveglio fu messa da parte nel caso essi ne avessero avuto bisogno in futuro. Quando furono cresciuti, il padre adottivo li condusse un giorno nel bosco e disse: -Oggi dovete sparare voi stessi, perché‚ possa promuovervi cacciatori-. Si appostarono con lui e attesero a lungo, ma selvaggina non ne arrivava. D'un tratto il cacciatore alzò gli occhi e vide un gruppo di oche selvatiche che volavano disposte a triangolo; allora disse a uno dei ragazzi: -Abbattine una per angolo-. Egli eseguì l'ordine e superò il suo tiro di prova. Poco dopo arrivò un'altra fila di oche selvatiche, che volavano disposte come se raffigurassero il numero due; il cacciatore ordinò anche all'altro ragazzo di sparare abbattendone una per angolo, e anche questi superò la prova. Allora il cacciatore disse: -Ormai siete dei cacciatori provetti-. Poi i due fratelli se ne andarono insieme nel bosco, si consigliarono e concertarono insieme qualcosa. La sera, quando si sedettero a tavola per cena, dissero al padre adottivo: -Non tocchiamo cibo se prima non ci accordate un favore-. -Di che cosa si tratta?- chiese il padre. -Ora che siamo cacciatori- risposero -vorremmo provare a girare il mondo. Permetteteci, dunque, di partire!- Allora il vecchio disse, pieno di gioia: -Parlate da bravi cacciatori; non desideravo di meglio per voi, andate, avrete fortuna!-. Ciò detto, mangiarono e bevvero insieme allegramente. Quando giunse il giorno stabilito, il padre adottivo regalò a ciascuno un bello schioppo e un cane; inoltre lasciò che si servissero a piacer loro dell'oro risparmiato. Poi li accompagnò per un tratto di strada e, nel salutarli, diede loro un coltello lucente dicendo: -Se doveste separarvi, piantate questo coltello in un albero al bivio; così, quando uno di voi ritorna, può vedere com'è andata al fratello, poiché‚, la parte della lama rivolta verso la direzione presa dall'assente arrugginisce se egli muore; finché‚ vive, invece, rimane lucida-. I due fratelli proseguirono e arrivarono in un bosco così grande che era impossibile attraversarlo in un sol giorno. Così vi pernottarono e mangiarono quello che avevano messo nella bisaccia. Ma anche il giorno dopo, pur avendo camminato senza sosta, non riuscirono a uscire dal bosco. Siccome non avevano nulla da mangiare, uno disse: -Dovremmo ammazzare qualcosa, altrimenti patiremo la fame-. Caricò lo schioppo e si guardò intorno. Vide venire di corsa una vecchia lepre e prese la mira; ma la lepre gridò:-Caro cacciatore, se vivere potrò, volentieri due piccini ti darò.-Saltò nella macchia e portò due piccoli. Ma i leprotti giocavano così allegramente ed erano così graziosi, che i cacciatori non ebbero il coraggio di ucciderli. Perciò li tennero con s‚ e i leprotti li seguirono bravamente. Poco dopo, giunse una volpe; volevano spararle ma la volpe gridò:-Caro cacciatore, se vivere potrò, volentieri due piccini ti darò.-E portò due volpacchiotti; e anche questi i cacciatori non osarono ucciderli, li diedero per compagni ai leprotti, e tutti e quattro li seguirono. Poco dopo arrivò un lupo; i cacciatori stavano per sparare, ma anch'egli si salvò la vita gridando:-Caro cacciatore, se vivere potrò, volentieri due piccini ti darò.-I cacciatori misero i due lupacchiotti con gli altri animaletti, e tutti li seguirono. Poi venne un orso, e anch'egli non voleva che gli si sparasse e gridò:-Caro cacciatore, se vivere potrò, volentieri due piccini ti darò.-I cacciatori misero i due orsacchiotti con gli altri animali. E alla fine chi arrivò? Un leone. Questa volta uno dei due giovani prese la mira ma anche il leone disse:-Caro cacciatore, se vivere potrò, volentieri due piccini ti darò.- Ora i cacciatori avevano due leoni, due orsi, due lupi, due volpi, e due lepri che li seguivano pronti a servirli. Ma, nel frattempo, la fame non si era calmata; perciò dissero alle volpi: -Ascoltate, sornione, procurateci qualcosa da mangiare, voi che siete astute e maliziose-. -Non lontano da qui- risposero le volpi -c'è un villaggio dove abbiamo già preso diversi polli; vi mostreremo la strada.- Raggiunsero il villaggio, si comprarono qualcosa e fecero dar da mangiare anche ai loro animali; poi proseguirono. Le volpi continuarono a indicare ai cacciatori la buona strada, pratiche com'erano dei luoghi ove si trovavano dei pollai. Così vagabondarono per un po', ma non trovarono nessun posto dove potessero prestare servizio insieme.Allora dissero: -Non c'è altra soluzione, dobbiamo separarci-. Si divisero gli animali cosicché‚ ognuno aveva un leone, un orso, un lupo, una volpe e una lepre, poi si congedarono promettendosi amore fraterno fino alla morte e conficcarono in un albero il coltello donato dal padre adottivo; poi l'uno prese la strada verso oriente, l'altro verso occidente. Il più giovane giunse con i suoi animali in una città tutta parata a lutto. Entrò in una locanda e domandò all'oste se poteva dare alloggio alle sue bestie. L'oste li mise in una stalla che aveva un buco nella parete, così la lepre saltò fuori e andò a prendersi un cavolfiore, mentre la volpe si prese una gallina e, quando l'ebbe mangiata, andò a prendersi un gallo. Invece il lupo, l'orso e il leone non poterono uscire perché‚ erano troppo grossi. Allora l'oste li fece condurre in un prato dove c'era una mucca, e lasciò che si saziassero. Dopo aver provveduto alle sue bestie, il cacciatore chiese all'oste perché‚ la città fosse parata a lutto. L'oste rispose: -Perché‚ domani morirà l'unica figlia del nostro re-. -E' condannata da una malattia?- domandò il cacciatore. -No- rispose l'oste -è sanissima, tuttavia deve morire. Fuori dalla città c'è un'alta montagna sulla quale dimora un drago, che ogni anno deve avere una vergine, altrimenti devasta tutto il paese. Ormai gli sono state date tutte le vergini e non resta che la principessa. Non c'è speranza alcuna, deve essergli consegnata domani.- -Perché‚ non uccidete il drago?- chiese il cacciatore. -Ah- rispose l'oste -già tanti cavalieri hanno tentato, ma ci hanno rimesso la vita tutti. A chi ucciderà il drago, il re ha promesso che darà sua figlia in sposa e lo farà erede del regno.- Il cacciatore tacque, ma il mattino dopo prese i suoi animali e salì con essi sul monte del drago. Lassù trovò una chiesetta e sull'altare c'erano tre calici colmi con accanto la scritta: -Colui che vuoterà questi calici diventerà l'uomo più forte del mondo e brandirà la spada sotterrata davanti alla soglia-. Il cacciatore non bevve, uscì e cercò la spada sotto terra, senza tuttavia riuscire a smuoverla. Allora vuotò i calici e divenne forte a sufficienza per poter sollevare la spada e maneggiarla con facilità. Giunta l'ora in cui la principessa doveva essere consegnata al drago, il re, il maresciallo e i cortigiani l'accompagnarono fuori dalla città. Ella vide di lontano il cacciatore sulla cima del monte e, pensando che si trattasse del drago, non voleva più salire, ma alla fine dovette decidersi altrimenti l'intera città sarebbe stata perduta. Il re e i cortigiani se ne tornarono a casa profondamente addolorati, mentre il maresciallo dovette rimanere a sorvegliare che il drago portasse via la fanciulla. Quando la principessa giunse sulla montagna, non trovò il drago ad attenderla, bensì il giovane cacciatore. Egli la consolò dicendole che l'avrebbe salvata, poi la condusse nella chiesetta e ve la rinchiuse. Poco dopo, ecco arrivare con gran fracasso il drago dalle sette teste. Vedendo il cacciatore, si stupì e disse. -Che sei venuto a fare qui sul monte?-. Il cacciatore rispose: -Voglio combattere con te-. -Già tanti cavalieri hanno perso la vita- disse il drago -la spunterò anche con te!- E lanciò fuoco dalle sette fauci, per incendiare l'erba all'intorno e soffocare il cacciatore nella vampa e nel fumo. Ma le bestie accorsero e lo spensero subito con le zampe. Allora il drago si scagliò contro il cacciatore, ma questi brandì la spada risonante e gli tagliò tre teste. Allora il drago s'infuriò: si alzò in aria vomitando fiamme e tentando di avventarsi sul cacciatore, ma egli tornò a vibrar la spada e gli mozzò altre tre teste. Il mostro cadde sfinito eppure volle di nuovo lanciarsi contro il giovane che, con le ultime forze che gli restavano, gli mozzò la coda. Poi, incapace di lottare ancora, quest'ultimo chiamò le sue bestie perché‚ sbranassero il drago. Terminato il combattimento, il cacciatore aprì la chiesa e trovò la principessa distesa a terra, svenuta per la paura e l'angoscia. La portò fuori per farle riprendere i sensi e quand'ella aprì gli occhi, le mostrò il drago fatto a pezzi e le disse che era libera. Felice, ella esclamò: -Sarai il mio diletto, poiché‚ mio padre mi ha promessa a colui che avrebbe ucciso il drago- Poi si tolse la collana di corallo e la divise fra gli animali, e al leone toccò il fermaglietto d'oro. Invece al cacciatore diede il fazzoletto con il suo nome; ed egli andò a tagliare le lingue dalle sette teste del drago e le avvolse serbandole con cura. Fatto questo, poiché‚ era esausto per il fuoco e la lotta, disse alla fanciulla: -Siamo sfiniti tutti e due, dormiamo un po'!-. Ella acconsentì, si sdraiarono a terra e il cacciatore disse al leone: -Veglia, che nessuno ci sorprenda nel sonno!- e si addormentarono entrambi. Il leone si distese accanto a loro per vegliare, ma la lotta aveva stancato anche lui, perciò chiamò l'orso e gli disse: -Sdraiati accanto a me, io devo dormire un po'; se succede qualcosa chiamami-. L'orso gli si sdraiò accanto, ma anch'egli era stanco, perciò chiamò il lupo e disse. -Sdraiati accanto a me, io devo dormire un po'; se succede qualcosa chiamami.-. Il lupo gli si sdraiò accanto, ma era stanco anche lui, così chiamò la volpe e disse: -Sdraiati accanto a me io devo dormire un po'; se succede qualcosa chiamami-. La volpe gli si sdraiò accanto, ma anche lei era stanca, così chiamò la lepre e le disse: -Sdraiati accanto a me, io devo dormire un po'; se succede qualcosa chiamami-. La lepre le si sdraiò accanto, ma era stanca anche lei, poverina, e non poteva chiamare nessuno a fare la guardia; e si addormentò. Così dormivano la principessa, il cacciatore, il leone, l'orso, il lupo, la volpe e la lepre; e tutti quanti dormivano un sonno profondo. Ma il maresciallo, che aveva dovuto vigilare di lontano, non vedendo il drago volar via con la fanciulla, e poiché‚ sul monte tutto era tranquillo, si fece coraggio e salì. Lassù trovò il drago che giaceva a terra fatto a pezzi e, non molto lontano, c'era la principessa e un cacciatore con i suoi animali, tutti profonda mente addormentati. E poiché‚ egli era empio e malvagio, afferrò la spada e mozzò la testa al cacciatore; poi prese in braccio la fanciulla e la portò giù dal monte. Ella si svegliò e inorridì; ma il maresciallo disse: -Ormai sei nelle mie mani, devi dire che sono stato io a uccidere il drago-. -Non posso farlo- rispose ella -è stato un cacciatore con i suoi animali.- Allora egli trasse la spada e minacciò di ucciderla se non avesse obbedito; così la obbligò a dargli la propria parola. Poi la condusse dal re il quale non si teneva più dalla gioia, rivedendo la sua cara figliola che immaginava già uccisa dal mostro. Il maresciallo disse: -Ho ucciso il drago e liberato la fanciulla e il regno; perciò chiedo che ella mi sia data in moglie, secondo la promessa-. Il re domandò alla fanciulla: -E' vero ciò che dice?-. -Ah sì- rispose -ma desidero che le nozze non siano celebrate prima di un anno e un giorno.- Sperava infatti di sapere qualcosa del suo caro cacciatore, in quel periodo di tempo. Sul monte del drago gli animali dormivano ancora accanto al loro signore morto, quando arrivò un grosso calabrone che si posò sul naso della lepre; ma la lepre lo scacciò con la zampa e continuò a dormire. Il calabrone tornò una seconda volta, ma la lepre lo scacciò di nuovo e continuò a dormire. Allora tornò una terza volta e le punse il naso, svegliandola. Ella si svegliò e subito chiamò la volpe, la volpe il lupo, il lupo l'orso, e l'orso il leone. E quando il leone si svegliò e vide che la fanciulla non c'era più e che il suo signore era morto, si mise a ruggire terribilmente e gridò: -Chi ha fatto questo? Orso, perché‚ non mi hai svegliato?-. L'orso chiese al lupo: -Perché‚ non mi hai svegliato?- e il lupo alla volpe: -Perché‚ non mi hai svegliato?- e la volpe alla lepre: -Perché‚ non mi hai svegliato?-. Ma la povera lepre non seppe cosa rispondere, e la colpa ricadde su di lei. Volevano saltarle tutti addosso, ma ella li supplicò dicendo: -Non uccidetemi, restituirò la vita al nostro padrone. Conosco un monte sul quale cresce una radice che, a metterla in bocca, guarisce ogni malattia e ogni ferita. Ma la montagna si trova a duecento ore da qui-. Il leone disse: -In ventiquattr'ore devi andare e tornare con la radice-. La lepre corse via e ritornò dopo ventiquattr'ore con la radice. Il leone mise la testa del cacciatore sul tronco, e la lepre gli mise in bocca la radice; i pezzi si ricongiunsero all'istante, il cuore ricominciò a battere e la vita tornò in lui. Il cacciatore si svegliò e, non vedendo la fanciulla accanto a s‚, pensò: "E' fuggita mentre dormivo per liberarsi di me." Nella fretta, il leone gli aveva messo la testa al contrario, senza che egli se ne accorgesse, assorto com'era nei suoi tristi pensieri. Ma, a mezzogiorno, quando volle mangiare qualcosa vide che aveva la faccia di dietro, non riuscendo a capire il perché‚ domandò agli animali che cosa mai gli fosse successo mentre dormiva. Allora il leone gli raccontò che anche loro si erano addormentati e, al risveglio, lo avevano trovato morto con la testa mozza; la lepre era però andata a prendere la radice della vita e lui, nella fretta, gli aveva messo la testa nel verso sbagliato; ma avrebbe rimediato all'errore. Gliela strappò di nuovo, la girò, e la lepre la fissò con la radice. Ma il cacciatore era triste; non volle più tornare in città e se ne andò in giro per il mondo, facendo ballare le sue bestie in pubblico. Era trascorso proprio un anno quando gli capitò di ritornare là dove aveva liberato la principessa dal drago e, questa volta, la città era parata di scarlatto. -Cosa significa?- chiese all'oste. -Un anno fa la città era parata con nastri neri, perché‚ mai oggi vi sono paramenti rossi?- L'oste rispose: -Un anno fa, la figlia del nostro re doveva essere sacrificata al drago; ma il maresciallo l'ha ucciso, e domani saranno festeggiate le loro nozze: allora la città era, dunque, parata a lutto, mentre oggi è parata di rosso in segno di gioia-. Il giorno delle nozze, il cacciatore disse all'oste a mezzogiorno: -Ci crede, signor oste, che oggi mangerò pane della tavola reale?-. -Sì- rispose l'oste -e io ci scommetto cento monete d'oro che non è vero.- Il cacciatore accettò la scommessa e giocò una borsa con altrettante monete. Poi chiamò la lepre e disse: -Va', tu che sei destra nel saltare, e portami un po' del pane che mangia il re-. Il leprottino era il più piccolo degli animali e non poteva passare l'incarico a un altro, perciò dovette incamminarsi. "Ah" pensava "ad andarmene così solo in giro per le strade, i cani mi correranno dietro!" E infatti aveva ragione: i cani lo inseguivano per rammendargli la pelliccia! Ma egli, in men che non si dica, spiccò il balzo e andò a nascondersi in una garitta, senza che il soldato se ne accorgesse. Arrivarono i cani a scovarlo, ma al soldato non garbò l'affare e si mise a dar botte con il calcio del fucile, sicché‚ scapparono urlando. Il leprotto ebbe così via libera; corse al castello, andò a mettersi proprio sotto la sedia della principessa e le grattò il piede. -Va' via!- diss'ella pensando che fosse il suo cane. La lepre le grattò di nuovo il piede ed ella ripeté‚: -Va' via!- credendo che fosse il cane. Ma la lepre non si lasciò confondere e grattò per la terza volta; ella abbassò gli occhi e, dalla collana, riconobbe la lepre. Allora prese l'animale in grembo, lo portò nella sua camera e disse: -Cara lepre, cosa vuoi?-. La lepre rispose: -Il mio signore, quello che ha ucciso il drago, è qui e mi manda a chiedere un pane, di quello che mangia il re-. Piena di gioia, ella fece chiamare il fornaio e gli ordinò di portare un pane, di quello che mangiava il re. -Ma il fornaio deve anche portarmelo- disse il leprottino -perché‚ i cani non mi facciano nulla.- Il fornaio glielo portò fino alla porta dell'osteria; poi la lepre si mise sulle zampe posteriori, prese il pane con quelle anteriori e lo portò al suo padrone. Il cacciatore disse: -Vede, signor oste? Le cento monete d'oro sono mie-. L'oste si meravigliò, ma il cacciatore aggiunse: -Sì, signor oste, ho avuto il pane, ma adesso voglio mangiare anche l'arrosto del re-. -Voglio proprio vedere- replicò l'oste, ma non volle più scommettere. Il cacciatore chiamò la volpe e le disse: -Volpicina mia, va' e portami un po' di arrosto, di quello che mangia il re-. Pelo Rosso la sapeva più lunga, sgattaiolò di qua e di là senza che neanche un cane la vedesse, andò a infilarsi sotto la sedia della principessa e le grattò il piede. Ella guardò giù e riconobbe la volpe dalla collana; se la portò in camera e disse: -Cara volpe cosa vuoi?-. La volpe rispose: -Il mio signore, quello che ha ucciso il drago, è qui e mi manda a chiedere un po' di arrosto di quello che mangia il re-. La principessa fece venire il cuoco che dovette preparare un arrosto come quello del re, e portarlo fino alla porta dell'osteria; poi la volpe gli prese il piatto e lo portò al suo signore. -Vede, signor oste?- disse il cacciatore. -Pane e carne sono qua, ma ora voglio anche la verdura, di quella che mangia il re.- Allora chiamò il lupo e gli disse: -Caro lupo, va' e portami un po' di verdura, di quella che mangia il re-. Il lupo che non aveva paura di nessuno, andò dritto al castello e, quando arrivò nella stanza dov'era la principessa, la tirò per la veste perché‚ si voltasse. Ella lo riconobbe dalla collana, se lo portò in camera e disse: -Caro lupo, cosa vuoi?-. Il lupo rispose: -Il mio signore, quello che ha ucciso il drago, è qui e mi manda a chieder un po' di verdura, di quella che mangia il re- Allora ella mandò a chiamare il cuoco che dovette preparare della verdura come quella che mangiava il re, e portarla fino alla porta dell'osteria; poi il lupo prese il piatto e lo portò al suo signore. -Vede, signor oste?- disse il cacciatore. -Ora ho pane, carne e verdura, ma voglio anche il dolce, come lo mangia il re.- Chiamò l'orso e gli disse: -Caro orso, tu ti ingozzi volentieri di dolci, va' e prendimene un po' di quelli che mangia il re-. L'orso trottò fino al castello, e tutti lo evitavano, ma quando giunse davanti al corpo di guardia, gli puntarono contro il fucile e non volevano lasciarlo passare. Allora l'orso si rizzò e con le zampe assegnò un paio di schiaffi a destra e a sinistra, sicché‚ tutto il corpo di guardia cadde a terra; poi se ne andò dritto dalla principessa, si fermò dietro di lei e brontolò un po' Ella si volse, riconobbe l'orso, lo introdusse nella sua camera e gli disse: -Caro orso, cosa vuoi?-. L'orso rispose: -Il mio signore, quello che ha ucciso il drago, è qui e mi manda a chiedere un dolce, di quelli che mangia il re.- Allora ella fece chiamare il pasticcere che dovette preparare un dolce come quelli che mangiava il re, e portarlo fino all'osteria; poi l'orso si rizzò sulle zampe di dietro, prese il piatto e lo portò al suo padrone che disse: -Vede, signor oste, ora ho pane, carne, verdura e dolce, ma adesso voglio anche il vino del re-. Chiamò il leone e disse: -Caro leone, tu che bevi volentieri, va' a prendermi un po' di vino, di quello che beve il re-. Il leone si mise in cammino e la gente scappava al vederlo; e quando giunse al corpo di guardia, volevano sbarrargli il passaggio; ma bastò un ruggito e filarono via tutti quanti. Il leone andò alla sala del trono e bussò alla porta con la coda. La principessa uscì e, vedendolo, per poco non si spaventò, ma poi lo riconobbe dal fermaglio d'oro della sua collana, lo condusse in camera sua e disse: -Caro leone, cosa vuoi?-. Il leone rispose: -Il mio signore, quello che ha ucciso il drago, è qui e mi manda a chiedere un po' di vino, di quello che beve il re-. Allora ella fece chiamare il coppiere perché‚ desse al leone un po' di vino, di quello che beveva il re. Ma il leone disse: -Andrò anch'io a controllare che mi dia quello buono-. Scese con il coppiere e, quando furono in cantina, questi voleva spillargli del vino comune, di quello che bevono i servi; ma il leone disse: -Fermo lì, prima voglio assaggiarlo-. Se ne spillò mezzo boccale e lo bevve in un sorso. -No- disse -non è quello buono.- Il coppiere lo guardò storto, ma andò a prenderne da un'altra botte, che era quella del maresciallo. Disse il leone: -Fermo lì, prima voglio assaggiarlo-. Se ne spillò un mezzo boccale e lo bevve. -Questo è migliore, ma non è ancora quello buono.- Allora il coppiere si arrabbiò e disse: -Cosa vuol saperne di vino una bestia!-. Ma il leone gli assestò una botta dietro le orecchie che lo fece cadere malamente a terra; e quando si rialzò lo condusse in silenzio in una cantina a parte, dove si trovava il vino del re, che a nessun altro era concesso di bere. Il leone ne spillò mezzo boccale, lo assaggiò e disse: -Questo sì che è buono- e ordinò al coppiere di riempirgliene sei bottiglie. Poi salirono di sopra ma quando il leone si trovò all'aperto, barcollava, un po' brillo, e il coppiere dovette così portargli il vino fino alla porta dell'osteria; poi il leone prese il cesto e lo portò al suo padrone. Il cacciatore disse: -Vede, signor oste? Ora ho pane, carne, verdura, dolce e vino, come il re; adesso mangerò con le mie bestie-. Si mise a tavola, mangiò e bevve e diede da mangiare e da bere anche alla lepre, alla volpe, al lupo, all'orso e al leone, ed era tutto contento perché‚ capiva che la principessa lo amava ancora. Quand'ebbe terminato di mangiare, disse: -Signor oste, ho mangiato e bevuto come mangia e beve il re; ora andrò a corte e sposerò la principessa-. L'oste domandò: -Com'è possibile, dato che ha già un fidanzato e oggi si sposeranno?-. Il cacciatore allora tirò fuori il fazzoletto che gli aveva dato la principessa sul monte del drago e in cui si trovavano avvolte le sette lingue del mostro, e disse: -Mi aiuterà ciò che tengo in mano-. L'oste guardò il fazzoletto e disse: -Potrei credere a tutto, ma non a questo, e sarei pronto a giocarmi tutto quel che posseggo-. Ma il cacciatore prese una borsa di monete d'oro, la mise sulla tavola e disse: -E io mi gioco questa-. Nel frattempo alla tavola reale il re disse alla figlia: -Che cosa volevano da te tutte quelle bestie che sono entrate e uscite dal mio castello?-. Ella rispose: -Non posso dirlo, ma mandate a chiamare il loro padrone: sarà cosa ben fatta-. Il re mandò un servo alla locanda a invitare il forestiero, e il servo arrivò proprio quando il cacciatore e l'oste stavano scommettendo. Allora il cacciatore disse: -Vede, signor oste? Il re manda un servo a invitarmi, ma io non ci vado ancora-. Poi disse al servo: -Di' al re che lo prego di mandarmi abiti regali, una carrozza con sei cavalli, e dei servi ai miei ordini-. Quando il re udì la risposta, disse alla figlia: -Cosa devo fare?-. Ella disse: -Mandatelo a prendere come desidera: sarà cosa ben fatta-. Allora il re mandò abiti regali, una carrozza con sei cavalli e dei servi ai suoi ordini. Vedendoli arrivare, il cacciatore disse: -Vede, signor oste? Vengono a prendermi come voglio io-. Indossò gli abiti regali, prese il fazzoletto con le lingue del drago e si recò dal re. Vedendolo venire, il re disse alla figlia: -Come devo riceverlo?-. Ella rispose: -Andategli incontro: sarà cosa ben fatta-. Allora il re gli andò incontro e lo fece salire, con tutti i suoi animali. Gli indicò un posto accanto a s‚ e a sua figlia, mentre il maresciallo, in qualità di sposo, si sedette dall'altra parte, senza riconoscere il cacciatore. Proprio in quel momento furono portate le sette teste del drago e il re disse: -Queste teste le ha mozzate il maresciallo, per questo oggi gli darò mia figlia in isposa-. Allora il cacciatore si alzò in piedi, aprì le sette fauci e disse: -Dove sono le sette lingue del drago?-. Il maresciallo sbalordì e si fece pallido non sapendo che cosa rispondere; infine disse turbato: -I draghi non hanno lingua-. -Coloro che mentono non dovrebbero averla- esclamò il cacciatore -ma le lingue del drago sono il segno del vincitore.- Sciolse il fazzoletto, dov'erano tutte e sette, e in ogni fauce mise una lingua che combaciò perfettamente. Poi prese il fazzoletto, sul quale era ricamato il nome della principessa, lo mostrò alla fanciulla, e le domandò a chi l'avesse dato. Ella rispose: -A chi ha ucciso il drago-. Poi egli chiamò le sue bestie, a ciascuna tolse la collana e al leone tolse il fermaglio d'oro, li mostrò alla principessa chiedendole a chi appartenessero. Ella rispose: -Sono miei; ho diviso la collana fra gli animali che aiutarono a sconfiggere il drago-. Allora il cacciatore disse: -Mentre dormivo, spossato dal combattimento, è giunto il maresciallo che mi ha mozzato la testa, e ha portato via la principessa dando a credere di essere stato lui a uccidere il drago. Ma che abbia mentito, lo dimostrano le lingue, il fazzoletto e la collana-. E raccontò come le sue bestie l'avevano risanato grazie a una radice miracolosa e che, con loro, aveva girovagato per un anno; infine, ritornato, aveva appreso l'inganno del maresciallo dall'oste. Allora il re chiese alla figlia: -E' vero che costui ha ucciso il drago?-. -Sì, è vero- rispose ella. -Ora posso finalmente rivelare la scelleratezza del maresciallo, dato che è venuta alla luce senza il mio aiuto; egli mi aveva infatti costretta a promettergli di tacere. Per questo ho voluto che le nozze non fossero celebrate prima di un anno e un giorno.- Allora il re fece chiamare dodici consiglieri che dovettero pronunciarsi sulla sorte del maresciallo e sentenziarono che fosse squartato da quattro buoi. Così il maresciallo fu giustiziato, e il re diede la figlia in isposa al cacciatore e lo nominò suo luogotenente in tutto il regno. Le nozze furono festeggiate con grande gioia, e il giovane re mandò a prendere suo padre e il padre adottivo e li colmò di ogni bene. Non dimenticò neanche l'oste; lo fece chiamare e gli disse: -Vede, signor oste? Ho sposato la principessa, perciò ogni Suo avere è mio- -Sì- rispose l'oste -sarebbe giusto.- Ma il giovane re disse: -Invece Le farò grazia: terrà il Suo avere e le regalerò anche le mille monete d'oro-. Ora il giovane re e la regina vivevano insieme felici e contenti. Egli si recava spesso a caccia, essendo per lui il miglior divertimento, e le bestie lo accompagnavano. Nelle vicinanze, c'era un bosco che si diceva fosse incantato: chi vi entrava non ne usciva tanto facilmente. Ma il giovane aveva tanta voglia di andarvi a cacciare, che non lasciò in pace il vecchio re finché‚ questi non gli accordò il suo permesso. Così partì a cavallo con un seguito numeroso ma, quando giunse nel bosco, vide una cerva bianca come la neve, e disse ai suoi: -Fermatevi qui finché‚ non sarò di ritorno, voglio cacciare quel bell'animale- e lo rincorse a cavallo, addentrandosi nel bosco, seguito soltanto dalle sue bestie. Gli uomini del seguito lo aspettarono fino a sera, ma egli non tornò; allora rientrarono al castello e raccontarono alla giovane regina: -Il giovane re ha inseguito una cerva bianca nel bosco incantato e non ha più fatto ritorno-. Ella era in grande apprensione, ma egli aveva rincorso a cavallo il bell'animale, senza poterlo mai raggiungere; quando pensava che fosse a tiro, eccolo di nuovo distante, finché‚ sparì del tutto. Accortosi di essersi addentrato nel più folto del bosco, prese il corno e lo suonò, ma non ricevette risposta poiché‚ il suo seguito non poteva udirlo. Calarono le tenebre ed egli vide che per quel giorno non poteva fare ritorno a casa; scese da cavallo e si accese un fuoco sotto un albero, per passarvi la notte. Mentre se ne stava accanto al fuoco con le bestie distese vicino, gli parve di udire una voce umana; si guardò attorno ma non riuscì a scorgere nessuno. Poco dopo tornò a udire un gemito che pareva provenire dall'alto; alzò gli occhi e vide una vecchia seduta sull'albero, che si lamentava dicendo: -Uh, uh, uh, che freddo!-. Egli disse: -Scendi a scaldarti, se hai freddo-. Ma ella replicò: -No, le tue bestie mi mordono-. -Non ti fanno niente, nonnina- disse egli -vieni pure giù.- Ma ella era una strega e disse: -Ti getterò una bacchetta; se li tocchi con quella sul dorso, non mi faranno niente-. Gli gettò una bacchetta, e con quella egli toccò le bestie, che subito giacquero immobili, trasformate in pietra. Quando la strega non ebbe più paura degli animali, saltò giù e toccò anche lui con una bacchetta trasformandolo in pietra. Poi, ridendo, lo trascinò con i suoi animali in una fossa, dove c'erano già altre pietre di quella sorta. Il giovane re non tornava mai e la paura e la preoccupazione della regina aumentavano sempre di più. Ora avvenne che proprio in quel tempo giunse nel regno l'altro fratello che, al momento della separazione, se ne era andato verso oriente. Aveva cercato invano un lavoro, poi aveva girato qua e là facendo ballare le sue bestie. Un giorno gli venne in mente, per sapere come stesse suo fratello, di andare a vedere il coltello che, nel separarsi, essi avevano conficcato nell'albero. Quando giunse al bivio vide che, dalla parte del fratello, la lama era per metà arrugginita e per metà ancora lucida. Spaventato, egli pensò: "A mio fratello deve essere accaduta una terribile disgrazia, ma forse posso ancora salvarlo, perché‚ la lama è ancora lucida a metà." E si mise in cammino verso occidente. Quando giunse alla porta della città, gli venne incontro la sentinella domandandogli se doveva annunciare alla moglie il suo arrivo: già da un paio di giorni la giovane regina era in ansia per la sua assenza, temendo che fosse perito nel bosco incantato. La sentinella credeva infatti che si trattasse del giovane re in persona tanto gli assomigliava, anch'egli seguito dagli animali. Egli comprese così che si trattava del fratello e pensò: "E' meglio che mi faccia passare per lui, così potrò forse salvarlo più facilmente." Si fece, dunque, accompagnare dalla sentinella al castello, dove fu ricevuto con gran gioia. La giovane regina credette che fosse il suo sposo, ed egli le raccontò di essersi smarrito nel bosco senza sapere come uscirne. La sera fu condotto al letto regale, ma fra s‚ e la giovane regina mise una spada a due tagli; ella non comprese il perché‚, ma non osò fare domande. Egli rimase là un paio di giorni, cercando di scoprire tutto ciò che riguardava il bosco incantato; alla fine disse: -Voglio andare di nuovo a cacciare laggiù-. Il re e la giovane regina volevano dissuaderlo, ma egli insistette e partì con un gran seguito. Quando giunse nel bosco vide anche lui la cerva bianca e disse ai suoi: -Rimanete qui ad aspettarmi finché‚ non sarò di ritorno, voglio cacciare quel bell'animale- ed entrò nel bosco seguito dalle sue bestie. Gli accadde lo stesso che al fratello: non pot‚ raggiungere la cerva bianca e si addentrò tanto nel bosco che fu costretto a pernottarvi. Quand'ebbe acceso un fuoco, udì gemere dall'alto: -Uh, uh, uh, che freddo!-. Alzò gli occhi e vide la strega sull'albero. -Se hai freddo- disse -scendi a scaldarti, nonnina.- Ma ella rispose: -No, le tue bestie mi mordono-. -Non ti fanno niente- disse egli. La strega replicò: -Ti getterò una bacchetta; se li tocchi con quella, non mi fanno niente-. Ma il cacciatore diffidò delle sue parole e disse: -Le mie bestie non le tocco; vieni giù o vengo a prenderti!-. Ella gridò: -Cosa credi? tanto non puoi farmi nulla!-. Ma egli rispose: -Se non scendi, sparo-. Ella disse: -Spara pure, le pallottole non mi faranno nulla-. Egli prese la mira e sparò, ma la strega era invulnerabile al piombo; diede una risata stridula e gridò: -Non riuscirai a colpirmi!-. Ma il cacciatore la sapeva lunga: strappò dalla giubba tre bottoni d'argento e li mise nello schioppo poiché‚ contro l'argento le arti della strega erano vane; e, quando sparò, ella precipitò a terra urlando. Allora egli disse, tenendola ferma con un piede: -Vecchia strega, se non confessi subito dov'è mio fratello, ti prendo e ti butto nel fuoco-. Piena di paura, ella chiese grazia e disse: -E' in una fossa, insieme alle sue bestie, trasformato in pietra-. Egli la costrinse ad accompagnarlo dicendo: -Vecchio gattomammone, adesso ridesti mio fratello e tutti coloro che sono qui dentro, o finisci nel fuoco-. Ella prese una bacchetta e toccò le pietre: il fratello si ridestò, insieme ai suoi animali, e così tanta altra gente si alzò: mercanti, artigiani e pastori, lo ringraziarono per averli liberati e se ne tornarono a casa. I due fratelli si baciarono, felici di rivedersi. Poi afferrarono la strega, la legarono e la buttarono nel fuoco, e, quando fu bruciata, il bosco si aprì, facendosi chiaro e luminoso, sicché‚ si poteva vedere il castello reale, a tre ore di cammino. I due fratelli ritornarono a casa insieme e, per via, si raccontarono le loro avventure. E quando il più giovane disse di essere il luogotenente del re, l'altro aggiunse: -Me ne sono accorto! Quando sono arrivato in città, infatti, mi hanno scambiato per te e sono stato trattato con tutti gli onori: la giovane regina mi ha creduto il suo sposo e ho dovuto mangiare al suo fianco e dormir nel tuo letto-. All'udir queste parole, il fratello, geloso e furente, trasse la spada e gli tagliò la testa. Ma quando giacque a terra morto, ed egli ne vide scorrere il sangue vermiglio, si pentì amaramente e disse: -Mio fratello mi ha liberato dall'incantesimo, e io l'ho ucciso!- e si lamentava a gran voce. Allora venne la sua lepre e gli disse che sarebbe andata a prendere la radice miracolosa. Corse via e la portò ancora in tempo: il morto fu risuscitato e non s'accorse affatto della ferita. Proseguirono il cammino e il giovane disse: -Tu hai il mio aspetto, indossi vesti regali come me e, come me, hai delle bestie al tuo seguito: entriamo in città da due porte opposte e presentiamoci insieme al vecchio re-. Si separarono e al vecchio re si presentarono nello stesso momento, le sentinelle dell'una e dell'altra porta, ad annunciargli che il giovane re era tornato dalla caccia con i suoi animali. Il re disse: -Non è possibile, le porte distano un'ora l'una dall'altra-. Ma in quella, i due fratelli entrarono da parti opposte nel cortile del castello e salirono insieme. Allora il re disse a sua figlia: -Dimmi dunque qual è tuo marito. Si somiglian tanto ch'io non potrei dirlo-. Ella era in grande imbarazzo e non avrebbe saputo dirlo, quando le venne in mente la collana che aveva dato agli animali. Vide al collo di uno dei leoni il fermaglio d'oro, ed esclamò tutta contenta: -Il padrone di questo leone è il mio vero sposo-. Il giovane re si mise a ridere e disse: -Sì, è proprio vero!-. Sedettero a tavola tutti insieme e mangiarono e bevvero allegramente. La sera, quando il giovane re andò a letto, sua moglie gli disse: -Perché‚ le notti scorse hai sempre messo nel nostro letto una spada a due tagli? Ho creduto che volessi uccidermi-. Allora egli capì come il fratello gli fosse stato fedele.Questo episodio è offerto da Podbean.com.

