Fiabe dei Grimm
Le Fiabe dei Fratelli Grimm, originariamente compilate da Jacob e Wilhelm Grimm, sono una raccolta di racconti popolari senza tempo che incantano i lettori da secoli. Questi racconti sono un tesoro di folklore, con storie di coraggio, magia e moralità che risuonano attraverso le generazioni. Dai classici come ”Cenerentola”, ”Biancaneve” e ”Hansel e Gretel”, a gemme meno conosciute come ”Il Pescatore e sua Moglie” e ”Rumpelstiltskin”, ogni storia offre uno sguardo sulla ricca tessitura della tradizione orale europea. Le Fiabe dei Grimm sono caratterizzate dai loro personaggi vivaci, lezioni morali e spesso toni oscuri, riflettendo le dure realtà e gli elementi fantastici dei loro contesti storici. Il loro fascino duraturo risiede nella loro capacità di intrattenere, insegnare e ispirare meraviglia, facendole diventare una pietra miliare della letteratura per bambini e una fonte di fascinazione per studiosi di folklore e narrazione.
Episodes

Tuesday Aug 13, 2024
Tuesday Aug 13, 2024
Una volta ci fu una grande guerra e quando finì molti soldati furono congedati. Anche il Buontempone ebbe il suo congedo, e nient'altro all'infuori di una piccola forma di pane secco e quattro soldi; e così se ne andò. Ma san Pietro si era seduto sul ciglio della strada come un povero mendicante e quando arrivò il Buontempone gli chiese l'elemosina. Quello rispose: -Caro mendicante, che cosa posso darti? Sono stato soldato, ho ottenuto il mio congedo e nient'altro che questo pane e quattro soldi; quando li avrò finiti, dovrò mendicare come te. Ma ti darò lo stesso qualcosa-. Divise il pane in quattro parti, e ne diede una all'apostolo con un soldo. San Pietro ringraziò, proseguì e andò ad aspettarlo di nuovo sulla strada, prendendo le sembianze di un altro mendicante; e quando il soldato lo raggiunse tornò a chiedergli l'elemosina. Il Buontempone parlò come prima e tornò a dargli un quarto di pane e un soldo. San Pietro ringraziò e proseguì, poi prese per la terza volta l'aspetto di un mendicante e, messosi sulla strada, chiese l'elemosina al Buontempone. Questi gli diede anche il terzo quarto di pane e il terzo soldo. San Pietro ringraziò e il Buontempone proseguì il suo cammino con una sola moneta e un solo pezzo di pane. Entrò in un'osteria a mangiarlo e si fece portare un soldo di birra. Quand'ebbe finito continuò per la sua strada, e subito tornò a incontrare san Pietro, con l'aspetto anche lui di un soldato in congedo. -Buon giorno, camerata- disse questi -mi daresti un pezzo di pane e un soldo per una bevuta?- -E dove lo prendo?- rispose il Buontempone. -Insieme al congedo non ho avuto altro che una pagnotta e quattro soldi. Per strada ho incontrato tre mendicanti, e a ciascuno ho dato un quarto del mio pane e un soldo. L'ultimo quarto me lo sono mangiato all'osteria, e con l'ultimo soldo ho bevuto un bicchiere. Adesso non mi resta più nulla, e se anche per te è lo stesso, possiamo andare a mendicare insieme.- -No, non ce n'è bisogno- rispose san Pietro -m'intendo un po' di medicina e così mi guadagnerò da vivere.- -Sì- rispose il Buontempone -io non ne capisco nulla, perciò mi toccherà chiedere l'elemosina da solo.- -Be', vieni con me!- disse san Pietro. -Se guadagno qualcosa avrai la metà.- -Mi sta bene- rispose il Buontempone, e se ne andarono insieme. Passarono davanti a una casa di contadini dove si udivano grida e pianti; entrarono, e c'era l'uomo gravemente ammalato e prossimo a morire, mentre la donna gridava e si disperava. -Non piangete e non lamentatevi più- disse san Pietro -guarirò quest'uomo.- Prese di tasca una pomata, e all'istante sanò l'ammalato che pot‚ alzarsi, perfettamente guarito. Marito e moglie dissero, tutti contenti: -Come possiamo ricompensarvi, cosa dobbiamo darvi?-. Ma san Pietro non voleva nulla e più i contadini insistevano, più egli rifiutava. Allora il Buontempone gli diede una gomitata e disse: -Ma prendi qualcosa, ne abbiamo bisogno!