Federico e Caterinella

Tuesday Aug 13, 2024

Tuesday Aug 13, 2024

C'era un uomo che si chiamava Federico, e una donna che si chiamava Caterinella; si erano sposati e vivevano insieme da sposi novelli. Un giorno Federico disse: "Adesso vado nel campo, Caterinella; quando ritorno deve esserci in tavola qualcosa di arrostito per la fame, e una bevanda fresca per la sete." - "Va' pure, Richetto," rispose Caterinella, "va' pure, farò tutto quanto." Quando si avvicinò l'ora del pranzo, staccò una salsiccia dal camino, la pose in una padella con un po' di burro e la mise sul fuoco. La salsiccia incominciò a friggere e sfrigolare, mentre Caterinella se ne stava lì, soprappensiero, tenendo il manico della padella; d'un tratto le venne in mente: Intanto che la salsiccia cuoce, potresti spillare la birra in cantina. Così assicurò il manico della padella, prese un boccale e scese in cantina a spillar birra. La birra veniva giù nel boccale e Caterinella stava a guardarla; d'un tratto le venne in mente: Ohi, non sarà mica entrato il cane di sopra, che mi porti via la salsiccia dalla padella? Sarebbe il colmo! e si precipitò su per le scale. Ma il birbante aveva già la salsiccia in bocca e se la trascinava per terra. Caterinella si mise a inseguirlo e lo rincorse per un bel tratto nei campi, ma il cane era più veloce di lei e non mollò neppure la salsiccia che gli saltellava dietro. "Quel che è stato è stato!" disse Caterinella; si voltò e, siccome era stanca per la corsa, si mise a camminare tranquillamente, asciugandosi il sudore. Nel frattempo la birra continuava a uscire dalla botte, perché‚ la donna non aveva chiuso il rubinetto; e quando il boccale fu pieno, e altro posto non c'era la birra incominciò a scorrere in giro per la cantina, finché‚ la botte fu vuota. Caterinella era ancora sulla scala, e già si accorse della disgrazia. "Accidenti," gridò. "Che fare perché‚ Federico non se ne accorga?" Pensò un po'; infine le venne in mente che dall'ultima sagra c'era ancora in solaio un sacco di bella farina di frumento, poteva andare a prenderlo e spargerlo sulla birra. "Sì," disse, "ogni cosa ritirata, quando serve è già trovata!" Andò così a prendere il sacco in solaio, lo portò giù e lo buttò proprio sul boccale pieno che si rovesciò spandendo la birra di Federico per la cantina. "Benone!" disse Caterinella, "dov'è l'uno dev'esserci anche l'altro." E sparse dappertutto la farina. Quand'ebbe finito, disse, tutta contenta del proprio lavoro: "Com'è bello, lucido e pulito!"
A mezzogiorno tornò a casa Federico. "Allora, moglie, cosa mi hai preparato?" - "Ah, Richetto," rispose ella, "volevo arrostirti una salsiccia, ma il cane l'ha portata via mentre io spillavo la birra; e mentre rincorrevo il cane, la birra si è rovesciata; e mentre asciugavo la birra con la farina, ho rovesciato anche il boccale; in compenso la cantina è bell'asciutta adesso!" Federico disse: "Caterinella, Caterinella, non dovevi farlo! ti fai rubare la salsiccia, lasci aperto il rubinetto della botte, e per di più ci butti sopra la farina!" - "Già, Richetto, non lo sapevo, avresti dovuto dirmelo!"
L'uomo pensò: Con una simile moglie, devi essere più accorto. Aveva messo insieme una bella somma di denaro, e pensò, così, di cambiarlo in oro e disse a Caterinella: "Guarda, sono cicerchie gialle: le metto in una pentola e le sotterro nella stalla sotto la mangiatoia; ma tu stanne alla larga o te ne pentirai." - "No, Richetto," diss'ella, "non le toccherò di certo." Quando Federico se ne fu andato, arrivarono dei mercanti nel villaggio che vendevano tegami e pentole di terra, e domandarono alla giovane sposa se intendeva comprarne. "Brava gente," disse Caterinella, "io non ho denaro e non posso comprare nulla, a meno che non vi servano delle cicerchie gialle." - "Cicerchie gialle? e perché‚ no? Fatecele vedere," risposero i mercanti. "Andate nella stalla e scavate sotto la mangiatoia: le troverete lì: io non posso andarci." I furfanti andarono a scavare e trovarono oro puro; lo presero e tagliarono la corda, lasciando in casa pentole e tegami. Caterinella pensò di usare le pentole in qualche maniera e, poiché‚ in cucina ne aveva a sufficienza, le sfondò e infilò per ornamento sui pali della staccionata tutt'intorno alla casa. Quando Federico rincasò e vide quella decorazione, disse: "Cos'hai fatto, Caterinella?" - "Le ho comprate, Richetto, con le cicerchie gialle nascoste sotto la mangiatoia. Io non ci sono andata, i venditori hanno dovuto dissotterrarsele da s'" - "Ah, moglie," esclamò Federico, "che hai fatto! non erano delle cicerchie, ma oro puro, ed era tutto il nostro avere! Non avresti dovuto farlo!" - "Sì, Richetto," rispose ella, "ma non lo sapevo, dovevi dirmelo prima."
Caterinella stette un po' a pensare, poi disse: "Ascolta, Richetto, riusciremo ad avere di nuovo il nostro denaro: corriamo dietro ai ladri." - "Vieni," disse Federico, "proviamo, ma prendi con te burro e formaggio, per avere qualcosa da mangiare per strada." - "Sì, Richetto, lo prenderò." Si misero in cammino e, siccome Federico era una buona gamba, Caterinella rimase indietro. Che importa, pensò, quando torniamo indietro avrò già fatto un pezzo di strada! Arrivò a un monte, e ai due lati della strada c'erano dei solchi profondi. "Ma guarda un po'," disse Caterinella, "come hanno rotto, sbucciato e schiacciato questo povero terreno! non guarirà mai più." E, con cuore pietoso, prese il burro e lo spalmò sulle carreggiate a destra e a sinistra, perché‚ non fossero schiacciate dalle ruote; ma, mentre si chinava in quel gesto misericordioso, un formaggio le uscì di tasca e rotolò giù per il pendio. Caterinella disse: "Ho già fatto la strada una volta, non ho voglia di ritornare giù; ci andrà un altro ad acchiapparlo!" Così prese di tasca un altro formaggio e lo fece rotolare giù. Ma i formaggi non ritornavano; allora ne buttò un terzo pensando che forse aspettavano compagnia e non gradivano stare soli. Siccome non tornavano neppure in tre, disse: "Non capisco proprio! Ma potrebbe essere che il terzo non ha trovato la strada e si sia smarrito: spedirò giù il quarto a chiamarli." Ma il quarto non fece meglio del terzo. Allora Caterinella s'arrabbiò e gettò giù anche il quinto e il sesto; ed erano gli ultimi. Stette ad aspettarli per un po', ma poi, vedendo che non arrivavano mai, disse: "Lenti come siete, potrei mandarvi a chiamare la morte! pensate forse che voglia aspettarvi ancora? Me ne vado per la mia strada, se volete potete rincorrermi, le vostre gambe sono più giovani delle mie!" Caterinella andò e trovò Federico che si era fermato ad aspettarla perché‚ aveva voglia di mangiare qualcosa. "Fammi vedere quel che hai portato." Ma ella gli porse pane asciutto. "Dove sono il burro e il formaggio?" domandò Federico. "Ah, Richetto," rispose Caterinella, "con il burro ho spalmato la carreggiata e i formaggi stanno per arrivare: uno mi è scappato, allora ho mandato gli altri a chiamarlo." Federico disse: "Non avresti dovuto farlo, Caterinella, spalmare burro per strada e gettare i formaggi giù dal monte!" - "Sì, Richetto, ma avresti dovuto dirmelo!"
Mangiarono insieme il pane asciutto, poi Federico disse: "Caterinella, hai chiuso bene la casa prima di venir via?" - "No, Richetto, avresti dovuto dirmelo prima." - "Allora torna indietro a chiuder casa, prima che andiamo avanti, e porta anche qualcos'altro da mangiare. Io ti aspetterò qui." Caterinella tornò indietro e pensò: Richetto vuole qualcos'altro da mangiare, ma burro e formaggio non gli piacciono, perciò gli porterò un tovagliolo pieno di pere secche e una brocca d'aceto per bere. Poi mise il catenaccio alla parte superiore della porta; quella inferiore, invece, la scardinò e se la mise sulle spalle, credendo che la casa fosse più sicura se si portava dietro la porta. Dopo si mise in cammino tutta tranquilla e quando raggiunse Federico disse: "Eccoti qua la porta, Richetto, così potrai tu stesso custodire la casa!" - "Ah, Dio!" esclamò questi, "che moglie furba che ho! Scardina la porta in basso, che chiunque può entrarci, e mette il catenaccio in alto! Adesso è troppo tardi per ritornare ancora a casa, ma visto che hai voluto portarti l'uscio fin qui, lo porterai anche oltre." - "Porterò l'uscio, Richetto, ma le pere secche e la brocca d'aceto pesano troppo: le appendo all'uscio che le porti lui."
Così andarono nel bosco a cercare i ladri, ma non li trovarono. Nel frattempo si era fatto buio e i due salirono su di un albero per passarvi la notte. Ma non appena furono lassù, arrivarono coloro che portano via ciò che non vuol seguirli e trovano le cose prima che vadano smarrite. Si sedettero sotto l'albero, accesero un fuoco e volevano spartirsi il bottino. Federico scese dall'altra parte, raccolse delle pietre e risalì con l'intento di scagliarle addosso ai ladri uccidendoli a sassate. Ma le pietre non li colpirono e i malviventi esclamarono: "E' quasi mattina, il vento fa cadere le pigne." Caterinella aveva sempre l'uscio sulla schiena, e poiché‚ pesava tanto pensò che fosse colpa delle pere secche e disse: "Richetto, devo buttar giù le pere!" - "No, Caterinella, non ora," rispose egli, "potrebbero tradirci." - "Ah, Richetto, devo farlo per forza pesano troppo!" - "E allora buttale, per la miseria!" Le pere secche rotolarono fra i rami, ma i ladri dissero: "Sterco di uccelli." Dopo un po', siccome l'uscio continuava a pesare, Caterinella disse: "Ah, Richetto, devo rovesciare l'aceto!" - "No, Caterinella, non devi, potrebbe tradirci." - "Ah, Richetto, devo farlo per forza, pesa troppo!" - "E allora buttalo, dannazione!" Caterinella rovesciò l'aceto spruzzando i ladri che dissero: "Incomincia già a cadere la rugiada." Finalmente Caterinella pensò: E se fosse la porta a pesarmi tanto? e disse: "Richetto, devo buttar giù la porta." - "No, Caterinella, non ora, potrebbe tradirci." - "Ah, Richetto, devo farlo per forza, pesa troppo!" - "No, Caterinella, tienila forte!" - "Ah, Richetto, la lascio andare!" - "E allora," rispose Federico furibondo, "lasciala andare per tutti i diavoli!" La porta cadde con gran fragore e i ladri gridarono: "Il diavolo scende dall'albero!" e tagliarono la corda piantando lì tutto. All'alba, quando i due scesero dall'albero, ritrovarono tutto il loro oro e se lo portarono a casa.
A casa Federico disse: "Adesso, Caterinella, devi metterti a lavorare d'impegno." - "Sì, Richetto," rispose ella, "lo farò. Andrò nel campo a mietere." Quando fu nel campo, Caterinella disse fra s': Mangio o dormo prima di mietere? Be', prima mangerò! Mangiò e mangiando le venne sonno; così si mise a mietere e, mezzo addormentata, tagliò i suoi vestiti: grembiule, gonna e camicia. Quando si svegliò, dopo un sonno profondo, si trovò mezza nuda e disse fra s': "Sono o non sono io? Ah, non sono certo io!" Nel frattempo era calata la notte; Caterinella corse al villaggio, bussò alla finestra del marito e gridò: "Richetto?" - "Cosa c'è." - "Vorrei sapere se Caterinella è in casa." - "Sì, sì," rispose Federico, "starà dormendo." Ella disse: "Allora non sono proprio io," e corse via.
Fuori Caterinella trovò dei lestofanti che volevano rubare. Si avvicinò a loro e disse: "Voglio aiutarvi a rubare." Quelli pensarono che conoscesse le opportunità che offriva il luogo, e accettarono soddisfatti. Ma Caterinella passava davanti alle case e gridava: "Gente, avete qualcosa? Vogliamo derubarvi!" Abbiamo fatto un bell'affare! pensarono i malandrini, e desiderarono disfarsi di Caterinella. Le dissero: "Il parroco ha un campo di rape davanti al villaggio; vacci e raccoglile." Caterinella andò nel campo e incominciò a raccogliere le rape, ma era così pigra che non si raddrizzava mai. Un passante si fermò a guardarla e pensò che fosse il diavolo a scavare fra le rape. Corse in paese dal parroco e disse: "Reverendo, nel vostro campo c'è il diavolo che raccoglie le rape." - "Ah, Dio," rispose il parroco, "ho un piede zoppo e non posso andare a scacciarlo!" Disse l'uomo: "Allora vi porterò in spalla," e lo portò fuori. E, quando arrivarono al campo, Caterinella si raddrizzò, stirandosi. "Ah, il diavolo!" gridò il parroco, e se la diedero a gambe tutti e due; e, per la gran paura, il parroco, con il suo piede zoppo, correva più dritto dell'uomo che l'aveva portato in spalle, con le gambe sane.Questo episodio è offerto da Podbean.com.

Il cane e il passero

Tuesday Aug 13, 2024

Tuesday Aug 13, 2024

Un mastino aveva un cattivo padrone che gli faceva patire la fame. Quando non ne pot‚ più, se ne andò via tutto triste. Per strada incontrò un passero che gli disse: "Fratello cane, perché‚ sei così triste?" - "Ho tanta fame," rispose, "e non ho niente da mangiare." Allora il passero disse: "Caro fratello, vieni con me in città: ti sfamerò." Così andarono insieme in città e quando giunsero davanti a una macelleria, il passero disse al cane: "Fermati qui, ti butterò giù un pezzo di carne." Si posò sul banco, si guardò intorno caso mai qualcuno lo stesse osservando, e a forza di beccate e di strattoni riuscì a far cadere un pezzo che si trovava sull'orlo. Il cane lo acchiappò, corse in un angolo e lo divorò. "Adesso vieni con me in un altro negozio," disse il passero. "Voglio riuscire a strappare un altro pezzo, così potrai saziarti." Quando il cane ebbe divorato anche il secondo pezzo, il passero domandò: "Fratello cane, sei sazio ora?" - "Carne, ne ho mangiata a sufficienza," rispose l'altro, "ma non ho ancora avuto del pane." E il passero: "Avrai anche quello, vieni con me." Lo condusse fino a una panetteria e con il becco fece rotolare giù un paio di panini; poi, dato che il compagno ne voleva ancora, lo condusse da un altro panettiere e fece cadere altro pane. Quando il cane l'ebbe mangiato, il passero chiese "Fratello cane, sei sazio adesso?" - "Sì," rispose quello, "andiamo un po' a passeggio fuori le mura."
Così se ne andarono insieme sulla strada maestra. Faceva caldo e dopo un po' il cane disse: "Sono stanco e dormirei volentieri." - "Dormi pure," rispose il passero, "io nel frattempo mi poserò su un ramo." Il cane si sdraiò sulla strada e si addormentò profondamente. Mentre dormiva arrivò un carrettiere su di un carro con tre cavalli carico di due botti di vino. Ma il passero vide che non aveva intenzione di deviare dalla carreggiata in cui si trovava il cane e gli gridò: "Carrettiere non farlo, altrimenti ti ridurrò in miseria!" Ma il carrettiere brontolò fra s': "Non sarai certo tu a ridurmi in miseria." Fece schioccare la frusta e spinse il carro addosso al cane, che fu schiacciato dalle ruote. Allora il passero gridò: "Hai ucciso il mio fratello cane, ti costerà carro e cavalli." - "Sì, carro e cavalli!" disse il carrettiere. "Per il danno che puoi farmi tu!" e proseguì. Allora il passero si insinuò sotto la coperta del carro e si mise a beccare il tappo che chiudeva una delle due botti finché‚ riuscì a staccarlo e tutto il vino si versò senza che il carrettiere se ne accorgesse. Quando finalmente si voltò, vide che il carro gocciolava; esaminò le botti e trovò che una era vuota. "Ah, povero me!" esclamò. "Sì, ma non ancora abbastanza!" disse il passero; volò sulla testa di un cavallo e gli cavò gli occhi. A quella vista, il carrettiere tirò fuori la roncola per colpire l'uccello, ma questo si alzò in volo e il carrettiere colpì sulla testa il cavallo che stramazzò a terra morto. "Ah, povero me!" esclamò. "Sì, ma non abbastanza!" disse il passero; e quando il carrettiere proseguì con i due cavalli, si insinuò di nuovo sotto la coperta del carro e si mise a beccare il tappo della seconda botte, sicché‚ tutto il vino si rovesciò per via. Quando il carrettiere se ne accorse, gridò di nuovo: "Ah, povero me!" Ma il passero rispose: "Sì, ma non abbastanza!" Si posò sulla testa del secondo cavallo e gli cavò gli occhi. Il carrettiere arrivò di corsa levando la roncola, ma il passero si alzò in volo e il colpo prese il cavallo che stramazzò. "Ah, povero me!" - "Sì, ma non abbastanza!" disse il passero, si posò sulla testa del terzo cavallo e gli cavò gli occhi. Il carrettiere, furioso, si scagliò sul passero, alla cieca, ma non riuscì a colpirlo e abbatté‚ invece anche il suo terzo cavallo. "Ah, povero me!" gridò. "Sì, ma non abbastanza!" rispose il passero. "Ora ti porterò la miseria in casa!" e volò via.
Il carrettiere dovette abbandonare il carro e se ne andò a casa pieno di collera e di rabbia. "Ah," disse alla moglie, "che disgrazia mi è capitata! Il vino si è rovesciato per strada e sono morti tutti e tre i cavalli!" - "Ah, marito," rispose ella, "che uccello cattivo si è installato in casa nostra! Ha radunato tutti gli uccelli del mondo, e si sono gettati sul nostro grano, in solaio, e se lo stanno divorando!" Egli andò in solaio e trovò migliaia di uccelli che avevano divorato il grano; e il passero era in mezzo a loro. Allora il carrettiere esclamò: "Ah, povero me!" - "Sì, ma non abbastanza!" rispose il passero. "Carrettiere, ti costerà anche la vita!" e volò via.
Il carrettiere aveva perduto tutti i suoi beni; scese nella stanza e andò a sedersi dietro la stufa, fortemente adirato. Ma il passero si era posato sul davanzale della finestra e gridò: "Carrettiere, ti costerà anche la vita!" Il carrettiere afferrò la roncola e la tirò dietro il passero, ma invece di colpirlo ruppe il vetro della finestra. Il passero saltellò fin dentro la stanza e si posò sulla stufa gridando: "Carrettiere, ti costerà anche la vita!" Pazzo e cieco per la collera, l'uomo spaccò la stufa e, man mano che il passero si spostava da un luogo all'altro, tutte le sue suppellettili: specchietto, sedie, panche, tavola, e infine le pareti della casa; senza tuttavia riuscire a colpirlo. Ma alla fine arrivò ad acchiapparlo. Allora sua moglie disse: "Devo ucciderlo?" - "No," gridò egli, "sarebbe troppo comodo! deve morire ben più atrocemente: lo ingoierò." E lo inghiottì in un boccone. Ma il passerò cominciò a svolazzargli in corpo, e svolazzando gli tornò in bocca, sporse la testa fuori e gridò: "Carrettiere, ti costerà anche la vita!" Il carrettiere diede allora la roncola alla moglie e le disse: "Moglie, ammazzami l'uccello in bocca." La donna colpì ma sbagliò il colpo e prese il marito proprio sulla testa, sicché‚ questi stramazzò a terra morto. Ma il passero volò via.Questo episodio è offerto da Podbean.com.

L’uccello d’oro

Tuesday Aug 13, 2024

Tuesday Aug 13, 2024

C'era una volta un re che aveva un parco nel quale si trovava un albero che aveva delle mele d'oro. Quando le mele furono mature, non fece in tempo a trascorrere la notte e già ne mancava una, sicché‚ il re andò in collera e ordinò al giardiniere di vegliare ogni notte sotto l'albero. Il giardiniere lasciò di guardia il figlio maggiore, ma questi a mezzanotte si addormentò e il giorno dopo mancava un'altra mela. La notte seguente dovette vegliare il secondo, ma a mezzanotte anch'egli di addormentò e al mattino mancava una mela. Ora era la volta del terzo figlio, e il giardiniere non ne era gran che soddisfatto, ma poi si convinse e gli permise di fare la guardia. Il giovane si distese sotto l'albero e vegliò, vegliò. Allo scoccare della mezzanotte, udì nell'aria un frullar d'ali e vide un uccello d'oro giungere in volo. Mentre l'uccello stava staccando con il becco una mela dall'albero, il figlio del giardiniere rapidamente gli tirò una freccia. La freccia non gli fece nulla e l'uccello fuggì, lasciando tuttavia cadere a terra una delle sue piume d'oro. Il giovane la raccolse e il mattino dopo la portò al re che riunì subito il consiglio. Tutti dichiararono, unanimi, che una piuma come quella valeva più di tutto il regno. Allora il re disse: -Non me ne faccio nulla di una sola piuma: voglio tutto l'uccello e l'avrò-. Il figlio maggiore si mise allora in cammino, sicuro di trovare l'uccello d'oro. Dopo un po' scorse una volpe al limitare del bosco; subito imbracciò il fucile e prese la mira. Ma l'animale incominciò a parlare e disse: -Non sparare e ti darò un buon consiglio. So che stai cercando l'uccello d'oro, e questa sera arriverai in un villaggio dove ci sono due locande, l'una dirimpetto all'altra. Una è ben illuminata e piena di allegria, ma non entrarci: vai invece nell'altra, anche se ha un brutto aspetto!-. Ma il giovane pensò: "Un animale può forse darmi un consiglio assennato?" e sparò, senza riuscire tuttavia a colpire la volpe che distese la coda e fuggì nel bosco. Egli proseguì e la sera giunse nel villaggio dove si trovavano le due locande: in una cantavano e ballavano, mentre l'altra aveva un aspetto povero e angusto. "Sarei un vero sciocco" pensò "se andassi in quella miserabile locanda, invece di andare nella più bella!" Così entrò nell'allegra osteria, si diede alla bella vita e scordò l'uccello e la propria terra natia. Passò un po' di tempo, siccome il figlio maggiore non faceva ritorno, si mise in cammino il secondo. Anche lui incontrò la volpe che gli diede il buon consiglio ma, quando giunse davanti alle due locande, vide suo fratello che lo chiamava dalla finestra di quella piena di baldoria. Egli non seppe resistere e scordò ogni buon proposito. Passò un'altro po' di tempo e anche il terzo fratello volle mettersi in cammino, ma il padre non voleva lasciarlo andare perché‚ gli era affezionato e temeva gli capitasse una disgrazia per cui non potesse più far ritorno come gli altri due. Tuttavia, per aver pace, lo lasciò infine partire. Così anche il terzo figlio incontrò la volpe al margine del bosco e ricevette il buon consiglio. Egli era buono d'animo e le risparmiò la vita; allora la volpe disse: -Sali dietro, sulla mia coda, così andremo più in fretta!-. Non appena fu a posto, la volpe si mise a correre, e via di carriera, che i capelli fischiavano al vento. Quando arrivarono al villaggio, il giovane smontò, seguì il buon consiglio e, senza guardarsi attorno, entrò nella misera locanda, dove pernottò tranquillamente. Il mattino dopo incontrò di nuovo la volpe che gli disse: -Cammina sempre dritto e giungerai a un castello davanti al quale si troverà un intero reggimento di soldati. Dormiranno e russeranno tutti e tu non devi badare a loro: entra invece nel castello, e dentro troverai una stanza dov'è appesa una gabbia di legno con l'uccello d'oro Accanto vi sarà, in bella mostra, una gabbia d'oro; ma bada bene di non togliere l'uccello dalla sua brutta gabbia per metterlo in quella preziosa: potrebbe andarti male-. Dopo aver detto queste parole, la volpe distese nuovamente la coda, il giovane vi si sedette sopra, e via di carriera, che i capelli fischiavano al vento. Giunto al castello, il principe trovò tutto come gli aveva detto la volpe. Entrò nella stanza dove c'era l'uccello d'oro in una gabbia di legno, accanto vi era un'altra gabbia, tutta d'oro, e anche le tre mele, sparse qua e là. Allora egli pensò: "Sarebbe ridicolo lasciare quel bell'uccello in una gabbia così brutta- Così aprì la porticina, afferrò l'animale e lo mise nella gabbia d'oro. Ma subito l'uccello mandò un grido così acuto che i soldati si svegliarono, catturarono il principe e lo condussero davanti al re. Il giorno dopo fu giudicato e, siccome egli ammise la propria colpa, fu condannato a morte. Ma il re disse. -Puoi aver salva la vita a una sola condizione: devi portarmi il cavallo d'oro che corre veloce come il vento; in compenso ti potrò regalare l'uccello d'oro-. Il principe si mise in cammino, tutto triste, sospirando. D'un tratto si trovò davanti la volpe che gli disse: -Vedi cosa ti è successo a non ascoltarmi? Tuttavia, se vuoi seguirmi, ti aiuterò a trovare il cavallo d'oro. Devi andare sempre dritto fino a quando arriverai a un castello; e lì, nella scuderia c'è il cavallo d'oro. Davanti alla scuderia ci saranno gli stallieri, ma dormiranno e russeranno, così tu potrai entrare tranquillamente e portare via il cavallo d'oro. Bada solo di mettergli la sella brutta di legno e cuoio non quella d'oro appesa lì accanto-. Dopo che la volpe ebbe detto queste parole, il principe le si sedette sulla coda, e via di carriera, che i capelli fischiavano al vento. Tutto si svolse come aveva detto la volpe: gli stallieri russavano tenendo in mano delle selle d'oro. Ma quando egli vide il cavallo d'oro, si rammaricò di dovergli mettere la sella brutta. "Farà una brutta figura" pensò. "E' opportuno che gli metta una sella che si addica a un animale così bello!" E mentre stava cercando di togliere una sella d'oro dalle mani di uno stalliere, questi si svegliò, e con lui si svegliarono anche gli altri, acciuffarono il giovane e lo gettarono in prigione. Il giorno dopo fu nuovamente condannato a morte, tuttavia gli promisero di fargli grazia e di regalargli l'uccello e il cavallo d'oro, se fosse riuscito a conquistare una meravigliosa principessa. Il giovane si mise in cammino tutto triste, ma ben presto si imbatté‚ di nuovo nella volpe. -Perché‚ non mi hai ascoltato?- disse l'animale. -A quest'ora avresti l'uccello e il cavallo. Ti aiuterò ancora una volta: vai sempre dritto e questa sera giungerai a un castello. A mezzanotte la bella principessa va a fare il bagno nel padiglione, tu entraci e dalle un bacio: così potrai portarla con te; bada solo che non dica addio ai suoi genitori.- Poi la volpe stese la coda, e via di carriera, che i capelli fischiavano al vento. Quando giunse al castello trovò tutto come aveva detto la volpe e a mezzanotte egli baciò la bella principessa nel padiglione. Ella disse che l'avrebbe seguito volentieri, ma lo supplicò piangendo di lasciarla andare a prendere congedo dal padre. Da principio egli rifiutò, ma la principessa piangeva sempre più e gli si gettò ai piedi, finché‚ egli finì col cedere. Ma non appena la fanciulla andò dal padre, questi si svegliò, e con lui si svegliarono tutti gli altri che erano nel castello; arrestarono il giovane e lo misero in prigione. Il re gli disse: -Non avrai mai mia figlia, a meno che tu non riesca a spianare il monte che è davanti alle mie finestre e mi toglie la vista; ti do otto giorni di tempo-. Ma la montagna era così grande che neanche la forza di tutti gli uomini del mondo avrebbe potuto spostarla. Il principe lavorò sette interi giorni senza interrompersi mai, ma quando vide quanto poco avesse concluso ne ebbe grande dolore. Tuttavia la sera del settimo giorno arrivò la volpe e gli disse: -Va' pure a dormire, farò io il, tuo lavoro-. Il mattino dopo, quando il giovane si svegliò, la montagna era scomparsa; allora andò dal re tutto contento, gli disse che aveva assolto il suo compito e che a lui toccava ceder la figlia. Volente o nolente, il re dovette mantenere la promessa. Così i due partirono insieme, ma la volpe li raggiunse e disse: -Adesso dobbiamo fare in modo di ottenere tutte e tre le cose: la fanciulla, il cavallo e l'uccello-. -Sì, se ti riesce- rispose il giovane -ma sarà difficile.- -Ascoltami e sarà cosa fatta- disse la volpe, e aggiunse: -Quando giungerai dal re che ti ha chiesto di portargli la principessa meravigliosa, digli: "Eccovela!." Tutti andranno in visibilio e tu monterai subito in sella al cavallo d'oro, porgerai la mano a tutti in segno d'addio, e per ultimo, alla bella fanciulla. Allora tirala su di slancio e parti a spron battuto-. Il principe seguì il consiglio e si portò via la bella fanciulla; allora la volpe gli disse di nuovo: -Quando arriveremo davanti al castello dov'è custodito l'uccello, io e la principessa ti aspetteremo fuori dal portone; tu invece entrerai nel cortile a cavallo dicendo: "Vedete bene che vi ho portato l'animale che volevate!." Essi allora ti porteranno l'uccello, ma tu rimarrai seduto a cavallo e dirai che anche tu vuoi vedere se davvero si tratta dell'animale che volevi, e, quando lo avrai in mano, parti alla gran carriera-. Tutto andò a meraviglia e, quando il principe ebbe anche l'uccello d'oro, fece sedere la fanciulla sul cavallo e proseguirono il cammino finché‚ giunsero in un gran bosco. Là li raggiunse la volpe e disse: -Adesso devi uccidermi e tagliarmi la testa e le zampe-. Ma il giovane rifiutò e la volpe disse: -Se proprio non vuoi farlo, accetta ancora un buon consiglio. Guardati da due cose: non comprare carne da forca e non sederti sull'orlo di un pozzo-. "Se non si tratta che di questo, non è niente di difficile!" pensò il giovane. Proseguì per la sua strada con la fanciulla, finché‚ giunse al villaggio dove erano rimasti i suoi fratelli. C'era gran tumulto e rumore, e quand'egli chiese di che si trattasse, gli risposero che dovevano essere impiccati due furfanti. Avvicinandosi, vide che si trattava dei suoi due fratelli, che avevano compiuto ogni sorta di misfatti dissipando i loro averi. Allora egli disse: -Non è proprio possibile risparmiare la loro vita?-. -No- rispose la gente -a meno che non vogliate impiegare il vostro denaro per riscattarli.- Egli non stette a pensarci due volte e pagò quanto gli chiesero. Allora i fratelli furono liberati e proseguirono il viaggio con lui. Ma quando giunsero nel bosco in cui avevano incontrato la volpe per la prima volta, il luogo era tanto fresco e ameno che i due fratelli dissero: -Riposiamoci un po' accanto al pozzo, mangiamo e beviamo!-. Egli acconsentì, e mentre parlavano, si sedette distrattamente sull'orlo del pozzo, senza alcun sospetto. Ma i due fratelli lo spinsero all'indietro, facendolo precipitare in fondo al pozzo; poi presero la fanciulla, il cavallo e l'uccello e ritornarono dal padre dicendo: -Abbiamo conquistato tutte queste cose e te le portiamo-. Tutti erano felici, tranne il cavallo che non mangiava, l'uccello che non cantava e la fanciulla che piangeva sempre. Il fratello minore si trovava intanto in fondo al pozzo, che per fortuna era asciutto e, benché‚ non si fosse rotto neanche un osso, non riusciva tuttavia a escogitare il modo di uscirne. In quel mentre arrivò ancora una volta la volpe e lo sgridò perché‚ non aveva ascoltato il suo consiglio. -Pure- disse -non posso fare a meno di aiutarti a venir fuori; afferra la mia coda e tienti forte.- Così, strisciando, la volpe riuscì a tirarlo fuori dal pozzo Quando furono in salvo, l'animale disse: -I tuoi fratelli hanno fatto appostare delle sentinelle che hanno l'incarico di ucciderti se ti vedono-. Allora egli indossò le vesti di un pover'uomo e giunse così, senza che nessuno lo riconoscesse, alla corte di suo padre. E non appena arrivò il cavallo si rimise a mangiare l'uccello riprese a cantare e la fanciulla smise di piangere. Il re si stupì e domandò spiegazioni alla fanciulla. -Non so- rispose la principessa -ero così triste, e ora sono tanto felice! Come se fosse arrivato il mio vero sposo.- E gli raccontò tutto quello che era successo, malgrado gli altri fratelli avessero minacciata di ucciderla se mai rivelava qualcosa. Il re fece chiamare a raccolta tutta la gente del castello, e venne anche il giovane, nei suoi cenci da mendicante, ma la fanciulla lo riconobbe subito e gli si gettò fra le braccia. I fratelli furono arrestati e giustiziati, mentre il giovane sposò la bella fanciulla e, dopo la morte del padre, ne ereditò il regno. Molto tempo dopo, il principe tornò nel bosco e incontrò la vecchia volpe che lo supplicò nuovamente di ucciderla e di tagliarle la testa e le zampe. Egli lo fece, e subito la volpe si trasformò in un uomo: era il fratello della regina che finalmente era libero da un incantesimo.Questo episodio è offerto da Podbean.com.