-. Alla fine, la contadina portò un agnello e disse a san Pietro di accettarlo, ma egli non voleva. Il Buontempone tornò a dar di gomito e disse: -Suvvia, prendilo, sciocco; ne abbiamo davvero bisogno!-. Finalmente san Pietro disse: -Va bene, prenderò l'agnello, ma non lo porterò io; visto che sei tu a volerlo, te lo porterai-. -D'accordo- disse il Buontempone -lo porterò io.- E se lo mise in spalla. Camminarono finché‚ giunsero in un bosco; l'agnello incominciava a pesare e il Buontempone aveva fame, sicché‚ disse a san Pietro: -Guarda che bel posto, potremmo cucinare l'agnello e mangiarlo-. -Per me va bene- rispose san Pietro -però non so occuparmi di cucina; se vuoi cucinare tu, eccoti un paiolo; io, intanto, me ne vado in giro qua attorno finché‚ è cotto. Ma non iniziare a mangiare prima che io sia di ritorno; arriverò per tempo.- -Va' pure- disse il Buontempone -so cucinare, ci penserò io.- San Pietro se ne andò e il Buontempone sgozzò l'agnello, accese il fuoco, mise la carne nel paiolo e la fece cuocere. L'agnello era già cotto, ma l'apostolo non tornava; allora il Buontempone lo tolse dal paiolo, lo tagliò e trovò il cuore. -Dev'essere il pezzo migliore- disse, lo assaggiò e finì poi col mangiarselo tutto. Finalmente ritornò san Pietro e disse: -Puoi mangiarti pure tutto l'agnello, io voglio soltanto il cuore: dammelo-. Allora il Buontempone prese coltello e forchetta e finse di cercare fra la carne, ma non riuscì a trovare il cuore; così finì col dire: -Non c'è-. -Ma dove sarà mai?- disse l'apostolo. -Non lo so- rispose il Buontempone -ma guarda un po' che sciocchi che siamo! Cerchiamo il cuore dell'agnello e non ci viene in mente che l'agnello non ha cuore!- -Oh!- esclamò san Pietro -questa è proprio nuova! Tutte le bestie hanno il cuore, perché‚ l'agnello non dovrebbe averlo?- -No di certo, fratello, l'agnello non ha cuore. Pensaci bene un momento e ti verrà in mente che non ce l'ha davvero.- -Va bene, va bene- disse san Pietro -se il cuore non c'è non voglio altri pezzi; puoi mangiarti l'agnello da solo.- -Quello che non riesco a mangiare lo metto nello zaino- disse il Buontempone; mangiò metà agnello e mise il resto nello zaino. Proseguirono e san Pietro fece in modo che un gran corso d'acqua attraversasse il loro cammino, ed essi dovettero attraversarlo. San Pietro disse: -Va' tu avanti-. -No- rispose il Buontempone -vacci tu.- E pensava: "Se l'acqua è troppo alta per lui, io me ne resto qua." San Pietro attraversò e l'acqua gli arrivava soltanto alle ginocchia. Allora volle passare anche il Buontempone, ma l'acqua s'alzò e gli arrivò fino al collo. -Aiutami, fratello!- gridò, ma san Pietro rispose: -Confesserai di aver mangiato il cuore dell'agnello?-. -No- rispose quello -non l'ho mangiato.- L'acqua crebbe ancora e gli arrivò alla bocca. -Aiutami, fratello!- gridò il soldato. San Pietro tornò a dire: -Confesserai di aver mangiato il cuore dell'agnello?-. -No- rispose -non l'ho mangiato.- San Pietro non lo lasciò affogare, fece abbassare l'acqua e lo aiutò a passare sull'altra riva. Proseguirono e giunsero in un regno dove sentirono che la principessa era in punto di morte. -Olà, fratello- disse il soldato a san Pietro -è una bella fortuna per noi! Se la guariamo siamo a posto per tutta la vita.- Ma gli pareva che san Pietro non camminasse abbastanza svelto. -Su, muovi le gambe, caro fratello- gli diceva. -Dobbiamo arrivare in tempo.- Ma san Pietro camminava sempre più adagio, benché‚ il Buontempone lo spingesse e lo incitasse; infine udirono che la principessa era morta. -Ecco, bel risultato!- disse il Buontempone. -E tutto grazie alla tua pigrizia!- -Sta' tranquillo- rispose san Pietro -so far meglio che guarire i malati: posso risuscitare i morti.- -Be', se è così tanto meglio- disse il Buontempone -come ricompensa potremo ottenere almeno metà del regno!