Il diletto Orlando

Tuesday Aug 13, 2024

Tuesday Aug 13, 2024

C'era una volta una donna che era una strega e aveva due figlie: una, brutta e cattiva, era la sua figlia; l'altra, buona e bella, era la figliastra. Ed ella tanto amava la prima, quanto odiava la seconda. Un giorno la figliastra aveva un bel grembiule che piaceva all'altra, tanto che quest'ultima, invidiosa, andò dalla madre e disse: -Quel grembiule deve essere mio-. -Sta' tranquilla, bimba mia, lo avrai- disse la vecchia. -La tua sorellastra ha meritato la morte da un pezzo, e questa notte, mentre dorme, verrò a tagliarle la testa. Bada solo di coricarti dietro e spingila ben bene sul davanti.- La povera fanciulla sarebbe stata perduta se, per caso, non si fosse trovata in un angolo da cui pot‚ sentire tutto. Quando fu l'ora di andare a dormire, lasciò che si coricasse prima la sorella cattiva, e che si mettesse dietro, come desiderava; ma non appena questa fu addormentata, la sollevò e la mise sul davanti vicino al bordo del letto, prendendo il suo posto dall'altra parte. Durante la notte entrò quatta quatta la vecchia: nella mano destra aveva una scure, mentre con la sinistra tastava se c'era qualcuno sul davanti; poi afferrò la scure con ambo le mani e spiccò la testa alla propria figlia. Quando se ne fu andata, la figliastra si alzò, corse dal suo innamorato, che si chiamava Orlando, e bussò alla sua porta. Quand'egli uscì, gli disse: -Ascolta, mio diletto, dobbiamo fuggire più in fretta possibile: la matrigna voleva uccidermi, ma ha colpito sua figlia. Quando si fa giorno e vede ciò che ha fatto, siamo perduti-. Orlando disse: -Però dobbiamo portarle via la bacchetta magica, altrimenti, se c'insegue, non possiamo salvarci-. La fanciulla prese la bacchetta magica, poi afferrò la testa della morta e lasciò cadere a terra tre gocce di sangue, una davanti al letto, una in cucina, una sulla scala. E fuggì con l'innamorato. Al mattino, quando la strega si alzò, chiamò sua figlia per darle il grembiule, ma quella non venne. Allora gridò: -Dove sei?-. -Qui sulla scala che spazzo!- rispose una goccia di sangue. La vecchia uscì ma non vide nessuno sulla scala e gridò di nuovo: -Dove sei?-. -Qui in cucina che mi scaldo!- rispose la seconda goccia di sangue. La vecchia andò in cucina, ma non trovò nessuno; allora gridò per la terza volta: -Dove sei?-. -Ah, sono qui nel letto che dormo!- disse la terza goccia di sangue. Ella entrò nella camera e si accostò al letto. E cosa vide? Sua figlia era immersa in una pozza di sangue e lei stessa le aveva tagliato la testa. La strega andò su tutte le furie, si precipitò alla finestra e, poiché‚ vedeva assai lontano, scorse la fanciulla che fuggiva con il suo diletto. -Avete già fatto un bel pezzo di strada- gridò -ma non servirà a nulla: vi raggiungerò lo stesso!- Infilò i suoi stivali delle sette leghe e, dopo aver fatto un paio di passi, li aveva già raggiunti. Ma la fanciulla, ben sapendo che li avrebbe inseguiti, con la bacchetta magica trasformò il suo diletto Orlando in un lago e se stessa in un'anitra che nuotava in mezzo al lago. La strega si fermò sulla riva e cercò di attirare l'anitra gettandole briciole di pane; ma essa non si lasciò sedurre e, alla sera, la vecchia dovette tornarsene a casa senza avere concluso nulla. La fanciulla e il suo innamorato ripresero il loro aspetto umano e camminarono tutta la notte, fino allo spuntar del giorno. Allora ella si trasformò in un bel fiore in mezzo a una siepe di spine, e il diletto Orlando in un violinista. Dopo poco tempo giunse la strega a grandi passi e disse al violinista: -Caro violinista, posso cogliere quel bel fiore?-. -Certamente- egli rispose -intanto io suonerò.- E mentre la vecchia si introduceva di furia fra le spine cercando di raggiungere il fiore, che ben conosceva, il violinista si mise a suonare ed ella, volente o nolente, dovette ballare, poiché‚ era una danza incantata. Egli continuò a suonare, e la strega fu costretta a ballare senza posa; le spine le strapparono le vesti di dosso, la punsero e la scorticarono, finché‚ alla fine ella giacque a terra morta. Liberatisi della strega, Orlando disse: -Ora andrò da mio padre a preparare le nozze-. -Intanto io resterò qui ad aspettarti- rispose la fanciulla -e perché‚ nessuno mi riconosca, mi voglio tramutare in una pietra rossa.- Così Orlando se ne andò, e la fanciulla rimase nel campo ad aspettarlo, trasformata in pietra rossa. Ma quando Orlando arrivò a casa, fu ammaliato da un'altra e scordò la sua vera fidanzata. La poverina attese a lungo, ma vedendo che non tornava, divenne triste e si tramutò in un fiore pensando che qualcuno l'avrebbe calpestata. Ma avvenne che un pastore pascolasse con le sue pecore in quel campo; scorse il fiore e, poiché‚ era tanto bello, lo colse, lo portò con s‚ e lo mise nel suo armadio dicendo: -Non ho mai trovato un fiore così bello-. Ma da quel giorno ne capitarono delle belle in casa del pastore! Quando si alzava al mattino, tutte le faccende di casa erano già sbrigate: la stanza era spazzata e spolverata, il fuoco acceso, il secchio riempito al suo posto; e a mezzogiorno, quando rincasava, in tavola era già servito un bel pranzetto. Egli non capiva come fosse possibile, poiché‚ non vedeva mai anima viva; e anche se gli piaceva essere servito così bene, finì coll'impaurirsi e andò a chiedere consiglio a un'indovina. Ella disse: -C'è sotto una magia: domani mattina, all'alba, guarda bene se non si muove nulla nella stanza; se vedi qualcosa, buttaci sopra in fretta un panno bianco: l'incanto si romperà-. Il pastore fece come gli era stato detto, e il mattino seguente vide aprirsi l'armadio e uscirne il fiore. D'un balzo egli vi gettò sopra un panno bianco. Subito cessò la magia: davanti a lui c'era una bella fanciulla, colei che si era presa cura della sua casa. Ed era tanto bella che il pastore le domandò se voleva diventare la sua sposa, ma ella rifiutò perché‚ voleva rimanere fedele al diletto Orlando; tuttavia promise di non andar via e di continuare a occuparsi della casa. Intanto si avvicinava il giorno in cui Orlando doveva maritarsi e, secondo un'antica usanza, furono avvertite tutte le ragazze del paese, perché‚ si presentassero a cantare in onore degli sposi. La fedele fanciulla, quando udì che il suo diletto Orlando stava per sposare un'altra, si rattristò tanto che credette le si spezzasse il cuore, e non voleva andarci; ma alla fine vi fu costretta. Quando toccò a lei cantare, si tirò indietro, finché‚ si trovò a essere l'ultima; allora non pot‚ più sottrarsi e cantò. Ma all'udirla Orlando saltò in piedi e gridò: -Questa è la vera sposa e non ne voglio altra!-. Egli l'aveva riconosciuta dalla voce, e tutto ciò che aveva dimenticato gli era ritornato in cuore. Così la fanciulla fedele sposò il suo diletto Orlando, e il dolore si mutò in gioia.Questo episodio è offerto da Podbean.com.

Tremotino

Tuesday Aug 13, 2024

Tuesday Aug 13, 2024

C'era una volta un mugnaio che era povero, ma aveva una bella figlia. Un giorno gli capitò di parlare con il re e gli disse: "Ho una figliola che sa filare l'oro dalla paglia." Al re, cui piaceva l'oro, la cosa piacque, e ordinò che la figlia del mugnaio fosse condotta innanzi a lui.
La condusse in una stanza piena di paglia, le diede il filatoio e l'aspo e disse: "Se in tutta la notte, fino all'alba, non fai di questa paglia oro filato, dovrai morire." Poi la porta fu chiusa ed ella rimase sola. La povera figlia del mugnaio se ne stava là senza sapere come salvarsi, poiché‚ non aveva la minima idea di come filare l'oro dalla paglia; la sua paura crebbe tanto che finì col mettersi a piangere. D'un tratto la porta si aprì ed entrò un omino che disse: "Buona sera, madamigella mugnaia, perché‚ piangi tanto?"
"Ah," rispose la fanciulla, "devo filare l'oro dalla paglia e non sono capace!" Disse l'omino: "Che cosa mi dai, se te la filo io?" - "La mia collana," rispose la fanciulla. L'omino prese la collana, sedette davanti alla rotella e frr, frr, frr tirò il filo tre volte e il fuso era pieno. Poi ne introdusse un altro e frr, frr, frr, tirò il filo tre volte e anche il secondo fuso era pieno; andò avanti così fino al mattino: ed ecco tutta la paglia era filata e tutti i fusi erano pieni d'oro.
Quando il re andò a vedere, si meravigliò e ne fu molto soddisfatto, ma il suo cuore divenne ancora più avido. Così fece condurre la figlia del mugnaio in una stanza molto più grande, piena di paglia, che anche questa volta doveva essere filata in una notte, se aveva cara la vita. La fanciulla non sapeva a che santo votarsi e piangeva; ma all'improvviso si aprì la porta e l'omino entrò dicendo: "Cosa mi dai se ti filo l'oro dalla paglia?"
"L'anello che ho al dito," rispose la fanciulla. L'omino prese l'anello, la ruota cominciò a ronzare e al mattino tutta la paglia si era mutata in oro splendente. A quella vista il re andò in visibilio ma, non ancora sazio, fece condurre la figlia del mugnaio in una terza stanza ancora più grande delle precedenti, piena di paglia, e disse: "Dovrai filare anche questa paglia entro stanotte; se ci riesci sarai la mia sposa." Infatti egli pensava che da nessun'altra parte avrebbe trovato una donna tanto ricca. Quando la fanciulla fu sola, ritornò per la terza volta l'omino e disse: "Che cosa mi dai se ti filo la paglia anche questa volta?" - "Non ho più nulla," rispose la fanciulla. "Allora promettimi," disse l'omino, "quando sarai regina, di darmi il tuo primo bambino." - "Chissà come andrà a finire!" pensò la figlia del mugnaio e, del resto, messa alle strette, non sapeva che altro fare, perciò accordò la sua promessa all'omino che, anche questa volta, le filò l'oro dalla paglia. Quando al mattino venne il re e trovò che tutto era stato fatto secondo i suoi desideri, la sposò; e la bella mugnaia divenne regina.
Dopo un anno diede alla luce un bel maschietto e non si ricordava neanche più dell'omino, quando questi le entrò d'un tratto nella stanza a reclamare ciò che gli era stato promesso. La regina inorridì e gli offrì tutte le ricchezze del regno, purché‚ le lasciasse il bambino; ma l'omino disse: "No, qualcosa di vivo mi è più caro di tutti i tesori del mondo." Allora la regina incominciò a piangere e a lamentarsi, tanto che l'omino s'impietosì e disse: "Ti lascio tre giorni di tempo: se riesci a scoprire come mi chiamo, potrai tenerti il bambino."
La regina passò la notte cercando di ricordare tutti i nomi che mai avesse udito, inviò un messo nelle sue terre a domandare in lungo e in largo, quali altri nomi si potevano trovare. Il giorno seguente, quando venne l'omino, ella cominciò con Gaspare, Melchiorre e Baldassarre e disse tutta una lunga sfilza di nomi, ma ogni volta l'omino diceva: "Non mi chiamo così." Il secondo giorno, ella mandò a chiedere come si chiamasse la gente nei dintorni e propose all'omino i nomi più insoliti e strani quali: Latte di gallina, Coscia di montone, Osso di balena. Ma egli rispondeva sempre: "Non mi chiamo così."
Il terzo giorno tornò il messo e raccontò: "Nuovi nomi non sono riuscito a trovarne, ma ai piedi di un gran monte, alla svolta del bosco, dove la volpe e la lepre si dicono buona notte, vidi una casetta; e davanti alla casetta ardeva un fuoco intorno al quale ballava un omino quanto mai buffo, che gridava, saltellando su di una sola gamba:
"Oggi fo il pane,la birra domani, e il meglio per meè aver posdomani il figlio del re.Nessun lo sa, e questo è il sopraffino,Ch'io porto il nome di Tremotino!"
All'udire queste parole, la regina si rallegrò e poco dopo quando l'omino entrò e le disse: "Allora, regina, come mi chiamo?" ella da principio domandò: "Ti chiami Corrado?" - "No." - "Ti chiami Enrico?" - "No." - "Ti chiami forse Tremotino?"
"Te l'ha detto il diavolo, te l'ha detto il diavolo!" gridò l'omino; e per la rabbia pestò in terra il piede destro con tanta forza, che sprofondò fino alla cintola; poi, nell'ira, afferrò con le mani il piede sinistro e si squarciò.Questo episodio è offerto da Podbean.com.

Tuesday Aug 13, 2024

C'erano una volta tre fratelli tanto poveri e, quando la loro miseria crebbe al punto che essi non avevano più nulla da mettere sotto i denti, decisero di andarsene in giro per il mondo per cercare fortuna altrove. Cammina cammina per campi e strade, arrivarono infine in un gran bosco dove c'era un monte d'argento. Il maggiore, soddisfatto, ne prese quanto poteva trasportarne e ritornò a casa; gli altri due invece si augurarono una maggior fortuna, perciò non toccarono l'argento e proseguirono. Dopo aver fatto un bel pezzo di strada, arrivarono a una montagna che era tutta d'oro. Il secondo fratello disse: -Che devo fare? Devo arricchirmi con quest'oro, o andare avanti?-. Si fermò a riflettere, ma alla fine si mise in tasca tutto quel che pot‚ e se ne ritornò a casa. Il fratello minore invece pensò: "Oro e argento non mi toccano: non voglio perdere la mia fortuna, forse mi aspetta qualcosa di meglio-. Lasciò l'oro dov'era, proseguì e dopo tre giorni giunse in un'immensa foresta che non finiva mai; e siccome egli non aveva da mangiare n‚ da bere, fu sul punto di morire di fame. Allora salì su di un albero alto, per vedere se di lassù riusciva a scorgere il limite del bosco, ma non vide che cime d'alberi a perdita d'occhio. Scese dall'albero pensando: "Potessi almeno saziarmi una volta!." Quando fu a terra il suo desiderio si era esaudito: ai piedi dell'albero si trovava infatti un tavolo abbondantemente apparecchiato con cibi di ogni sorta il cui profumo giunse alle sue narici. -Viene proprio a proposito!- diss'egli, s'avvicinò alla tavola e mangiò di gusto finché‚ si fu cavata la fame. Quand'ebbe finito, prese la tovaglietta, la piegò accuratamente e la mise nella bisaccia. Poi proseguì e la sera, quando ebbe di nuovo fame, tirò fuori la tovaglietta, la spiegò e disse: -Desidero che tu ti copra di cibi squisiti-. E d'un tratto comparve una gran quantità di piatti di portata colmi di ogni ben di Dio. Egli comprese così che si trattava di una tovaglietta magica ed esclamò: -Mi sei ben più cara dell'argento e dell'oro!-. Ma non volle ancora tornare a casa e proseguì il suo cammino in giro per il mondo. Una sera giunse da un carbonaio che stava facendo carbone e aveva messo sul fuoco delle patate per cena. Chiacchierarono un po'. Poi il carbonaio invitò il giovane a mangiare le patate con lui. -No- rispose -non voglio toglierti la cena; sarai tu a essere mio ospite.- -E chi preparerà?- disse il carbonaio. -Vedo bene che non hai niente con te.- -Eppure sarà un'ottima cena- rispose il giovane. Prese dalla bisaccia la tovaglietta, la spiegò, formulò il suo desiderio, ed ecco apparire i piatti già bell'e pronti. Il carbonaio strabuzzò gli occhi per lo stupore, ma poi allungò la mano e si servì. Quand'ebbero finito di mangiare, il carbonaio disse: -La tua tovaglietta mi piace, se vuoi fare cambio ti do un vecchio zaino militare che è dotato di virtù magiche e che io non uso più-. -In che cosa consiste la sua virtù?- domandò il giovane. Il carbonaio rispose: -Se lo batti con la mano, compare ogni volta un caporale con sei uomini provvisti di moschetto e arma bianca, ed essi fanno quello che tu ordini-. -Se così deve essere- rispose l'altro -il cambio mi sta bene.- Così il carbonaio si tenne la tovaglietta, mentre il giovane se ne andò con lo zaino. Quand'ebbe fatto un tratto di strada disse: -Devo provare le virtù magiche dello zaino- e bussò. Subito comparvero i sette eroi e il caporale disse: -Cosa comanda il mio signore?-. -Andate dal carbonaio e riprendetegli la tovaglietta magica.- Fianco sinist e, dopo non molto tempo, ritornarono con l'oggetto richiesto, sottratto al carbonaio senza fare troppi complimenti. Egli ordinò loro di ritirarsi e proseguì, sperando che la fortuna lo favorisse sempre. Al tramonto arrivò da un altro carbonaio che si stava preparando la cena sul fuoco. -Salute a te!- disse il carbonaio. -Se vuoi mangiare con me patate senza strutto, non hai che da servirti.- -No- rispose egli -per questa volta sarai tu mio ospite.- Stese la tovaglietta che subito si ricoprì di ogni ben di Dio, ed essi mangiarono e bevvero insieme allegramente. Dopo cena il carbonaio disse: -Darei l'anima per avere la tua tovaglietta! Là c'è un cappellino che non mi serve a nulla: se uno lo mette in testa e lo fa girare, le colubrine sparano come se ne avessero appostate dodici in fila e distruggono tutto. Se mi lasci la tovaglietta ti darò il cappello-. Il giovane accettò, prese il cappello e lasciò la tovaglietta. Ma non aveva fatto molta strada che picchiò sul suo zaino e disse al caporale: -Vai con i tuoi sei uomini e riportami la tovaglietta magica-. I soldati gliela riportarono: così egli ci guadagnò il cappello. Tuttavia non voleva fare ritorno a casa e pensava: "Non è ancora ora che torni; devo proseguire." Ma il bosco non aveva fine, ed egli dovette camminare ancora per un giorno intero. La sera giunse da un terzo carbonaio che, come gli altri, lo invitò a mangiare patate senza strutto. Ma egli divise con lui la cena della tovaglietta magica, e il carbonaio mangiò così di gusto, che finì coll'offrirgli una cornetta. A suonarla crollavano tutte le fortificazioni, le città e i villaggi. Egli lascio la tovaglietta al carbonaio, ma la fece reclamare subito dopo dalla soldatesca, sicché‚ alla fine aveva zaino, cappellino e cornetta insieme. -Ora sono a posto- disse -è tempo che faccia ritorno a casa a vedere come se la passano i miei fratelli.- All'arrivo, trovò che essi vivevano nel fasto grazie alla ricchezza accumulata. Ma quando lo scorsero, in abiti vecchi e laceri, non vollero riconoscerlo e lo scacciarono. Allora egli andò in collera e picchiò sullo zaino finché‚ non ebbe davanti centocinquanta uomini. Ordinò loro di dare una bella lezione ai due fratelli, perché‚ si ricordassero chi egli fosse. Scoppiò un gran baccano, e l'intero paese accorse in aiuto dei due malcapitati; i soldati, tuttavia, erano invincibili. Ne fu informato il re che mandò un capitano con la sua truppa. Ma l'uomo dagli strumenti magici, vedendoli venire, picchiò sullo zaino e radunò altri soldati e cavalieri, sicché‚ il capitano e i suoi uomini furono respinti e dovettero ritirarsi con la faccia pesta. Il re disse: -Bisogna assolutamente sottometterlo!- e il giorno seguente gli mandò contro truppe più numerose. Ma il giovane picchiò sullo zaino finché‚ non si trovò davanti un intero esercito schierato, al quale ordinò di scagliarsi sul nemico. Poi girò un paio di volte il suo cappellino: allora incominciarono a sparare le artiglierie pesanti e gli uomini del re furono battuti e messi in fuga. -Adesso non faccio la pace- diss'egli -se non mi danno la principessa in sposa, e tutto il regno da governare in nome del re.- Il re disse alla figlia: -E' dura da digerire, ma se voglio mantenere la pace e conservare la corona, devo cederti-. Così furono celebrate le nozze, ma la principessa non accettava di essere stata costretta a sposare un uomo tanto sgradevole; rimuginava giorno e notte sul modo di sbarazzarsene e nessun pensiero le era più gradito. Tentò di scoprire su che cosa si fondasse il suo potere, ed egli stesso finì col rivelarle la magia dello zaino. Allora ella prese a fargli mille moine per farselo dare e quando finalmente lo ottenne, abbandonò il marito. Allora egli radunò l'esercito, ma la principessa picchiò sullo zaino aumentando del doppio il numero dei propri soldati. Egli sarebbe stato perduto se non avesse avuto il cappellino. Se lo mise in testa e lo fece girare un paio di volte: subito presero a tuonare le artiglierie e tutto crollò; sicché‚ la principessa stessa dovette andare a chiedere grazia. Egli si lasciò persuadere e le accordò la pace. Dopo non molto tempo, la principessa ricominciò a fare delle indagini e, accortasi dei poteri del cappellino, riuscì a convincere il marito a farselo dare a furia di chiacchiere. Ma non appena l'ebbe ottenuto, fece cacciare lo sposo, pensando così di averla spuntata. Ma egli prese la cornetta e si mise a suonarla: e subito crollarono mura e fortini, città e villaggi, seppellendo il re e la principessa. E se egli non avesse deposto la cornetta e l'avesse suonata ancora un po', tutto sarebbe finito in un cumulo di macerie e non sarebbe rimasta pietra su pietra. Così sopravvisse solo lui e regnò su tutto il paese.Questo episodio è offerto da Podbean.com.

Biancaneve

Tuesday Aug 13, 2024

Tuesday Aug 13, 2024

Una volta, in inverno inoltrato, mentre i fiocchi di neve cadevano dal cielo come piume, una regina cuciva seduta accanto a una finestra dalla cornice d'ebano. E, mentre cuciva e alzava gli occhi per guardare la neve, si punse un dito e tre gocce di sangue caddero nella neve. Il rosso era così bello su quel candore, che ella pensò fra s‚: "Avessi un bambino bianco come la neve, rosso come il sangue e nero come il legno della finestra! ." Poco tempo dopo, diede alla luce una bimba bianca come la neve, rossa come il sangue e con i capelli neri come l'ebano; e, per questo, la chiamarono Biancaneve. E, quando nacque, la regina morì. Dopo un anno, il re prese di nuovo moglie: una donna bella, ma orgogliosa; non poteva tollerare che qualcuno la superasse in bellezza. Possedeva uno specchio e, quando vi si specchiava, diceva:-Specchio fatato, in questo castello, hai forse visto aspetto più bello?-E lo specchio rispondeva:-E' il tuo, Regina, di tutte il più bello!-Ed ella era contenta, perché‚ sapeva che lo specchio diceva la verità. Ma Biancaneve cresceva, diventando sempre più bella e, quand'ebbe sette anni, era bella come la luce del giorno e più bella della regina stessa. Una volta che la regina interrogò lo specchio:-Specchio fatato, in questo castello, hai forse visto aspetto più bello?- Lo specchio rispose:-Il tuo aspetto qui di tutte è il più bello, ma Biancaneve dalla chioma corvina è molto più bella della Regina!-All'udire queste parole, la regina allibì e sbiancò per l'ira e l'invidia. Da quel momento in poi, la sola vista di Biancaneve la sconvolgeva, tanto la odiava. Invidia e superbia crebbero a tal punto in lei, da non lasciarle più pace n‚ giorno n‚ notte. Allora chiamò un cacciatore e disse: -Conduci la bambina nella foresta selvaggia, non voglio più vederla. Uccidila e portami i polmoni e il fegato come prova della sua morte-. Il cacciatore obbedì e condusse Biancaneve lontano, ma quando estrasse il coltello per trafiggere il suo cuore innocente, ella si mise a piangere e disse: -Ah, caro cacciatore, risparmiami la vita! Me ne andrò nel bosco e non farò mai più ritorno a casa-. Ed ella era tanto bella, che il cacciatore ne ebbe pietà e disse: -Va' pure, povera bimba-. "Le bestie feroci ti divoreranno ben presto" pensava; ma sentiva che gli si era levato un grosso peso dal cuore, non dovendola più uccidere. E siccome, proprio in quel momento, arrivò di corsa un cinghialetto, lo sgozzò, gli tolse i polmoni e il fegato e li portò alla regina come prova. Ella, nella sua bramosia, li fece cucinare sotto sale e li divorò credendo di mangiare polmoni e il fegato di Biancaneve. Intanto la povera bambina era tutta sola nella grande foresta, e aveva tanta paura che temeva anche le foglie degli alberi e non sapeva cosa fare per porsi in salvo. Allora si mise a correre e corse sulle pietre aguzze e fra le spine; le bestie feroci le passavano accanto, ma senza farle alcun male. Corse finché‚ la ressero le gambe; sul far della sera, vide una piccola casetta e vi entrò per riposarsi. Nella casetta ogni cosa era minuscola ma straordinariamente linda e aggraziata. C'era un tavolino ricoperto da una candida tovaglietta e apparecchiato con sette piattini: ogni piattino aveva il suo cucchiaino, sette coltellini, sette forchettine e sette bicchierini. Lungo la parete, l'uno accanto all'altro, c'erano sette lettini, coperti di candide lenzuola. Biancaneve aveva tanta fame e tanta sete che mangiò un po' di verdura e di pane da ciascun piattino, e bevve una goccia d vino da ogni bicchierino, poiché‚ non voleva portare via tutto a uno solo. Poi, dato che era tanto stanca, si sdraiò in un lettino ma non ce n'era uno che le andasse bene: questo era troppo lungo, quell'altro troppo corto; finalmente il settimo fu quello giusto, vi si coricò, si raccomandò a Dio e si addormentò. Quando fu buio arrivarono i padroni di casa: erano sette nani che estraevano i minerali dai monti. Accesero le loro sette candeline e, quando la casetta fu illuminata, si accorsero che era entrato qualcuno, perché‚ non era tutto in ordine come l'avevano lasciato. Il primo disse: -Chi è seduto sulla mia seggiola?- Il secondo: -Chi ha mangiato dal mio piattino?-. Il terzo. -Chi ha preso un pezzo del mio panino?-. Il quarto: -Chi ha mangiato un po' della mia verdura?-. Il quinto: -Chi ha usato la mia forchettina?-. Il sesto: -Chi ha tagliato con il mio coltellino?-. Il settimo: -Chi ha bevuto dal mio bicchierino?- Poi il primo si guardò intorno e vide che il suo letto era un po' schiacciato e disse: -Chi ha schiacciato il mio lettino?-. Gli altri arrivarono di corsa e gridarono: -Anche nel mio c'è stato qualcuno!-. Ma il settimo, quando guardò nel suo lettino, vi scorse Biancaneve addormentata. Allora chiamò gli altri che accorsero e, gridando di meraviglia, presero le loro sette candeline e illuminarono Biancaneve. -Ah, Dio mio! ah, Dio mio!- esclamarono -che bella bambina!- E la loro gioia fu tale che non la svegliarono ma la lasciarono dormire nel lettino. Il settimo nano dormì con i suoi compagni: un'ora con ciascuno, e la notte passò. Al mattino, Biancaneve si svegliò e, vedendo i sette nani, s'impaurì. Ma essi le chiesero con gentilezza: -Come ti chiami?-. -Mi chiamo Biancaneve- rispose. -Come hai fatto ad arrivare fino alla nostra casa?- chiesero ancora i nani. Allora ella si mise a raccontare che la sua matrigna voleva farla uccidere, ma il cacciatore le aveva risparmiato la vita ed ella aveva corso tutto il giorno, finché‚ aveva trovato la casina. I nani dissero: -Se vuoi provvedere alla nostra casa, cucinare, fare i letti, lavare, cucire e fare la calza, e tenere tutto in ordine e ben pulito, puoi rimanere con noi e non ti mancherà nulla-. Biancaneve promise che avrebbe fatto tutto ciò, e tenne in ordine la loro casetta. La mattina i nani andavano nei monti in cerca di minerali e dl oro, la sera ritornavano e la cena doveva essere pronta. Durante la giornata la fanciulla era sola e i nani la misero in guardia dicendole: -Fai attenzione alla tua matrigna, farà in fretta a sapere che tu sei qui: non aprire a nessuno-. Ma la regina, credendo di aver mangiato il fegato e i polmoni di Biancaneve, non pensava ad altro se non ch'ella era di nuovo la prima e la più bella; andò davanti allo specchio e disse:-Specchio fatato, in questo castello, hai forse visto aspetto più bello?-E lo specchio rispose:-Il tuo aspetto qui di tutte è il più bello. Ma lontano da qui, in una casina di sette nani, piccina piccina, è Biancaneve dalla chioma corvina molto più bella della Regina!-La regina inorridì poiché‚ sapeva che lo specchio non mentiva e capì che il cacciatore l'aveva ingannata e che Biancaneve era ancora in vita. E, siccome lo specchio le aveva rivelato che la bambina si trovava fra i monti, presso i sette nani, si mise a pensare nuovamente a come fare per ucciderla: perché‚ se non era la più bella in tutto il paese, l'invidia non le dava requie. Pensa e ripensa, si tinse il viso e si travestì da vecchia merciaia, riuscendo a rendersi perfettamente irriconoscibile. Così camuffata, passò i sette monti e arrivò fino alla casa dei setti nani; bussò alla porta e gridò: -Roba bella, comprate! comprate!-. Biancaneve diede un'occhiata fuori dalla finestra e disse: -Buon giorno, buona donna, cosa avete da vendere?-. -Roba buona, roba bella- rispose la vecchia -stringhe di tutti i colori.- E, così dicendo, ne tirò fuori una di seta variopinta e gliela mostrò. "Questa brava donna posso lasciarla entrare" pensò Biancaneve "ha buone intenzioni." Aprì la porta e si comprò la stringa colorata. -Aspetta bimba- disse la vecchia -come se conciata! Vieni per una volta voglio allacciarti io come si deve!- Biancaneve non sospettò nulla di male, le si mise davanti e si lasciò allacciare con la stringa nuova. Ma la vecchia strinse tanto e così rapidamente che a Biancaneve mancò il respiro e cadde a terra come morta. -Finalmente la tua bellezza è tramontata!- disse la perfida donna, e se ne andò. Poco dopo, a sera, ritornarono i sette nani: come si spaventarono nel vedere la loro cara Biancaneve distesa a terra, immobile come se fosse morta! La sollevarono e, vedendo che aveva la vita troppo stretta, tagliarono la stringa. Allora ella incominciò a respirare a fatica, poi, a poco a poco, riprese vigore. Quando i nani udirono ciò che era accaduto, dissero: -La vecchia merciaia non era altri che la regina. Sta' in guardia, e non lasciar entrare nessuno, mentre noi non ci siamo!-. Ma la regina cattiva, appena a casa, andò davanti allo specchio e domandò:-Specchio fatato, in questo castello, hai forse visto aspetto più bello?-E lo specchio rispose:-Il tuo aspetto qui di tutte è il più bello. Ma lontano da qui, in una casina di sette nani, piccina piccina, è Biancaneve dalla chioma corvina molto più bella della Regina!-All'udire queste parole, il sangue le affluì tutto al cuore dallo spavento, poiché‚ vide che Biancaneve era tornata a vivere. Così si rimise nuovamente a pensare a come potesse sbarazzarsene e pensò di utilizzare un pettine avvelenato. Poi si travestì e prese nuovamente le sembianze di una povera donna, del tutto diversa dalla precedente, però. Passò i sette monti e giunse alla casa dei nani; bussò alla porta e gridò: -Roba bella, comprate! comprate!-. Biancaneve diede un'occhiata fuori e disse: -Non posso lasciar entrare nessuno-. Ma la vecchia disse: -Guarda un po' che bei pettini!-. Tirò fuori quello avvelenato e glielo mostrò. Alla bambina piacque tanto che si lasciò raggirare, aprì la porta e lo comprò. Poi la vecchia disse: -Lascia che ti pettini-. Biancaneve non sospettò nulla di male, ma come la vecchia le infilò il pettine fra i capelli, il veleno agì e la fanciulla cadde a terra come morta. -Finalmente è finita per te!- disse la vecchia, e se ne andò. Ma, per fortuna era quasi sera e i sette nani stavano per ritornare. Non appena videro Biancaneve distesa a terra come morta, pensarono subito a un nuovo imbroglio della cattiva matrigna; si misero a cercare e trovarono il pettine avvelenato. Come l'ebbero tolto, Biancaneve si riebbe e raccontò ciò che le era accaduto. Allora essi le raccomandarono ancora una volta di stare attenta e di non aprire la porta a nessuno. A casa, la regina si mise davanti allo specchio e disse:-Specchio fatato, in questo castello, hai forse visto aspetto più bello?-Come al solito lo specchio rispose:-Il tuo aspetto qui di tutte è il più bello. Ma lontano da qui, in una casina di sette nani, piccina piccina, è Biancaneve dalla chioma corvina molto più bella della Regina!-A queste parole, ella rabbrividì e fremette per la collera. Poi gridò: -Biancaneve deve morire, dovesse costarmi la vita.- Andò in una stanza segreta dove nessuno poteva entrare e preparò una mela velenosissima. Di fuori era così bella rossa, che invogliava solo a vederla, ma chi ne mangiava un pezzetto doveva morire. Quando la mela fu pronta, ella si tinse il viso e si travestì da contadina; così camuffata passò i sette monti e arrivò fino alla casa dei nani. Bussò, Biancaneve si affacciò alla finestra e disse: -Non posso lasciar entrare nessuno, i nani me l'hanno proibito!-. -Non importa- rispose la contadina -venderò lo stesso le mie mele. Tieni, voglio regalartene una.- -No- disse Biancaneve, -non posso accettar nulla.- -Hai forse paura del veleno?- disse la vecchia. -Facciamo così: tu mangerai la parte rossa e io quella bianca.- Ma la mela era fatta con tanta arte che soltanto la parte rossa era avvelenata. Biancaneve desiderava tanto la bella mela e, quando vide che la contadina ne mangiava non pot‚ più trattenersi e allungò la mano per farsi dare la sua metà. Ma al primo boccone, cadde a terra morta. Allora la regina disse: -Questa volta nessuno ti risveglierà!-. Tornò a casa e domandò allo specchio:-Specchio fatato, in questo castello, hai forse visto aspetto più bello?-Finalmente lo specchio rispose:-E' il tuo, Regina, di tutte il più bello!-E il cuore invidioso finalmente ebbe pace, se ci può essere pace per un cuore invidioso. A sera, quando i nani tornarono a casa, trovarono Biancaneve distesa a terra: dalle sue labbra non usciva respiro, era morta. La sollevarono, guardarono se vi fosse qualcosa di velenoso, le slacciarono le vesti, le pettinarono i capelli, la lavarono con acqua e vino, ma inutilmente: la cara bambina era morta e non si ridestò. La distesero allora in una bara, vi si sedettero accanto tutti e sette e la piansero per tre giorni interi. Poi volevano sotterrarla, ma ella era ancora così fresca, le sue guance erano così belle rosse da farla sembrare ancora in vita. Allora dissero -Non possiamo seppellirla nella terra nera- e fecero fare una bara di cristallo, perché‚ la si potesse vedere da ogni lato, ve la deposero, vi misero sopra il suo nome, a caratteri d'oro, e scrissero che era figlia di re. Poi esposero la bara sul monte, e uno di loro vi rimase sempre a guardia. Anche gli animali vennero a piangere Biancaneve: prima una civetta, poi un corvo e infine una colombella. Biancaneve giacque per molto, molto tempo nella bara, ma non si decompose: sembrava che dormisse poiché‚ era ancora bianca come la neve, rossa come il sangue e nera come l'ebano. Ma un bel giorno un principe capitò nel bosco e si recò a pernottare nella casa dei nani. Vide la bara di Biancaneve sul monte e lesse ciò che vi era scritto a caratteri d'oro. Allora disse ai nani: -Lasciatemi la bara; vi darò ciò che vorrete in compenso-. Ma i nani risposero: -Non la cediamo per tutto l'oro del mondo-. -Allora regalatemela- disse egli -non posso vivere senza vedere Biancaneve: voglio onorarla e ossequiarla come colei che mi è più cara al mondo.- A queste parole i buoni nani si impietosirono e gli diedero la bara. Il principe ordinò ai suoi servi di portarla sulle spalle. Ora avvenne che essi inciamparono in uno sterpo e per l'urto il pezzo di mela avvelenata che Biancaneve aveva inghiottito le uscì dalla gola. Ella tornò in vita, si mise a sedere e disse: -Ah Dio! dove sono?-. -Sei con me!- rispose il principe pieno di gioia, le raccontò ciò che era avvenuto e aggiunse: -Ti amo al di sopra di ogni altra cosa al mondo; vieni con me nel castello di mio padre, sarai la mia sposa-. Biancaneve acconsentì e andò con lui, e le nozze furono allestite con gran pompa e splendore. Ma alla festa fu invitata la perfida matrigna.Indossate le sue belle vesti, ella andò allo specchio e disse:-Specchio fatato, in questo castello, hai forse visto aspetto più bello?-Lo specchio rispose:-Qui sei la più bella, oh Regina, ma molto più bella è la sposina!-All'udire queste parole, la cattiva donna si spaventò, e il suo affanno era così grande che non poteva più dominarsi. Da principio non voleva più assistere alle nozze, ma l'invidia la tormentò al punto che dovette andare a vedere la giovane regina. Entrando, vide che non si trattava d'altri che di Biancaneve e impietrì per l'orrore. Ma sulla brace erano già pronte due pantofole di ferro: quando furono incandescenti gliele portarono, ed ella fu costretta a calzare le scarpe roventi e a ballarvi finché‚ le si bruciarono miseramente i piedi e cadde a terra morta.Questo episodio è offerto da Podbean.com.

Il re Bazza di Tordo

Tuesday Aug 13, 2024

Tuesday Aug 13, 2024

Un re aveva una figlia di straordinaria bellezza, ma molto altera e sdegnosa, sicché‚ nessun pretendente le pareva degno di lei, ed ella li respingeva l'uno dopo l'altro, deridendoli per giunta. Una volta il re ordinò una gran festa e invitò quanti desiderassero ammogliarsi. I pretendenti furono messi in fila secondo il grado e il ceto: prima i re, poi i duchi, i principi, i conti e i baroni, e infine i nobili. La principessa fu condotta fra di loro, ma a ciascuno trovava qualcosa da ridire: questo era troppo grasso: -Che botte!- esclamava; quello era troppo lungo: -Lungo, lungo, alto fin là, bella andatura proprio non ha!-; il terzo troppo piccolo: -Così grasso e piccolino, sembra proprio un maialino!-; il quarto troppo pallido: -Terreo come la morte!-; il quinto troppo rosso: -Che tacchino!-; il sesto non era perfettamente diritto: -Legna verde seccata dietro la stufa!-. E così trovava sempre qualcosa da ridire su ciascuno; ma in particolare beffeggiò un buon re che si trovava in prima fila e aveva il mento un po' ricurvo. -Oh- esclamò ridendo -quello ha il mento come il becco di un tordo!- E da quel momento lo chiamarono Bazza di Tordo. Ma il vecchio re andò in collera vedendo che la figlia non faceva altro che prendersi gioco dei pretendenti là riuniti, sdegnandoli, e giurò di darla in moglie al primo mendicante che bussasse alla sua porta. Qualche giorno più tardi un suonatore si mise a cantare sotto la finestra per avere una piccola elemosina. Quando il re l'udì, disse: -Fatelo salire!-. Entrò un suonatore lurido e cencioso, cantò davanti al re e a sua figlia e, quand'ebbe finito, domandò una modesta ricompensa. Il re disse: -Il tuo canto mi è così piaciuto che voglio darti mia figlia in isposa-. La principessa inorridì, ma il re disse: -Ho fatto giuramento di darti al primo accattone e lo manterrò-. A nulla valsero le proteste: fu chiamato il parroco ed ella dovette sposare il suonatore. Celebrate le nozze, il re disse: -Non si confà che la moglie di un mendicante abiti nel mio castello, non hai che da andartene con tuo marito-. Il mendicante se ne andò così insieme a lei. Arrivarono in un grande bosco ed ella domandò:-Questo bel bosco a chi appartiene?- -Bazza di Tordo in suo poter lo tiene. Sarebbe tuo non l'avessi rifiutato.- -Povera me, or tutto ho ricordato, come vorrei che ciò non fosse stato!-Poi attraversarono un bel prato ed ella chiese ancora:-Questo prato verde a chi appartiene?- -Bazza di Tordo in suo poter lo tiene. Sarebbe tuo non l'avessi rifiutato.- -Povera me, or tutto ho ricordato, come vorrei che ciò non fosse stato!-Giunsero poi in una gran città ed ella tornò a domandare:-Che prospera città! A chi appartiene?- -Bazza di Tordo in suo poter la tiene. Sarebbe tuo non l'avessi rifiutato.- -Povera me, or tutto ho ricordato, come vorrei che ciò non fosse stato!-Allora il suonatore disse: -Non mi garba affatto che tu rimpianga sempre un altro marito; non ti basto io, forse?-. Finalmente giunsero ad una piccola casetta, ed ella disse:-Ah, Dio mio! Che casa piccina! A chi appartiene la povera casina?-Il suonatore rispose: -E' la mia casa e la tua, dove abiteremo insieme-. -Dove sono i servi?- chiese la principessa. -macché‚ servi!- rispose il mendicante -devi farti da sola ciò che vuoi. Accendi subito il fuoco e metti l'acqua a bollire per la cena: sono stanco morto.- Ma la principessa non sapeva n‚ accendere il fuoco n‚ cucinare, e il mendicante dovette darle una mano perché‚ potesse cavarsela. Quand'ebbero mangiato il pasto frugale, si coricarono ma, il mattino dopo, egli la buttò fuori dal letto di buon'ora perché‚ sbrigasse le faccende di casa. Per un paio di giorni vissero così alla meno peggio e consumarono le loro provviste. Poi l'uomo disse: -Moglie, non possiamo continuare così, a mangiare senza guadagnare. Farai dei canestri-. Andò a tagliare dei giunchi e li portò a casa; ella incominciò a intrecciarli, ma i giunchi duri le ferivano le mani delicate. -Vedo che non va- disse l'uomo. -Fila piuttosto forse ti riesce meglio.- Ella si mise a sedere e cercò di filare; ma il filo duro le tagliò ben presto le tenere dita facendole sanguinare. -Vedi- disse l'uomo -non sei buona a nulla: con te sono capitato male. Be', voglio provare a commerciare in pentole e stoviglie di terra: venderai la merce al mercato- "Ah," pensò la principessa "se viene al mercato gente dal regno di mio padre, e mi vede seduta a vendere, si farà beffe di me!" Ma non c'era via d'uscita, dovette andarci se non voleva morir di fame. La prima volta andò bene: per la sua grande bellezza, la gente comprava volentieri la sua merce e pagava ciò che ella chiedeva; molti le diedero addirittura il denaro lasciandole le pentole. Tirarono avanti con quel guadagno finché‚ durò, poi l'uomo acquistò un altro mucchio di stoviglie. Ella si mise a sedere in un angolo del mercato ed espose la merce in vendita intorno a s‚. Ma improvvisamente arrivò al galoppo un ussaro ubriaco che finì con il cavallo proprio fra le pentole, mandandole in mille pezzi. Ella si mise a piangere e per l'affanno non sapeva che fare. -Ah, che sarà di me!- esclamò. -Cosa dirà mio marito!- Corse a casa e gli raccontò l'accaduto. -Chi mai va a sedersi all'angolo del mercato con stoviglie di terra!- disse l'uomo. -Smettila di piangere, vedo bene che non sei buona a nulla. Proprio per questo sono stato al castello del nostro re e ho domandato se aveva bisogno di una sguattera; mi hanno promesso che ti prenderanno, in cambio ti daranno da mangiare.- Così la principessa diventò sguattera; dovette aiutare il cuoco ed eseguire i lavori più faticosi. A ogni tasca fissava un pentolino per portare a casa gli avanzi; e così campavano. Ora avvenne che si dovevano celebrare le nozze del figlio primogenito del re; la povera donna salì le scale e si mise davanti alla porta della sala per guardare. Fra tanto lusso e splendore, ella pensava tutta afflitta al suo destino e malediva la superbia e l'arroganza che l'avevano precipitata in tanta miseria. Ogni tanto i servi le buttavano qualche avanzo dei piatti deliziosi che venivano serviti, ed ella li metteva nei suoi pentolini per portarli a casa. D'un tratto entrò il principe tutto vestito d'oro e, quando vide la bella donna sulla porta, la prese per mano e voleva ballare con lei. Ma lei rifiutò, spaventata, poiché‚ riconobbe il re Bazza di Tordo, il pretendente che aveva respinto e dileggiato. Mentre ella faceva resistenza, il principe la tirò nella sala; così si ruppe il cordino da cui pendevano le tasche: i pentolini caddero a terra facendo colar fuori la minestra e gli avanzi si sparsero qua e là. A quella vista, tutti scoppiarono a ridere, sbeffeggiandola; ed ella si vergognò tanto che avrebbe preferito essere mille braccia sotto terra. Corse alla porta e voleva fuggire, ma sulle scale un uomo la raggiunse e la riportò indietro. E quando ella lo guardò, vide che era di nuovo il re Bazza di Tordo. -Non aver paura- le disse questi -io e il suonatore che abitava con te nella misera casetta siamo la stessa persona: per amor tuo mi sono travestito così: e sono anche l'ussaro che ti ha spezzato le stoviglie. Tutto ciò è accaduto per spezzare il tuo orgoglio e per punire l'arroganza con la quale ti sei presa gioco di me. Ma ora tutto è finito, e adesso festeggeremo le nostre nozze.- Allora vennero le ancelle e le fecero indossare le vesti più sontuose, e venne il padre della principessa con tutta la corte per farle gli auguri per il suo sposalizio con il re Bazza di Tordo; e la vera festa incominciò solo allora. Se io e te ci fossimo stati!Questo episodio è offerto da Podbean.com.