- Così entrarono nel castello reale che era in gran lutto; ma san Pietro disse al re che avrebbe risuscitato la morta. Fu condotto da lei e disse: -Portatemi un paiolo con dell'acqua-. Quando l'ebbe, fece uscire tutti, e solo al Buontempone permise di rimanere. Poi tagliò a pezzi le membra della morta, le gettò in acqua, accese il fuoco sotto il paiolo e le fece cuocere. Quando la carne si staccò, prese le belle ossa bianche, le mise sulla tavola disponendole una accanto all'altra secondo il loro ordine naturale. Compiuta quest'operazione, vi si mise davanti e, per tre volte, disse: -In nome della Santissima Trinità, alzati o morta!-. Alla terza volta, la principessa si alzò, viva, bella e sana. Il re, tutto contento disse a san Pietro: -Chiedi pure la tua ricompensa: fosse anche la metà del regno, te la darò-. Ma san Pietro rispose: -Io non voglio nulla-. "Oh, ma che sciocco!" pensò fra s‚ il Buontempone; diede di gomito all'amico e gli disse: -Non essere così stupido: se tu non vuoi niente, a me occorre invece qualcosa!-. Ma san Pietro non voleva nulla. Tuttavia il re vide che l'altro avrebbe accettato volentieri qualcosa e ordinò che gli riempissero lo zaino d'oro. Proseguirono il cammino e, quando giunsero in un bosco, san Pietro disse al Buontempone: -Adesso divideremo l'oro-. -Sì- rispose quello -dividiamolo.- San Pietro divise l'oro e ne fece tre parti. Il Buontempone pensò: "Chissà che razza di nuova idea ha per la testa! Fa tre parti e siamo in due!." Ma san Pietro disse: -Ho fatto le parti giuste: una parte per me, una per te e una per chi ha mangiato il cuore dell'agnello-. -Oh, l'ho mangiato io!- rispose il Buontempone intascando subito l'oro -puoi credermi.- -Come può essere vero?- disse san Pietro -Un agnello non ha cuore!- -Ehi, ma che dici fratello? L'agnello ha il cuore come qualsiasi altro animale: perché‚ solo lui non dovrebbe averlo?- -D'accordo, non ne parliamo più- disse san Pietro -tienti pure tutto il denaro; io però non rimango più con te, me ne andrò per la mia strada.- -Come vuoi, fratello caro- rispose il soldato. -Addio.- San Pietro prese un'altra strada e il Buontempone pensò: "E' un bene che se ne vada: è un tipo così strano!." Ora egli aveva denaro a sufficienza, ma non seppe amministrarlo: lo dissipò, lo regalò e dopo poco tempo non ne aveva più. Giunse allora in un paese dove udì che la principessa era morta. "Olà" pensò "le cose si mettono bene! La risusciterò e mi farò pagare a dovere." Così andò dal re e gli propose di risvegliare la morta. Il re aveva udito parlare di un soldato in congedo che andava in giro a risuscitare i morti, e pensò che si trattasse del Buontempone; tuttavia, dato che non se ne fidava, domandò prima il parere dei suoi consiglieri; e questi gli dissero che poteva rischiare, visto che la fanciulla era ormai morta. Allora il Buontempone si fece portare un paiolo d'acqua, ordinò a tutti di uscire, tagliò le membra della fanciulla, le gettò in acqua e accese il fuoco sotto il paiolo, proprio come aveva visto fare a san Pietro. L'acqua incominciò a bollire e la carne si staccò; allora egli tirò fuori le ossa e le mise sulla tavola; ma non sapeva in che ordine disporle e le mise tutte alla rinfusa. Poi vi si mise davanti e disse: -In nome della Santissima Trinità, alzati, o morta-. Lo disse tre volte ma la principessa non si mosse. Lo disse altre tre volte ma invano. -Alzati, diavolo di una ragazza!- gridò. -Alzati, o guai a te!- Come ebbe pronunciato queste parole, ecco san Pietro entrare dalla finestra con l'aspetto di un soldato in congedo, e disse: -Cosa stai facendo, disgraziato? Come puoi risuscitare la morta se hai buttato all'aria tutte le ossa?-. -Caro fratello, ho fatto quel che ho potuto!- rispose il Buontempone. -Per questa volta ti tirerò fuori dai pasticci; ma bada che se proverai un'altra volta, ti andrà male; inoltre non accetterai o esigerai dal re nemmeno la più piccola ricompensa.- Poi san Pietro dispose le ossa nel loro ordine giusto e disse tre volte: -In nome della Santissima Trinità, alzati o morta!- e la principessa si alzò bella e sana come prima. Poi san Pietro tornò a uscite per la finestra. Il Buontempone era soddisfatto che tutto fosse andato così bene, ma lo irritava l'esser costretto a non accettar nulla. "Vorrei proprio sapere che razza di idee ha per la testa" pensava. "Ciò che dà con una mano, lo toglie con l'altra: non ha senso!" Il re gli offrì ciò che voleva, ma il Buontempone non poteva accettare nulla; tuttavia a forza di astuzie e di allusioni, riuscì a fare in modo che il re gli riempisse lo zaino d'oro; e con quello se ne andò. Quando uscì, davanti al portone trovò san Pietro che gli disse: -Guarda che razza di uomo sei! Ti avevo proibito di accettare alcunché, e hai lo zaino pieno d'oro-. -Che colpa ne ho- rispose il Buontempone -se me l'hanno riempito a mia insaputa!- -Ti avverto: guardati bene dal fare un'altra volta cose simili, o te la vedrai brutta.- -Ehi, non ti preoccupare fratello! Di oro adesso ne ho: perché‚ mai dovrei mettermi a cuocer ossa?- -Sì- disse San Pietro -l'oro durerà a lungo! Ma perché‚ tu non ti rimetta a fare ciò che non devi, farò in modo che il tuo zaino contenga tutto ciò che desideri. Addio, non mi rivedrai più.- -Addio!- disse il Buontempone, e pensava: "Sono ben felice che tu te ne vada, strano tipo! Non ti verrò certo dietro!." Ma al potere miracoloso dello zaino non pensò più. Il Buontempone vagò qua e là con il suo oro, spendendolo e dissipandolo come la prima volta. Quando non gli rimasero che quattro soldi, passò davanti a un'osteria e pensò: "Spendiamo anche questi ultimi!." E si fece portare tre soldi di vino e uno di pane. Mentre se ne stava là seduto a bere gli giunse alle nari il profumo d'oca arrosto. Si guardò attorno e vide che l'oste aveva messo nella stufa due oche. Allora gli venne in mente ciò che il camerata gli aveva detto: qualunque cosa egli desiderasse, l'avrebbe trovata nello zaino. "Olà, devi provare con le oche!" Uscì e, davanti alla porta, disse: -Voglio che le due oche che sono nella stufa finiscano nel mio zaino!-. Detto questo, aprì lo zaino, ci guardò dentro e le trovò tutt'e due. -Ah, così sì che va bene!- esclamò. -Ora sono proprio a posto!- Andò in un prato e tirò fuori l'arrosto. Mentre mangiava di gusto, arrivarono due garzoni e guardarono con occhi affamati l'oca che egli non aveva ancora toccato. Il Buontempone pensò: "Una ti basta." Chiamò i due garzoni e disse: -Prendete quest'oca e mangiatevela alla mia salute!-. Quelli ringraziarono, andarono all'osteria, si fecero portare mezzo litro di vino e del pane, tirarono fuori l'oca regalata e incominciarono a mangiarla. L'ostessa, che li osservava, disse al marito: -Quei due mangiano un'oca, va' un po' a controllare che non sia una delle due che abbiamo nella stufa-. L'oste corse a vedere, ma la stufa era vuota. -Razza di ladri! Volevate mangiare l'oca a buon mercato, vero? Pagate immediatamente o vi lavo con succo di bastone!- I due garzoni dissero: -Non siamo ladri: è stato un soldato in congedo a regalarci l'oca, là fuori, sul prato-. -Non menatemi per il naso! Il soldato è stato qui, ma se n'è andato da persona per bene, ho fatto attenzione a lui, siete voi i ladri e dovete pagare!- Ma siccome non avevano soldi, prese il randello e li cacciò fuori a bastonate. Il Buontempone intanto se ne andava per la sua strada e giunse in un luogo dove c'era uno splendido castello e, non molto lontano, una misera osteria. Egli vi entrò e chiese un letto per la notte, ma l'oste glielo rifiutò e disse: -Non c'è più posto, la locanda è piena di ospiti di riguardo-. -Mi meraviglia- disse il Buontempone -che vengano da voi e non vadano in quel magnifico castello.- -Sì- rispose l'oste -non c'è da fidarsi a passarvi una notte: chi ha provato non ne è uscito vivo.- -Se altri hanno tentato- disse il Buontempone -tenterò anch'io!- -Lasciate perdere!- soggiunse l'oste -ne va della vostra pelle.- -Questo è da vedersi- disse il Buontempone -datemi soltanto le chiavi, da mangiare e da bere in abbondanza.