Ucceltrovato

Tuesday Aug 13, 2024

Tuesday Aug 13, 2024

C'era una volta un guardaboschi che andò a caccia nella foresta e, come vi giunse, gli sembrò di sentir gridare un bambino piccolo. Seguì la direzione delle grida e giunse infine a un grande albero sul quale vi era un piccino. La madre si era addormentata con il bambino in grembo ai piedi dell'albero e un uccello rapace l'aveva visto, gli era piombato addosso e, presolo nel becco, l'aveva portato sull'albero. Il guardaboschi salì a prenderlo e pensò: "Porterai il bambino a casa e lo alleverai insieme alla tua Lena-. Lo portò a casa e i due bambini crebbero insieme. Ma quello che avevano trovato sull'albero e che era stato rapito da un uccello fu chiamato Ucceltrovato. Ucceltrovato e Lena si volevano bene, tanto ma tanto che, se non si vedevano, diventavano tristi. Ma il guardaboschi aveva una vecchia cuoca che una sera prese due secchi e incominciò a recarsi alla fonte; ma non ci andò una volta sola, bensì più volte. Lena la vide e disse: -Senti un po', vecchia, perché‚ porti tanta acqua?-. -Se non lo dici a nessuno, te lo dirò.- E quando Lena promise che non l'avrebbe detto a nessuno, la cuoca rispose: -Domattina presto, quando il guardaboschi sarà a caccia, scalderò l'acqua; e quando bollirà ci butterò dentro Ucceltrovato per farlo cuocere-. La mattina dopo il guardaboschi si alzò di buon'ora per andare a caccia. Quando fu uscito i bambini erano ancora a letto, e Lena disse a Ucceltrovato: -Se non mi lasci, neppure io ti lascerò-. Ucceltrovato rispose: -N‚ ora n‚ mai-. Allora Lena disse: -Ti dirò che ieri sera la vecchia portava in casa tanti secchi d'acqua; allora le chiesi perché‚ e lei mi rispose che me l'avrebbe detto se io non l'avessi rivelato a nessuno. Io promisi che non avrei fiatato con nessuno, allora ella disse che questa mattina, dopo che il babbo fosse partito per la caccia, intendeva far bollire il paiolo, buttarti dentro e cuocerti. Alziamoci, presto, vestiamoci e scappiamo insieme-. Così i due bambini si alzarono, si vestirono in fretta e scapparono. Quando l'acqua bollì in pentola, la cuoca andò nella camera da letto per prendere Ucceltrovato e buttarvelo dentro. Ma quando entrò e si avvicinò ai letti, i bambini non c'erano più; allora le venne una gran paura e disse fra s‚: -Cosa dirò mai, quando il guardaboschi torna a casa e vede che non ci sono più i bambini? Presto, bisogna rincorrerli e riacciuffarli!-. La cuoca mandò tre servi a inseguire di corsa i bambini. Ma questi erano seduti al margine del bosco e, quando videro i tre servi venire di corsa da lontano, Lena disse a Ucceltrovato: -Se non mi lasci, neppure io ti lascerò-. E Ucceltrovato rispose: -N‚ ora n‚ mai-. Allora Lena disse: -Diventa un rosaio e io una rosellina!-. E quando i tre servi arrivarono davanti al bosco, non c'era che un rosaio con una rosellina, ma di bambini neanche l'ombra. Allora dissero: -Qui non c'è niente da fare- e se ne ritornarono a casa dicendo alla cuoca che non avevano visto nient'altro che un rosaio e una rosellina. Allora la vecchia li rimproverò aspramente e disse: -Babbei!, avreste dovuto spezzare il rosaio, cogliere la rosellina e portarla a casa: sbrigatevi a farlo!-. Così, per la seconda volta, i servi dovettero andare a cercarli. Ma i bambini li videro venir da lontano e Lena disse: -Ucceltrovato, se non mi lasci, neppure io ti lascerò!-. E Ucceltrovato rispose: -N‚ ora n‚ mai!-. Allora Lena disse: -Diventa una chiesa, e io la lumiera!-. Quando giunsero i tre servi, non c'era altro che una chiesa e, dentro, una lumiera. Dissero fra loro: -Cosa stiamo a fare qui? Torniamocene a casa!-. Quando furono a casa la cuoca domandò se non avessero trovato nulla, ed essi risposero che no, null'altro che una chiesa con dentro una lumiera. -Stupidi!- urlò la cuoca -perché‚ non avete distrutto la chiesa e portato a casa la lumiera?- Questa volta la vecchia cuoca si mise lei stessa in cammino e andò alla ricerca dei bambini con i tre servi. Ma i bambini videro venire di lontano i tre servi con la cuoca che barcollava dietro a loro. Allora Lena disse: -Ucceltrovato, se non mi lasci, neppure io ti lascerò!-. E Ucceltrovato rispose: -N‚ ora n‚ mai!-. Disse Lena: -Diventa uno stagno e io l'anitra nello stagno-. Quando la cuoca arrivò e vide lo stagno, si distese sulla riva e voleva berlo tutto. Ma l'anitra accorse a nuoto, la prese con il becco per la testa e la tirò in acqua: e così la vecchia strega dovette annegare. Poi i bimbi se ne tornarono a casa tutti contenti e, se non sono morti, sono ancora viventi.Questo episodio è offerto da Podbean.com.

Rosaspina

Tuesday Aug 13, 2024

Tuesday Aug 13, 2024

C'era una volta un re e una regina che ogni giorno dicevano: "Ah, se avessimo un bambino!" Ma il bambino non veniva mai. Un giorno, mentre la regina faceva il bagno, ecco che un gambero saltò fuori dall'acqua e le disse: "Il tuo desiderio sarà esaudito: darai alla luce una bambina."
La profezia del gambero si avverò e la regina partorì una bimba così bella che il re non stava più nella pelle dalla gioia e ordinò una gran festa. Non invitò soltanto i suoi parenti, amici e conoscenti, ma anche le fate perché‚ fossero benevole e propizie alla neonata. Nel suo regno ve n'erano tredici, ma siccome egli possedeva soltanto dodici piatti d'oro per il pranzo, dovette rinunciare a invitarne una.
Dopo la festa, le fate diedero alla bimba i loro doni meravigliosi: la prima le donò la virtù, la seconda la bellezza, la terza la ricchezza, e così via, tutto ciò che si può desiderare al mondo. Dieci fate avevano già formulato il loro auspicio, quando giunse la tredicesima che voleva vendicarsi perché‚ non era stata invitata. Ella disse ad alta voce: "A quindici anni, la principessa si pungerà con un fuso e cadrà a terra morta." Allora si fece avanti la dodicesima, che doveva formulare il suo voto; certo non poteva annullare la spietata sentenza, ma poteva attenuarla e disse: "La principessa non morirà ma cadrà in un sonno profondo che durerà cento anni."
Il re, sperando di poter preservare la sua bambina da quella grave disgrazia, ordinò che tutti i fusi del regno fossero bruciati. Frattanto, nella fanciulla si adempirono i voti delle fate: ella era così bella, virtuosa, gentile e intelligente, che non si poteva guardarla senza volerle bene. Ora avvenne che proprio il giorno in cui compì quindici anni, il re e la regina erano fuori ed ella rimase sola nel castello. Giro dappertutto, visitò ogni stanza a piacer suo e giunse infine a una vecchia torre. Salì una stretta scaletta che la condusse fino a una porticina. Nella serratura c'era una chiave arrugginita e quand'ella la girò, la porta si spalancò: in una piccola stanzetta c'era una vecchia con un fuso che filava con solerzia il suo lino.
"Oh, nonnina," disse la principessa, "che cosa stai facendo?" - "Filo," rispose la vecchia, e assentì con il capo. "Come gira quest'aggeggio!" esclamò la fanciulla, e prese in mano il filo per filare anche lei. Ma non appena lo toccò, si compì l'incantesimo ed ella si punse un dito.
Come sentì la puntura, cadde a terra in un sonno profondo. E il re e la regina, che stavano rincasando, si addormentarono anch'essi con tutta la corte. I cavalli si addormentarono nelle stalle, i cani nel cortile, le colombe sul tetto, le mosche sulla parete; persino il fuoco che fiammeggiava nel camino si smorzò e si assopì, l'arrosto smise di sfrigolare e il cuoco, che voleva prendere per i capelli uno sguattero colto in flagrante, lo lasciò andare e si addormentò anche lui. Tutto ciò che aveva parvenza di vita, tacque e dormì.
Intorno al castello crebbe una siepe di fitte spine, che ogni anno diventava sempre più alta finché‚ arrivò a cingerlo completamente e a ricoprirlo tutto; così non se ne vide più nulla, neanche le bandiere sul tetto. Ma nel paese si diffuse la leggenda di Rosaspina, la bella addormentata, come veniva chiamata la principessa; e ogni tanto veniva qualche principe che si avventurava attraverso il roveto tentando di raggiungere il castello. Ma non riuscivano a penetrarvi perché‚ le spine li trattenevano come se si fosse trattato di mani, ed essi si impigliavano e morivano miseramente.
Dopo molti, molti anni, giunse nel paese un altro principe; un vecchio gli parlò dello spineto che circondava un castello nel quale una meravigliosa principessa di nome Rosaspina dormiva con tutta la corte. Già suo nonno gli aveva narrato che molti principi avevano tentato di penetrare fra le spine ma vi erano rimasti imprigionati ed erano miseramente periti. Allora il giovane disse: "Io non ho timore: attraverserò i rovi e vedrò la bella Rosaspina." Il vecchio cercò di dissuaderlo in tutti i modi, ma egli non gli diede retta.
Ora, proprio il giorno in cui il principe tentò l'impresa erano trascorsi cento anni. Quando si avvicinò al roveto, non trovò che fiori bellissimi che si scostarono spontaneamente al suo passaggio, ricongiungendosi alle sue spalle, sicché‚ egli passò illeso. Giunto nel cortile del castello, vide cavalli e cani da caccia pezzati che dormivano, distesi a terra; sul tetto erano posate le colombe con le testine sotto l'ala. Quando entrò, le mosche dormivano sulla parete e il cuoco, in cucina, tendeva ancora la mano per afferrare lo sguattero, mentre la serva sedeva davanti al pollo nero che doveva spennare.
Egli andò oltre e vide dormire tutta la corte e in alto, sul trono, dormivano il re e la regina. Proseguì ancora e il silenzio era tale che egli udiva il proprio respiro. Finalmente giunse alla torre e aprì la porta della cameretta in cui dormiva Rosaspina. Giaceva là, ed era così bella che egli non riusciva a distoglierne lo sguardo. Si chinò e le diede un bacio.
E, come l'ebbe baciata, Rosaspina aprì gli occhi, si svegliò e lo guardò tutta ridente. Allora scesero insieme e il re, la regina e tutta la corte si svegliarono e si guardarono l'un l'altro stupiti. I cavalli in cortile si alzarono e si scrollarono; i cani da caccia saltarono su scodinzolando; le colombe sul tetto levarono la testina da sotto l'ala, si guardarono intorno e volarono nei campi; le mosche ripresero a muoversi sulle pareti; il fuoco in cucina si ravvivò, si mise ad ardere e continuò a cuocere il pranzo; l'arrosto ricominciò a sfrigolare, il cuoco diede allo sguattero uno schiaffo che lo fece gridare, e la serva finì di spennare il pollo.
Poi furono celebrate con gran fasto le nozze del principe e di Rosaspina, che vissero felici fino alla morte.Questo episodio è offerto da Podbean.com.

I sei cigni

Tuesday Aug 13, 2024

Tuesday Aug 13, 2024

Una volta un re cacciava in una gran foresta e inseguiva la selvaggina con tanto ardore che nessuno del suo seguito riuscì a tenergli dietro. Infine, non riuscendo a trovare la via del ritorno, si rese conto di essersi smarrito. D'un tratto vide avvicinarsi una vecchia curva e con la testa tremante: era una strega. Il re le rivolse la parola dicendole: -Indicatemi il cammino per attraversare il bosco-. -Oh sì, maestà- rispose ella -ma a condizione che sposiate mia figlia facendo di lei una regina, altrimenti sarete costretto a rimanere qui e morire di fame poiché‚, senza il mio aiuto, non riuscirete mai a uscire dal bosco.- Il re, al quale era cara la vita, impaurito acconsentì, e si lasciò condurre dalla fanciulla. Ella era molto bella, ma al re non piaceva, e non poteva guardarla senza provare un intimo ribrezzo. La strega li condusse entrambi sulla via che menava al castello e, quando vi giunsero, il re dovette mantenere la propria parola e sposare la ragazza. Il re era vedovo e aveva avuto dalla prima moglie sei maschietti e una bambina, e li amava più di ogni altra cosa al mondo. Temendo che la matrigna potesse fare loro del male, li portò in un castello solitario, sito in mezzo a un bosco. La strada per arrivarvi era così difficile da trovare che egli stesso non l'avrebbe trovata se una maga non gli avesse dato un gomitolo di filo che, gettato a terra, si svolgeva da solo e indicava il cammino. Ma il re si recava così sovente dai suoi cari figlioletti,che la regina finì coll'accorgersene e, curiosa, volle sapere cosa andasse a fare il re da solo nella foresta. Riuscì a corrompere i servi e questi le rivelarono il segreto. Per prima cosa, ella si impossessò del gomitolo con l'astuzia, poi fece sette piccole camicine e si mise in cammino. Il gomitolo le indicò la strada e i sei bambini, vedendo arrivare qualcuno, pensarono che si trattasse del loro babbo e pieni di gioia gli corsero incontro. Allora ella gettò una camicina su ciascuno, e non appena questa sfiorò il corpo, essi si trasformarono in cigni e se ne volarono via per la foresta. La regina se ne andò a casa convinta di essersi liberata dei figliastri; ma la bambina non le era corsa incontro con i fratelli, e la matrigna non sapeva della sua esistenza. Il giorno seguente venne il re ma non trovò nessuno all'infuori della bambina che gli raccontò di aver visto, dalla sua finestra, volar via i suoi cari fratelli trasformati in cigni; e gli mostrò le piume che avevano lasciato cadere nel cortile e che ella aveva raccolto. Il re ne fu molto afflitto, ma non pensò che fosse stata la regina a compiere il maleficio e, temendo che gli rapissero anche la bambina, voleva portarla con s‚. Ma ella aveva paura della matrigna e pregò il padre di lasciarle trascorrere una notte nel castello del bosco. Quando si fece buio, la fanciulla fuggì addentrandosi nel bosco. Camminò tutta la notte e anche il giorno dopo senza mai fermarsi, finché‚ non pot‚ più proseguire, vinta dalla stanchezza Allora vide una capanna, salì e trovò una stanza con sei lettini e, non osando coricarsi in nessuno di essi, vi si cacciò sotto, sdraiandosi sul pavimento per passarvi la notte. Al calar del sole udì un frullar d'ali e vide sei cigni entrare volando dalla finestra. Essi si posarono a terra e si soffiarono addosso l'un l'altro, fino a farsi cadere tutte le piume di dosso; e la pelle di cigno si tolse come una camicia. La fanciulla li osservò e vide che erano i suoi fratelli; allora, piena di gioia, sbucò fuori dal letto. Anch'essi si allietarono nello scorgere la loro sorellina, ma, ben presto, si fecero tristi e dissero: -Qui non puoi rimanere, questo è un covo di briganti, se tornano a casa e ti trovano, ti uccideranno-. -Voi non potete proteggermi?- domandò la sorellina. -No- risposero -soltanto per un quarto d'ora ogni sera possiamo deporre la nostra pelle di cigno e riprendere le sembianze umane; ma poi ci trasformiamo nuovamente.- -E io non posso liberarvi in qualche modo?- chiese la sorellina. -Ah no- risposero -sarebbe troppo difficile: per sei anni non puoi ridere n‚ parlare e nel frattempo devi cucire per noi sei camicine di astri. Se pronunci una sola parola, tutto è perduto.- Detto questo, il quarto d'ora era trascorso e i fratelli tornarono a trasformarsi in cigni. Ma la fanciulla disse fra s‚: -Voglio liberare i miei fratelli ad ogni costo, dovesse costarmi la vita-. La mattina dopo andò a raccogliere astri, andò a sedersi su di un albero alto e si mise a cucire. Non poteva parlare con nessuno n‚ aveva voglia di ridere: sedeva e non faceva altro che lavorare. Era già passato molto tempo, quando il re del paese andò a caccia nel bosco e i suoi cacciatori giunsero all'albero sul quale la ragazza sedeva e cuciva. Essi le gridarono: -Chi sei? Vieni giù!-. Ma ella non rispose e si limitò a scuotere il capo. Essi ricominciarono a chiamarla e la fanciulla gettò loro la sua catenina d'oro pensando di accontentarli. Ma siccome quelli non la lasciavano in pace, gettò loro la cintura, e visto che neanche questo servì, le giarrettiere, e infine tutto ciò che aveva indosso e di cui poteva privarsi, sicché‚ alla fine rimase in camicia. Ma i cacciatori non erano soddisfatti, salirono sull'albero, presero la fanciulla e la portarono al re. Il re le chiese: -Chi sei? Di dove vieni?- e glielo chiese in tutte le lingue che sapeva, ma ella non rispose e rimase muta come un pesce. Ella era tanto bella, che egli non aveva mai visto nessuna donna di pari avvenenza e si innamorò ardentemente. Così l'avvolse nel suo mantello, la mise sul suo cavallo e la portò al castello. Là le fece indossare ricche vesti, sicché‚ ella pareva sfolgorare nella sua bellezza come la luce del giorno, ma non si riuscì a farla parlare. A tavola il re la fece sedere al suo fianco e fu così colpito dalla modestia e dalla sua grazia che disse: -Questa sarà la mia sposa, e nessun'altra al mondo!-. E, dopo qualche giorno, si celebrarono le nozze. Ma il re aveva una madre cattiva, che non era contenta di quel matrimonio e parlava male della giovane regina. -Chissà da dove viene quella ragazzaccia che non sa parlare!- diceva. -Non è degna di un re!- Dopo un anno, quando la regina diede alla luce il suo primogenito, la vecchia glielo portò via e le spalmò la bocca di sangue. Poi andò dal re e la accusò di essere un'orchessa. Ma il re non volle crederle, tanto grande era il suo amore, e non permise che le torcessero un capello. Intanto la regina continuava a cucire le sue camicie senza curarsi d'altro. La seconda volta partorì un altro bel maschietto, e la perfida suocera usò lo stesso artificio; ma il re non pot‚ risolversi a prestar fede alle sue parole e disse: -E' muta e non può difendersi, sennò manifesterebbe la sua innocenza-. Ma quando la vecchia rapì il neonato per la terza volta e accusò la regina che non disse una parola a propria discolpa, il re fu costretto a consegnarla al tribunale che la condannò a morire bruciata viva. Venuto il giorno dell'esecuzione, ecco trascorso anche l'ultimo giorno dei sei anni durante i quali ella non aveva potuto n‚ ridere n‚ parlare per poter liberare i suoi cari fratelli dal potere dell'incantesimo. Le sei camicie erano pronte, soltanto all'ultima mancava ancora la manica sinistra. Quando la condussero al rogo, le prese con s‚ e, mentre stavano per appiccare il fuoco, alzò gli occhi e vide sei cigni giungere a volo per l'aria. Allora il cuore le balzò in petto dalla gioia e disse fra s‚: -Ah, Dio, finalmente questo tempo così duro volge alla fine!-. Con un frullar d'ali, i cigni si posarono accanto a lei, sicché‚ ella pot‚ gettare loro addosso le camicie: come ne furono sfiorati, le pelli di cigno caddero ed essi le stettero innanzi sani e salvi; solo il più giovane al posto del braccio sinistro aveva un'ala di cigno attaccata alla schiena. S'abbracciarono e si baciarono, poi la regina andò dal re che stava a guardare attonito. -Carissimo sposo- disse -finalmente mi è concesso di parlare e posso dirti di essere stata accusata ingiustamente.- E gli raccontò come la vecchia l'avesse calunniata in modo esecrabile e tenesse nascosti i suoi tre bambini. Allora furono mandati a prendere con grande gioia del re, mentre, per castigo, la cattiva suocera fu legata al rogo e ridotta in cenere. Il re, la regina e i sei fratelli vissero a lungo felici e contenti.Questo episodio è offerto da Podbean.com.

Il vecchio Sultano

Tuesday Aug 13, 2024

Tuesday Aug 13, 2024

Un contadino aveva un cane fedele di nome Sultano, che era diventato vecchio e non era più in grado di acchiappare nulla. Un giorno il contadino si trovava in cortile con la moglie e diceva -Domani ucciderò il vecchio Sultano: non è più buono a nulla- La donna ebbe compassione della povera bestia e rispose: -Ci ha serviti fedelmente per tanti anni! Potremmo continuare a mantenerlo per carità-. -Ma che dici?- replicò l'uomo -sei matta: non ha più un dente in bocca, e nessun ladro potrebbe averne paura; ci ha serviti e in cambio ha avuto buoni pranzetti. Adesso che non è più buono a nulla è ora che se ne vada.- Il cane, che era disteso lì vicino e aveva sentito tutto, si spaventò ed era triste che l'indomani fosse il suo ultimo giorno. Sultano aveva un buon amico, il lupo. La sera, di nascosto, andò a trovarlo nel bosco e gli raccontò il triste destino che lo attendeva. -Non preoccuparti- disse il lupo -ho un'idea. Domani, allo spuntar del giorno, il tuo padrone e sua moglie vanno a prendere il fieno e portano con s‚ il loro piccino. Mentre lavorano lo mettono all'ombra dietro la siepe: sdraiati vicino a lui, come se volessi fargli la guardia. In quel momento io uscirò dal bosco e lo rapirò; tu corrimi dietro più in fretta che puoi, come se me lo volessi strappar via. Poi lo lascerò cadere e tu lo riporterai indietro, così crederanno che l'abbia salvato tu e te ne saranno troppo grati per farti del male; anzi tornerai a essere nelle loro grazie e non ti faranno mai mancare nulla.- La proposta piacque al cane, e tutto andò secondo le previsioni. Il contadino si mise a gridare vedendo il lupo correr via per il campo con il suo bambino, ma quando il vecchio Sultano glielo riportò, tutto felice lo accarezzò e disse: -Non ti farò alcun male, ti manterrò gratuitamente finché‚ vivrai-. Poi disse alla moglie: -Va' subito a casa e prepara una zuppa che non sia da masticare per il vecchio Sultano; dagli anche il mio guanciale, glielo regalo per la sua cuccia-. Da quel giorno in poi, il vecchio cane fu trattato con ogni riguardo, ed egli non avrebbe potuto desiderare di meglio. Il lupo venne a fargli visita e si rallegrò che tutto fosse andato secondo il loro disegno. -Senti compare- disse poi -chiuderai un occhio se per caso rubassi al tuo padrone una bella pecora. Oggigiorno è difficile tirare a campare!- -No- rispose il cane -io sono fedele al mio padrone; non posso concedertelo!- Ma il lupo pensò che il cane non facesse sul serio e, di notte, venne a prendersi il buon bocconcino. Invece il fedele Sultano aveva avvertito il suo padrone, e questi aspettò il lupo nel granaio e lo conciò per le feste. Il lupo dovette darsela a gambe, ma gridò al cane: -Questa me la pagherai, cattivo compagno!-. La mattina dopo il lupo mandò il cinghiale a chiamare il cane nel bosco, per risolvere la questione. Ma il cane non pot‚ trovare nessun padrino, all'infuori di un gatto con tre zampe. Quando si misero in cammino insieme, il povero gatto zoppicava e rizzava la coda per il dolore. Il lupo e il suo padrino si trovavano già sul posto ma, quando videro arrivare l'avversario, pensarono che portasse con s‚ una sciabola, mentre non si trattava che della coda del gatto. E vedendo la povera bestia saltellare su tre gambe, credettero che stesse raccogliendo pietre per lanciarle addosso a loro. Allora s'impaurirono tutti e due: il cinghiale si nascose nel fogliame, mentre il lupo saltò su di un albero. Avvicinandosi, il cane e il gatto si stupirono di non vedere nessuno. Ma il cinghiale non aveva potuto nascondersi del tutto nel fogliame: le orecchie sporgevano un po' fuori. Mentre il gatto si guardava attorno, il cinghiale mosse le orecchie: il gatto, credendo che si trattasse di un sorcio, vi si buttò sopra azzannandole per bene. Allora il cinghiale saltò su strepitando e fuggì gridando: -Là, sull'albero c'è il colpevole!-. Il cane e il gatto alzarono gli occhi e scorsero il lupo che si vergognò di avere avuto tanta paura e accettò di fare la pace con il cane.Questo episodio è offerto da Podbean.com.

Il ginepro

Tuesday Aug 13, 2024

Tuesday Aug 13, 2024

Molto tempo fa, saran duemila anni, c'era un ricco che aveva una moglie bella e pia; si volevano molto bene, ma non avevano bambini. Essi li desideravano tanto ma, per quanto la donna pregasse il buon Dio giorno e notte, i figli non venivano mai. Davanti alla loro casa, in cortile, c'era un pianta di ginepro. Un giorno, d'inverno, la donna sedeva sotto il ginepro intenta a sbucciarsi una mela e, sbucciandola, si tagliò un dito, e il sangue cadde sulla neve. -Ah- disse la donna sospirando e, tutta mesta, guardava quel sangue -avessi un bambino rosso come il sangue e bianco come la neve!- Come ebbe pronunciato queste parole, gioì in cuor suo, come se avesse avuto un presentimento. Andò a casa e passò una luna e la neve scomparve; dopo due lune la terra tornò a diventare verde; dopo tre lune spuntarono i fiori; dopo quattro lune gli alberi del bosco si colmarono di linfa e i rami verdi si intricarono fitti: gli uccellini cinguettavano da far risuonare tutto il bosco e i fiori cadevano dagli alberi; passata la quinta luna, la donna se ne stava sotto il ginepro e l'odore della pianta era così dolce che il cuore le scoppiava di gioia, ed ella cadde in ginocchio per la grande felicità; dopo la sesta luna i frutti ingrossarono, ed ella si chetò; alla settima luna colse alcune bacche del ginepro e le mangiò avidamente e si fece triste e si ammalò; passò l'ottava luna, ed ella chiamò suo marito e disse piangendo: -Se dovessi morire, seppelliscimi sotto il ginepro-. Poi si consolò e tornò a rallegrarsi, fino a quando, trascorsa la nona luna, le nacque un bambino, bianco come la neve e rosso come il sangue, e quando ella lo vide, la sua gioia fu così grande che morì. Allora il marito la seppellì sotto il ginepro e pianse amaramente; dopo qualche tempo incominciò a calmarsi, pianse ancora un po', poi di smise di disperarsi e, dopo un'altro po', riprese moglie. Dalla seconda moglie ebbe una figlia, mentre dalla prima aveva avuto un maschietto, rosso come il sangue e bianco come la neve. Quando la donna guardava la figlia, le voleva tanto bene; ma quando guardava il bambino, si sentiva trafiggere il cuore e le sembrava che egli la ostacolasse in ogni cosa. Pensava sempre a come fare avere a sua figlia tutta l'eredità; ispirata dal maligno si mise a odiare il ragazzo, e lo cacciava da un angolo all'altro, e lo picchiava, sicché‚ il povero bambino aveva sempre tanta paura; quando usciva di scuola non aveva più pace. Una volta la donna era salita in camera; poco dopo vi giunse anche la figlioletta e disse: -Mamma, dammi una mela-. -Sì, bimba mia- disse la donna e tirò fuori dal cassone una bella mela. Il cassone aveva un gran coperchio, pesante, con una serratura di ferro grossa e tagliente. -Mamma- disse la bimba -anche mio fratello potrà averne una?- La donna si indispettì, ma disse: -Sì, quando torna da scuola-. E, quando lo vide arrivare dalla finestra, come se fosse posseduta dal maligno, strappò la mela a sua figlia e disse: -Non devi averla prima di tuo fratello-. Poi gettò la mela nel cassone e lo richiuse. Quando il bimbo entrò, invasata dal diavolo, gli disse simulando dolcezza: -Figlio mio, vuoi anche tu una mela?- e lo guardò con il volto sconvolto. -Mamma- disse il bambino -hai una faccia che fa spavento! Sì, dammi una mela!- Le parve di dovergli fare animo. -Vieni con me- disse, e sollevò il coperchio -prenditi una mela.- E quando il bimbo si chinò, il diavolo la consigliò e, paff!, ella chiuse il coperchio sbattendolo, sicché‚ la testa schizzò via e andò a cadere fra le mele rosse. Allora ella fu presa dalla paura e pensò: "Potessi allontanarlo da me!." Andò di sopra nella sua camera e prese dal primo cassetto del suo comò un fazzoletto bianco, appoggiò nuovamente la testa sul collo e lo fasciò con il fazzoletto, in modo che non si vedesse niente; mise a sedere il bambino davanti alla porta con la mela in mano. Poco dopo Marilena andò in cucina da sua madre che se ne stava davanti al focolare a rimestare una pentola d'acqua calda. -Mamma- disse Marilena -mio fratello è seduto davanti alla porta ed è tutto bianco e ha in mano una mela; gli ho chiesto se me la dava, ma non mi ha dato risposta; allora mi sono spaventata.- -Vacci ancora- disse la madre -e se non ti risponde di nuovo, dagli una sberla!- Allora Marilena andò e gli disse: -Fratello, dammi la mela!- ma questi continuava a tacere ed ella gli diede uno scapaccione, e la testa ruzzolò per terra. Atterrita, si mise a piangere e a singhiozzare, e corse dalla mamma a dirle: -Ah, mamma! ho staccato la testa a mio fratello!-. E piangeva e piangeva e non voleva darsi pace. -Marilena- disse la madre -cos'hai fatto! Ma chetati che nessuno se ne accorga, tanto non si può farci niente: lo cucineremo in salsa agra.- La madre prese il bambino e lo fece a pezzi, lo mise in pentola e lo fece cuocere nell'aceto. Ma intanto Marilena se ne stava lì vicino e piangeva e piangeva e le lacrime finivano tutte nella pentola e non c'era bisogno di sale. Quando il padre tornò a casa, si sedette a tavola e disse: -Dov'è mio figlio?-. In quel mentre la madre portò un piatto grande grande, pieno di carne in salsa agra, e Marilena piangeva da non poterne più. Allora il padre ripeté‚: -Dov'è mio figlio?-. -Ah- disse la madre -se n'è andato in campagna, dal prozio; vuol fermarsi un po' là.- -Che ci va a fare? E senza neanche salutarmi!- -Be' aveva voglia di andarci e mi ha chiesto se poteva fermarsi sei settimane. Starà bene là.- -Ah- disse l'uomo -mi dispiace proprio! Non è giusto, avrebbe dovuto dirmi almeno addio!- Detto questo, incominciò a mangiare e disse: -Marilena, perché‚ piangi? Tuo fratello ritornerà-. -Ah, moglie- aggiunse poi -che roba buona è mai questa, dammene ancora!- E più ne mangiava, più ne voleva e diceva: -Datemene ancora, e voi non mangiatene: è come se fosse roba mia-. E mangiava e mangiava buttando tutte le ossa sotto la tavola, finché‚ ebbe finito. Marilena intanto andò a prendere il suo più bel fazzoletto di seta dall'ultimo cassetto del suo comò, raccolse tutte le ossa e gli ossicini che erano sotto la tavola, li depose nel fazzoletto di seta e li portò fuori, piangendo calde lacrime. Li mise nell'erba verde sotto il ginepro, e come l'ebbe fatto si sentì meglio e non pianse più. Allora il ginepro incominciò a muoversi, i rami si scostavano e poi si riunivano di nuovo, come quando uno è contento e fa così con le mani. Poi dalla pianta uscì una nube e sembrava che nella nube ardesse un fuoco, e dal fuoco volò fuori un bell'uccello che cantava meravigliosamente e si alzò a volo nell'aria; e quando se ne fu andato, il ginepro tornò come prima e il fazzoletto con le ossa era scomparso. E Marilena era felice e contenta, proprio come se il fratello fosse ancora vivo. Se ne tornò a casa tutta allegra, si mise a tavola e mangiò. L'uccello intanto era volato via, si era posato sulla casa di un orefice e si era messo a cantare:-La mia mamma mi ha ammazzato e mio padre mi ha mangiato. Marilena, la mia sorella, l'ossa ha legato con la cordicella; una corda di seta ha usato, e sotto il ginepro ha tutto celato. Cip! Cip! Che bell'uccello ha qui cantato!-L'orefice era nella sua bottega e stava lavorando una catena d'oro quando udì l'uccello cantare sul suo tetto, e trovò quel canto bellissimo. Si alzò per uscire e perse una pantofola, ma volle andare lo stesso in mezzo alla strada, anche se aveva una pantofola e una calza. Aveva indosso il suo grembiule di cuoio e in una mano teneva la catena d'oro, nell'altra le tenaglie; e il sole splendeva illuminando tutta la strada. Si fermò a guardare l'uccello. -Uccello- disse -come canti bene! Cantami ancora una volta la tua canzone.- -No- rispose l'uccello -non canto due volte senza una ricompensa: se mi dai la catena d'oro te la canterò di nuovo.- -Eccotela- disse l'orefice -e ora canta ancora!- Allora l'uccello discese a prendere la catena d'oro, la prese con la zampa destra, si posò davanti all'orefice e cantò:-La mia mamma mi ha ammazzato e mio padre mi ha mangiato. Marilena, la mia sorella, l'ossa ha legato con la cordicella; una corda di seta ha usato, e sotto il ginepro ha tutto celato. Cip! Cip! Che bell'uccello ha qui cantato!-Poi l'uccello volò alla casa di un calzolaio, si posò sul tetto e cantò:-La mia mamma mi ha ammazzato e mio padre mi ha mangiato. Marilena, la mia sorella, l'ossa ha legato con la cordicella; una corda di seta ha usato, e sotto il ginepro ha tutto celato. Cip! Cip! Che bell'uccello ha qui cantato!-Il calzolaio l'udì e corse davanti alla porta in maniche di camicia. Guardò sul tetto e dovette ripararsi gli occhi con la mano perché‚ il sole non lo abbagliasse. -Uccello- disse -come canti bene!- E chiamò dalla porta: -Moglie, vieni giù, c'è un uccello che canta così bene!-. Poi chiamò sua figlia, i figli e i garzoni, il servo e la serva e tutti andarono in strada a vedere l'uccello. Com'era bello! Le sue piume erano rosse e verdi, e attorno al collo sembrava tutto d'oro, e gli occhi gli brillavano come fossero stelle. -Uccello- disse il calzolaio -cantami ancora una volta la tua canzone.- -No- rispose l'uccello -non canto due volte senza una ricompensa: devi regalarmi qualcosa.- -Moglie- disse l'uomo -vai in solaio; sull'asse più alta c'è un paio di scarpe rosse: portale qui.- La donna andò a prendere le scarpe. -Ecco qua, uccello- disse l'uomo -ora cantami di nuovo la tua canzone.- L'uccello scese a prendere le scarpe con la zampa sinistra, poi volò sul tetto e cantò:-La mia mamma mi ha ammazzato e mio padre mi ha mangiato. Marilena, la mia sorella, l'ossa ha legato con la cordicella; una corda di seta ha usato, e sotto il ginepro ha tutto celato. Cip! Cip! Che bell'uccello ha qui cantato!-Quando ebbe finito di cantare, volò tenendo la catena nella zampa destra e le scarpe nella sinistra. Volò lontano fino a un mulino, il mulino girava: clipp clapp, clipp clapp, clipp clapp. E nel mulino c'erano venti garzoni che battevano una macina con il martello: tic tac, tic tac, tic tac. E il mulino girava: clipp clapp, clipp clapp, clipp clapp. Allora l'uccello volò su di un tiglio davanti al mulino e cantò:-La mia mamma mi ha ammazzato-e uno smise di lavorare-e mio padre mi ha mangiato. - Altri due smisero di lavorare e ascoltarono - Marilena, la mia sorella,-altri quattro smisero di lavorare - l'ossa ha legato con la cordicella; una corda di seta ha usato,-solo otto battevano ancora-e sotto il ginepro-ancora cinque - ha tutto celato. - ancora uno - Cip! Cip! Che bell'uccello ha qui cantato!-Allora anche l'ultimo smise di lavorare e pot‚ ancora sentire la fine. -Uccello- disse quest'ultimo -come canti bene! Lascia che senta pure io, canta di nuovo.- -No- rispose l'uccello -non canto due volte senza una ricompensa: se mi dai la macina canterò di nuovo.- -Sì- disse l'uomo -se solo fosse mia te la darei.- -Sì- dissero gli altri -se canta di nuovo l'avrà.- Allora l'uccello scese e i mugnai, tutti e venti, con l'aiuto di una leva sollevarono la macina: Oh! oh, op! Oh, oh, op! Oh, oh, op! L'uccello vi introdusse il capo e la mise come un collare; poi tornò sull'albero e cantò:-La mia mamma mi ha ammazzato e mio padre mi ha mangiato. Marilena, la mia sorella, l'ossa ha legato con la cordicella; una corda di seta ha usato, e sotto il ginepro ha tutto celato. Cip! Cip! Che bell'uccello ha qui cantato!-Quand'ebbe finito di cantare, distese le ali e aveva nella zampa destra la catena, nella sinistra le scarpe e la macina intorno al collo; e volò via verso la casa di suo padre. Nella stanza il padre, la madre e Marilena erano a tavola, e il padre disse: -Ah, che gioia, mi sento felice!-. -No- disse la madre -io ho paura, come quando sta per arrivare un gran temporale.- Marilena invece se ne stava seduta e piangeva, piangeva. In quel mentre arrivò l'uccello e, quando si posò sul tetto, -Ah- esclamò il padre -sono tanto felice, e come splende il sole là fuori! è come se dovessi rivedere un vecchio amico!-. -No- disse la donna -io ho tanta paura: mi battono i denti ed è come se avessi del fuoco nelle vene!- E si strappò il corpetto e tutto il resto. E Marilena se ne stava seduta in un angolo a piangere, tenendo il grembiule davanti agli occhi, e lo bagnava di lacrime. Allora l'uccello si posò sul ginepro e cantò:-La mia mamma mi ha ammazzato-La donna si tappò le orecchie e chiuse gli occhi per non vedere e non sentire, ma le orecchie le rintronavano come se vi rumoreggiasse la tempesta e gli occhi le bruciavano come folgorati da lampi. -e mio padre mi ha mangiato.--Ah, mamma!- esclamò l'uomo -c'è fuori un bell'uccello che canta tanto bene! e il sole è così caldo! e par di sentire odor di cinnamomo.--Marilena, la mia sorella,-Allora Marilena mise la testa sulle ginocchia e si mise a piangere a dirotto, ma l'uomo disse: -Vado fuori, devo vedere l'uccello da vicino-. -Ah, non andare!- disse la donna -a me pare che tremi tutta la casa e che sia in fiamme.- Ma l'uomo uscì a guardare l'uccello. -l'ossa ha legato con la cordicella; una corda di seta ha usato, e sotto il ginepro ha tutto celato. Cip! Cip! Che bell'uccello ha qui cantato.-Terminato il canto, l'uccello lasciò andare la catena d'oro proprio intorno al collo dell'uomo, e gli stava a pennello. Allora l'uomo rientrò e disse: -Vedessi che bell'uccello! mi ha regalato una catena d'oro ed è così bello!-. Ma la donna aveva una gran paura e cadde a terra lunga distesa e la cuffia le cadde dalla testa. E l'uccello cantò di nuovo:-La mia mamma mi ha ammazzato--Ah, potessi sprofondare sotto terra, da non doverlo sentire.--e mio padre mi ha mangiato-La donna stramazzò a terra, come morta-Marilena, la mia sorella,--Ah- disse Marilena -voglio uscire anch'io; chissà se l'uccello regala qualcosa anche a me!- E uscì-l'ossa ha legato con la cordicella, una corda di seta ha usato,-E l'uccello le gettò le scarpe. -e sotto il ginepro ha tutto celato Cip! Cip! Che bell'uccello ha qui cantato.-Allora Marilena si sentì felice e piena di gioia. Infilò le scarpette rosse, si mise a danzare e corse in casa. -Ah- disse -ero così triste quando sono uscita, e adesso sono così allegra! Che uccello magnifico! mi ha regalato un paio di scarpette rosse.- -No.- disse la donna, saltò in piedi e i capelli le si rizzarono sulla testa come fiamme -mi sembra che il mondo stia per crollare; uscirò anch'io: forse starò meglio.- Ma come oltrepassò la soglia, paff!, l'uccello le buttò la macina sulla testa, ed essa stramazzò a terra morta. Il padre e Marilena sentirono e corsero fuori: fumo e alte fiamme si sprigionarono dal suolo e, quando tutto cessò, ecco il fratellino che prese per mano il padre e Marilena. Tutti e tre felici entrarono in casa e si misero a tavola a mangiare.Questo episodio è offerto da Podbean.com.

L’uccello strano

Tuesday Aug 13, 2024

Tuesday Aug 13, 2024

C'era una volta uno stregone che, prendendo le sembianze di un pover'uomo, andava mendicando di casa in casa e catturava così le belle ragazze. Nessuno sapeva dove le portasse, poiché‚ nessuna faceva ritorno. Un giorno si presentò alla porta di un uomo che aveva tre belle figlie; aveva l'aspetto di un mendicante e portava sulla schiena una gerla, come se volesse riporvi le elemosine. Egli chiese qualcosa da mangiare, e, quando la figlia maggiore uscì per porgergli un tozzo di pane, la sfiorò appena, ed ella dovette saltare nella gerla. Poi se ne andò a grandi passi e se la portò a casa, in mezzo a una buia foresta. Nella casa tutto era splendido ed egli le diede tutto ciò che ella potesse desiderare e disse: -Qui con me starai bene, poiché‚ potrai avere tutto ciò che desideri-. Durò così qualche giorno, poi le disse: -Devo fare un viaggio e lasciarti sola per un po' di tempo. Eccoti le chiavi di casa: puoi andare dappertutto e guardare ogni cosa. Solo una stanza ti è vietata, quella che è aperta da questa chiavicina; ti proibisco di entrarci, pena la vita-. Le diede anche un uovo e disse: -Serbalo con cura e portalo sempre con te: se andasse perso, sarebbe una gran disgrazia-. La ragazza prese le chiavi e l'uovo e promise di far ogni cosa per bene. Ma come egli fu partito, non resistette alla curiosità e, dopo aver girato la casa da cima a fondo, aprì anche la porta proibita. Ma come si spaventò all'entrarvi! In mezzo alla stanza c'era una gran vasca insanguinata e dentro c'erano dei cadaveri squartati. Lo spavento fu così grande che l'uovo le sfuggì di mano e cadde nella vasca. Lo tirò fuori subito e lo ripulì dal sangue, ma invano perché‚ poco dopo ricompariva. Si mise a fregare e a raschiare in tutti i modi, ma non riuscì a toglierlo. Poco dopo lo stregone ritornò dal suo viaggio e disse: -Ridammi le chiavi e l'uovo-. Ella glieli porse tremando e, dalle macchie rosse, egli capì subito che era stata nella camera del sangue. Allora disse: -Ci sei andata contro la mia volontà; ora ci andrai contro la tua. Hai finito di vivere-. Poi l'afferrò, la trascinò nella stanza e la fece a pezzi, facendone scorrere il sangue sul pavimento. Dopo la gettò nella vasca insieme alle altre. -Adesso mi prenderò la seconda- disse lo stregone, e assumendo le sembianze di un pover'uomo ritornò a elemosinare davanti alla casa. La seconda fanciulla gli portò un pezzo di pane e, come aveva fatto con la prima, se ne impadronì sfiorandola appena, la portò via e la uccise nella camera del sangue, poiché‚ anch'essa aveva osato aprirla. Così andò a prendersi anche la terza sorella e se la portò a casa.Questa però era accorta e astuta. Quando lo stregone partì, dopo averle dato le chiavi e l'uovo, per prima cosa andò a mettere questo al sicuro, poi si recò nella camera proibita. Ah, cosa vide! Le sue care sorelle giacevano entrambe nella vasca miseramente assassinate! Ma ella le sollevò, raccolse le loro membra e le ricompose: testa, tronco, braccia, gambe. Quando furono tutte ricomposte: incominciarono a muoversi e si ricongiunsero, e le due fanciulle aprirono gli occhi e ritornarono in vita. Allora, piene di gioia, si baciarono e si abbracciarono, ma la più giovane le condusse fuori e le nascose. Quando lo stregone ritornò volle che la ragazza gli mostrasse le chiavi e l'uovo e, non potendo scorgervi traccia di sangue, disse: -Hai superato la prova, sarai la mia sposa-. -Sì- rispose ella -ma prima devi promettermi che porterai una cesta colma di oro ai miei genitori, e devi portarla tu stesso sulle tue spalle; nel frattempo io preparerò le nozze.- Poi andò nella sua cameretta dove aveva nascosto le sorelle e disse: -Vi metterò in salvo ma, come sarete a casa, mandatemi aiuto-. Allora le mise entrambe in un cesto e le ricoprì d'oro, così da nasconderle completamente. Infine chiamò lo stregone e disse: -Adesso porta via la cesta; e io starò a guardarti dalla mia finestrina, perché‚ non ti fermi a riposare per strada!-. Lo stregone si caricò la cesta sulle spalle e si mise in cammino, ma la cesta gli pesava tanto che gli grondava il sudore dalla faccia, e credeva di cader morto per il gran peso. Allora volle riposarsi un po', ma subito una gridò dal cesto: -Vedo dalla mia finestrina che ti riposi; va' avanti subito!-. Egli credette che fosse la sua sposa a parlare, e si rimise a camminare. Poco dopo volle sedersi nuovamente ma di nuovo la fanciulla gridò: -Vedo dalla mia finestrina che ti riposi; va' avanti subito!-. E ogni volta che si fermava, la fanciulla gridava, ed egli doveva andare avanti finché‚, senza fiato, depose la cesta con l'oro e le due fanciulle a casa dei loro genitori. Nel frattempo la sposa preparava la festa nuziale. Prese un teschio ghignante, l'adornò e lo portò davanti all'abbaino, come se guardasse fuori. Poi, dopo aver invitato alla festa gli amici dello stregone, si cacciò in un barilotto di miele, tagliò il materasso e ci si avvoltolò, così da sembrare uno strano uccello e in modo da non essere riconosciuta. Uscì di casa e, per via, incontrò una parte degli invitati che le chiesero:-Da dove vieni bizzarro uccellino?- -Da un nido di piume qui vicino.- -La bella sposa a che s'è dedicata?- -Alla casetta: l'ha pulita e spazzata, ora alla finestra se ne sta affacciata.-Poi incontrò lo sposo, che se ne stava ritornando a casa, e anch'egli le domandò:-Da dove vieni bizzarro uccellino?- -Da un nido di piume qui vicino.- -La bella sposa a che s'è dedicata?- -Alla casetta: l'ha pulita e spazzata, ora alla finestra se ne sta affacciata.-Lo sposo alzò lo sguardo e vide il teschio tutto agghindato. Pensando che fosse la sua sposa le fece un cenno con il capo e la salutò cordialmente. Ma era appena entrato in casa con i suoi ospiti che arrivarono i parenti della sposa, mandati in suo soccorso. Chiusero tutte le porte perché‚ nessuno potesse scappare e appiccarono il fuoco alla casa. Così lo stregone dovette bruciare con tutta la sua gentaglia.Questo episodio è offerto da Podbean.com.

Tuesday Aug 13, 2024

Un sarto aveva un figlio piccolo piccolo, non più alto di un pollice, e per questo lo aveva chiamato Pollicino. Pollicino era, in compenso, molto coraggioso, e un giorno disse a suo padre -Babbo, voglio andarmene per il mondo a ogni costo-. -Bene, figlio mio- disse il vecchio; prese un lungo ago da rammendo e alla fiamma di una candela vi fece una capocchia di ceralacca: -Eccoti una bella spada per il viaggio-. Il piccolo sarto voleva mangiare ancora una volta con i genitori, perciò andò in cucina a vedere che cosa avesse preparato la mamma come pranzo d'addio. Era tutto pronto, e il piatto era sul focolare. Egli disse: -Be', che si mangia oggi?-. -Guarda tu stesso- rispose la madre. Allora Pollicino saltò sul focolare e guardò nel piatto, ma siccome allungò troppo il collo, il vapore che saliva dalle vivande lo prese e lo trascinò su per il camino Quando ricadde a terra, il piccolo sarto si ritrovò fuori nel vasto mondo; errò qua e là e andò a bottega da un padrone, ma non gli piaceva quello che gli davano da mangiare. -Signora padrona- le disse Pollicino -se non mi prepara un cibo migliore me ne vado, e domani mattina scriverò con il gesso sull'uscio di casa"Patate troppe, carne non c'è, ti saluto delle patate grande Re!."--Cosa vuoi, tu, pulce?- disse la padrona; andò in collera e afferrò uno straccio per colpirlo; ma il nostro piccolo sarto si acquattò, agile, sotto il ditale, di là fece capolino e mostrò la lingua alla padrona. Ella sollevò il ditale per afferrarlo, ma Pollicino si gettò tra gli stracci e mentre la padrona li buttava di qua e di là per cercarlo, egli si cacciò nella fessura del tavolo -Ehi, ehi, signora padrona!- gridò sporgendo la testa, e quando ella stava per colpirlo, lui saltò giù nel cassetto. Alla fine però la padrona riuscì ad acchiapparlo e lo cacciò di casa. Cammina cammina, il piccolo sarto arrivò in una gran foresta, dove incontrò una banda di briganti che volevano rubare il tesoro del re. A vederlo essi pensarono che un cosino simile potesse essere loro utile. -Olà!- gridò uno -tu, Maciste, vuoi venire con noi alla camera del Tesoro? Puoi strisciare dentro quatto quatto e gettarci fuori il denaro.- Pollicino rifletté‚ e infine disse di sì e li accompagnò alla camera del Tesoro. Osservò bene la porta da cima a fondo, per vedere se vi fosse una crepa; fortunatamente ne trovò una, ma stava per entrare quando una delle sentinelle disse: -Guarda là che brutto ragno! Voglio schiacciarlo-. -Ma lascia in pace quella povera bestia- disse l'altra -non ti ha fatto niente.- Così Pollicino riuscì a passare illeso attraverso la fessura. Giunto nella camera del Tesoro, aprì la finestra e buttò uno scudo dopo l'altro ai briganti che se ne stavano là sotto. Ma, sul più bello, sentì venire il re che voleva rimirare il suo tesoro, così dovette nascondersi in fretta. Il re si accorse che mancava un bel po' di talleri sonanti, ma non riuscì a capire chi potesse averli rubati, poiché‚ le serrature erano in buono stato e tutto pareva ben custodito. Allora se ne andò dicendo alle due sentinelle: -Fate attenzione, c'è qualcuno dietro al denaro-. Quando Pollicino riprese il suo lavoro da capo, le guardie sentirono il denaro muoversi tintinnando: clip, clap, clip, clap. Allora si precipitarono dentro per acchiappare il ladro. Ma il piccolo sarto, che li udì venire, fu ancora più lesto, saltò in un angolo e si nascose sotto uno scudo, che lo copri interamente. Poi si mise a canzonare le guardie gridando: -Ehi, son qui-. Quelle gli si avventarono contro, ma non fecero in tempo ad arrivare che Pollicino era saltato sotto uno scudo in un altro angolo e, gridava: -Ehi, son qui!-. Quelle si slanciarono indietro, ma Pollicino era già da un pezzo in un terzo angolo e gridava: -Ehi, son qui!-. Così li fece correre avanti e indietro come matti per la stanza, finché‚ se ne andarono sfiniti. Allora, a uno a uno, buttò fuori tutti gli scudi; l'ultimo lo scagliò con tutte le sue forze, ci saltò sopra, e così scese al volo dalla finestra. I briganti lo colmarono di lodi: -Sei un grande eroe- dicevano -vuoi diventare il nostro capo?-. Ma Pollicino si scusò dicendo che prima doveva vedere il mondo. Allora divisero il bottino, ma egli volle soltanto un soldo, perché‚ non poteva portarne di più. Poi cinse nuovamente la spada, disse addio ai briganti e se ne andò per la sua strada. Andò a lavorare presso qualche mastro artigiano, ma siccome il mestiere non gli riusciva, entrò a servizio come domestico di una locanda. Ma le serve non lo potevano soffrire perché‚, senza essere visto, egli vedeva tutto quello che esse facevano di nascosto e andava a riferire ai padroni ciò che si erano prese dai piatti o avevano portato via dalla cantina. Allora dissero: -Aspetta un po' che ti rendiamo pan per focaccia!- e si misero d'accordo per giocargli un brutto tiro. Infatti una volta che una di loro stava falciando il giardino, vedendo Pollicino correr qua e là, su e giù per gli steli, lo falciò svelta insieme all'erba, legò il tutto in un grosso straccio, e lo gettò di nascosto alle mucche. Se lo ingoiò una nera e grossa, senza fargli alcun male. Ma laggiù dov'era finito non gli piaceva perché‚ era tutto buio e non c'era neanche una candela. Quando munsero la mucca egli gridò:-Tic, tac, ulmo, olmo il secchio è già colmo?-Il rumore della mungitura, tuttavia, impedì che lo sentissero. Poco dopo entrò nella stalla il padrone e disse: -Domani questa mucca deve essere macellata-. Allora a Pollicino venne una gran paura e si mise a gridare più forte: -Son qua dentro!-. Il padrone l'udì ma non capiva da dove provenisse la voce e disse: -Dove sei?-. -Dentro a quella nera.- Ma il padrone non capì che cosa volesse dire e se ne andò via. Il giorno dopo la mucca fu macellata. Fortunatamente nello squartarla, a Pollicino non fu torto neanche un capello, ma finì tra la carne da salsiccia. Quando il macellaio si avvicinò per mettersi al lavoro, egli gridò con quanto fiato aveva in gola: -Non tagliate troppo a fondo! Non tagliate troppo a fondo! Sono qua sotto!-. Ma per via del rumore, nessuno lo udì. Ora il povero Pollicino era in pericolo, ma la necessità aguzza l'ingegno, così si mise a saltare con grande agilità fra i coltellacci, in modo che neanche uno lo toccò e riuscì a salvare la pelle. Ma non riuscì ancora a sfuggire; non c'era altra soluzione: dovette lasciarsi pigiare in un sanguinaccio insieme a pezzetti di lardo. Il luogo era un po' stretto, e per giunta, lo affumicarono appeso alla cappa del camino, dove egli si annoiò parecchio. Finalmente, d'inverno, lo tirarono giù, perché‚ la salsiccia doveva essere offerta a un ospite. Quando la padrona la tagliò a fette, Pollicino fece bene attenzione a non allungare troppo il collo, per non rischiare di farselo tagliare; finalmente colse il momento adatto, si fece largo e saltò fuori. Il piccolo sarto non volle trattenersi ulteriormente in quella casa dove gli era andata così male, e si rimise subito in cammino. Ma mentre era in aperta campagna, incrociò una volpe che lo inghiottì mentre era soprappensiero. -Ehi, signora volpe!- gridò il piccolo sarto -sono finito nella vostra gola, lasciatemi andare!- -Hai ragione- rispose la volpe -mangiarti è come non aver niente nello stomaco; se mi prometti i polli che sono nel cortile di tuo padre, ti lascerò libero.- -Con tutto il cuore- rispose Pollicino -avrai tutti i polli, te lo prometto.- Allora la volpe lo lasciò andare e lo portò a casa lei stessa. Quando il padre rivide il suo amato figlioletto, le diede volentieri tutti i polli. -In compenso ti porto a casa una bella moneta- disse Pollicino a suo padre, e gli porse il soldo che si era guadagnato in viaggio. -Ma perché‚ la volpe si è beccata i poveri pollastrelli?- -Ma sciocco, a tuo padre sarà sempre più caro suo figlio che i polli del cortile.-Questo episodio è offerto da Podbean.com.

Comare Morte

Tuesday Aug 13, 2024

Tuesday Aug 13, 2024

Un pover'uomo aveva dodici figli e doveva lavorare giorno e notte per poter procurare loro soltanto il pane. Quando venne al mondo il tredicesimo, non sapendo più cosa fare, corse sulla strada per pregare il primo che incontrasse di fare da padrino. Il primo che incontrò fu il buon Dio. Il buon Dio già sapeva cosa gli pesava sul cuore e gli disse: "Pover'uomo, mi fai pena: terrò a battesimo il tuo bambino e provvederò perché‚ sia felice sulla terra." - "Chi sei?" domandò l'uomo. "Sono il buon Dio." - "Allora non ti voglio per compare, perché‚ dai ai ricchi e fai patire ai poveri la fame." Così parlò l'uomo poiché‚ non sapeva con quanta saggezza Iddio dispensi ricchezza e povertà. Volse così le spalle al Signore e proseguì. Gli si avvicinò il diavolo e disse: "Cosa cerchi? Se sarò padrino di tuo figlio, gli darò oro e tutti i piaceri del mondo." L'uomo domandò: "Chi sei?" - "Sono il diavolo." - "Allora non ti voglio per compare: tu inganni gli uomini per sedurli," disse l'uomo, e proseguì. Gli venne incontro la Morte e gli disse: "Prendimi per comare" - "Chi sei?" domandò l'uomo. "Sono la Morte, che fa tutti uguali." Allora l'uomo disse: "Tu sei giusta: prendi sia il ricco sia il povero senza fare differenze; sarai la mia comare." La Morte rispose: "Farò diventare tuo figlio ricco e famoso; chi mi ha per amica, non manca di nulla." Disse l'uomo: "Domenica prossima c'è il battesimo: sii puntuale." La Morte comparve come aveva promesso e fece da madrina al piccolo.
Quando il ragazzo fu adulto, un bel giorno la comare lo prese con s‚, lo portò nel bosco e, quando furono soli, gli disse: "Ora avrai il mio regalo di battesimo. Farò di te un medico famoso. Quando sarai chiamato al letto di un ammalato, ti apparirò ogni volta: se mi vedrai ai piedi del letto, puoi dire francamente che lo risanerai; gli darai un'erba che ti indicherò e guarirà; ma se mi vedi al capezzale dell'infermo, allora è mio e dovrai dire che ogni rimedio è inutile e che deve morire." Poi la Morte gli indicò l'erba miracolosa e gli disse: "Guardati dall'usarla contro il mio volere."
Ben presto il giovane divenne famoso in tutto il mondo. "Gli basta guardare l'ammalato per capire se guarirà o se deve morire." Così si diceva di lui e la gente accorreva da ogni parte per condurlo dagli ammalati e gli davano tanto oro quanto egli chiedeva, cosicché‚ in poco tempo divenne un uomo ricco. Ora avvenne che anche il re si ammalò, e mandarono a chiamare il medico perché‚ dicesse se doveva morire. Ma quand'egli si avvicinò al letto, vide che la Morte si trovava al capezzale dell'ammalato: non vi era più erba che giovasse. Ma il medico pensò: "Forse per una volta posso ingannare la Morte, e dato che è la mia madrina, non se l'avrà poi tanto a male!" Così prese il re e lo voltò di modo che la Morte venne a trovarsi ai suoi piedi; poi gli diede l'erba e il re si riebbe e guarì. Ma la Morte andò dal medico adirata e con la faccia scura gli disse: "Per questa volta te la passo perché‚ sono la tua madrina, ma se ti azzardi a ingannarmi ancora una volta, ne andrà della tua stessa vita!"
Non molto tempo dopo si ammalò la principessa e nessuno riusciva e guarirla. Il re piangeva giorno e notte da non vederci più; infine fece sapere che chiunque la salvasse dalla morte, sarebbe diventato il suo sposo e l'erede della corona. Quando il medico giunse al letto dell'ammalata, vide la Morte al suo capezzale. Ma pensò alla promessa del re e inoltre la principessa era così bella che egli dimenticò l'ammonimento e, anche se la Morte gli lanciava terribili occhiate, voltò l'ammalata mettendole la testa al posto dei piedi e le diede l'erba, cosicché‚ ella tornò in vita.
Ma la Morte, vedendosi defraudata per la seconda volta di ciò che le spettava, andò dal medico e disse: "Seguimi!" lo afferrò con la sua mano di ghiaccio e lo condusse in una caverna sotterranea, ove si trovavano migliaia e migliaia di luci a perdita d'occhio. Alcune erano grandi, altre medie, altre ancora piccole. A ogni istante alcune si spegnevano e altre si accendevano, di modo che le fiammelle sembravano saltellare qua e là. "Vedi," disse la Morte, "queste luci sono le vite degli uomini. Le più alte sono dei bambini, le medie dei coniugi nel fiore degli anni, le piccole dei vecchi. Ma a volte anche i bambini e giovani hanno soltanto una piccola candelina. Quando si spegne, la loro vita è alla fine ed essi mi appartengono." Il medico disse: "Mostrami la mia." Allora la Morte gli indicò un moccoletto piccolo piccolo che minacciava di spegnersi e disse: "Eccola!" Allora il medico si spaventò e disse: "Ah, cara madrina, accendetene un'altra perché‚ possa godere la mia vita, diventando re e sposo della bella principessa!" - "Non posso," rispose la Morte, "deve spegnersi una candela prima che se ne accenda un'altra." - "Allora mettete quella vecchia su di una nuova, che arda subito quando l'altra è finita," supplicò il medico. Allora la Morte finse di esaudire il suo desiderio, e prese una grande candela nuova. Ma, nel congiungerle, sbagliò volutamente, poiché‚ voleva vendicarsi, e il moccolo cadde e si spense. Subito il medico stramazzò a terra: anch'egli era caduto nelle mani della Morte.Questo episodio è offerto da Podbean.com.

Frau Trude

Tuesday Aug 13, 2024

Tuesday Aug 13, 2024

C'era una volta una bambina che era ostinato e curioso, e quando i suoi genitori le dicevano di fare nulla, lei non li obbedire, così come poteva cavarsela bene? Un giorno disse ai suoi genitori: "Ho sentito parlare tanto di Frau Trude, andrò da lei un giorno. La gente dice che tutto di lei ha un aspetto così strano, e che ci sono cose strane in casa sua, che io sono diventati abbastanza curioso! "I suoi genitori assolutamente le proibì, e ha detto, "Frau Trude è una donna cattiva, infatti fa il male, e se andrai a lei, tu sei più il nostro bambino." Ma la fanciulla non si lasciò sviate dal divieto dei suoi genitori, e ancora andati a Frau Trude.
E quando è arrivata lei, Frau Trude disse: "Perché sei così pallido?" - "Ah," rispose lei, e tutto il suo corpo tremava, "Sono stato così terrorizzato a quello che ho visto." - "Che cosa hai visto?" - "Ho visto un uomo di colore sui vostri passi." - "E 'stato un collier." - "Poi ho visto un uomo verde." - "E 'stato un cacciatore." - "Dopo che ho visto un uomo rosso sangue." - "E 'stato un macellaio." - "Ah, Frau Trude, ero terrorizzata, ho guardato attraverso la finestra e non ho visto te, ma, come io credo in verità, il Diavolo in persona con una testa di fuoco." - "Oho!" disse, "allora tu hai visto la strega nel suo corretto costume ho aspettato per te, e volendo te già da tempo;. tu mi dia un po 'di luce." Poi ha cambiato la ragazza in un blocco di legno, e la gettò nel fuoco. E quando era in pieno tripudio si sedette vicino ad esso, e si scaldava da esso, e disse: "che brilla luminosa per una volta in un modo."Questo episodio è offerto da Podbean.com.

Il compare

Tuesday Aug 13, 2024

Tuesday Aug 13, 2024

Un pover'uomo aveva tanti figli, e aveva già pregato tutti di fare da padrino; così, quando gli nacque l'ultimo, non sapeva proprio più a chi rivolgersi. Allora tutto triste si mise a letto e si addormentò. Sognò che doveva andare alla porta e invitare a fare da padrino la prima persona che incontrava. Quando si svegliò l'uomo fece quello che aveva visto in sogno e colui che incontrò e che fece da padrino gli regalò una bottiglietta d'acqua dicendo: -Con quest'acqua puoi guarire chi è ammalato, a condizione però che la Morte sia al capezzale dell'infermo; se invece si trova ai piedi del letto, l'ammalato deve morire-. Una volta si ammalò il figlio del re, e l'uomo pot‚ risanarlo poiché‚ la Morte si trovava al suo capezzale; così fu anche una seconda volta; ma la terza, la Morte era ai piedi del letto e il principino dovette morire. Allora l'uomo volle recarsi dal compare per raccontargli l'accaduto, ma quando giunse a casa sua vi trovò una stranissima brigata. Al primo piano la scopa e la paletta se le davano di santa ragione. Egli chiese dove abitasse il compare e la scopa rispose: -Al piano di sopra-. Quando arrivò al secondo piano vide per terra un bel mucchio di dita di morto. Allora egli domandò di nuovo dove abitasse il compare, e un dito rispose: -Al piano di sopra-. Al terzo piano c'era una gran quantità di teste di morto che dissero ancora: -Al piano di sopra-. Al quarto vide dei pesci sul fuoco che friggevano e si cuocevano da s‚. Anch'essi dissero: -Al piano di sopra-. E quando giunse al quinto piano si trovò davanti a una stanza; sbirciò dal buco della serratura e vide il compare che aveva un paio di corna lunghe lunghe. Quand'egli entrò, il compare si buttò in fretta sul letto e le coprì. Disse l'uomo: -Compare, quando sono arrivato al primo piano, ho visto una scopa e una paletta darsele di santa ragione-. -Che sciocco!- rispose il compare -erano il servo e la serva che parlavano insieme.- -Al secondo piano ho visto delle dita di morto per terra.- -Che grullo siete! erano radici di scorzonera.- -Al terzo piano c'era un mucchio di teste di morto.- -Stupido! erano cavoli cappucci.- -Al quarto, ho visto dei pesci in padella, che sfrigolavano e si cuocevano da soli.- Aveva appena pronunciato queste parole che i pesci comparvero e si misero in tavola da s‚. -E al quinto piano, ho guardato dal buco della serratura e ho visto che voi, compare, avevate un paio di corna lunghe lunghe!- -Ma no che non è vero!-Questo episodio è offerto da Podbean.com.

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