- L'oste gli diede la chiave, da mangiare e da bere; poi, presa ogni cosa, il Buontempone andò al castello. Mangiò di gusto e quando gli venne sonno si sdraiò per terra perché‚ non c'era neanche un letto. Non tardò ad addormentarsi, ma, durante la notte, fu svegliato da un gran rumore, aprì gli occhi e vide che nella stanza c'erano nove orrendi diavoli: avevano fatto cerchio attorno a lui e ballavano. Il Buontempone disse: -Ballate pure quanto volete, basta che non mi veniate troppo vicino-. Ma i diavoli gli si avvicinavano sempre di più e gli pestavano quasi la faccia con i loro sudici piedi. -Piantatela, spiriti maligni!- disse il Buontempone, ma quelli facevano sempre peggio. Allora egli andò in collera e gridò: -Adesso vi metto io a tacere!- Afferrò una sedia per le gambe e si mise a dar colpi a destra e a manca. Ma nove diavoli contro un soldato erano pur sempre troppi e, mentre egli picchiava quelli che gli stavano davanti, gli altri di dietro l'afferrarono per i capelli e lo trascinarono miseramente. -Furfanti di diavoli!- disse -adesso ne ho proprio abbastanza; ma aspettate un po'!- E aggiunse: -Voglio che tutti e nove i diavoli finiscano nel mio zaino-. In un baleno furono dentro; poi egli chiuse lo zaino e lo buttò in un angolo. Di colpo, tutto tornò tranquillo, il Buontempone si sdraiò di nuovo e dormì fino a giorno chiaro. Allora giunsero l'oste e il signore cui apparteneva il castello, per vedere come gli fosse andata. Quando lo videro sano e arzillo si stupirono e gli domandarono: -Non vi hanno fatto niente gli spiriti?. -Perbacco!- rispose il Buontempone -li ho tutti e nove nel mio zaino. Potete tornare ad abitare tranquillamente il vostro castello: d'ora in poi non ci saranno più spiriti!- Il nobiluomo lo ringraziò ricompensandolo con ricchi doni e offrendogli di entrare al suo servizio: avrebbe provveduto a mantenerlo per tutta la vita. -No- rispose il Buontempone -sono abituato a girovagare per il mondo, voglio proseguire per la mia strada.- Così se ne andò; entrò in una fucina, mise sull'incudine lo zaino con dentro i nove diavoli e pregò il fabbro e i suoi garzoni di picchiarci sopra. Quelli adoperarono tutta la forza che avevano e picchiarono con i loro grossi martelli, sicché‚ i diavoli levavano grida da far paura. Poi quando egli apri lo zaino, otto erano morti; solo uno viveva ancora, perché‚ si era rannicchiato in una piega; saltò fuori e se ne andò all'inferno. Il Buontempone andò a lungo in giro per il mondo e, a saperle, se ne potrebbero raccontare molte. Ma alla fine diventò vecchio e pensò alla morte. Allora andò da un eremita, conosciuto come uomo pio, e gli disse: -Sono stanco di girovagare, desidererei entrare nel Regno dei cieli-. L'eremita rispose: -Vi sono due vie: una è larga e piacevole e conduce all'inferno, l'altra è stretta e aspra e conduce in cielo-. "Sarei proprio uno sciocco, se scegliessi il cammino stretto e aspro!" pensò il Buontempone. Imboccò la via larga e piacevole e giunse infine davanti a una grande porta nera, che era la porta dell'inferno. Bussò e il custode guardò chi fosse. Ma quando riconobbe il Buontempone, si spaventò: si trattava proprio del nono diavolo, che era stato chiuso nello zaino e ne era uscito con un occhio nero. Perciò tornò a tirare in fretta il catenaccio, corse dal capo dei diavoli e gridò: -Fuori c'è un tale con uno zaino e vuole venire dentro; ma per carità, non lasciatelo entrare, altrimenti tutto l'inferno finisce nel suo zaino. Là dentro, una volta, mi ha fatto picchiare di santa ragione con il martello-. Perciò gridarono al Buontempone di andarsene via, che non l'avrebbero lasciato entrare. "Se qui non mi vogliono" pensò "andrò a vedere se troverò asilo in paradiso: da qualche parte devo pur alloggiare!" Tornò indietro e camminò finché‚ giunse davanti alla porta del paradiso, e bussò di nuovo. San Pietro faceva da guardiano proprio in quel momento; il Buontempone lo riconobbe e pensò: "Qui trovo qualcuno che conosco, le cose andranno meglio." Ma san Pietro disse: -Suppongo che tu voglia entrare in paradiso-. -Suvvia, fratello, lasciami entrare! Devo pure alloggiare da qualche parte; se all'inferno mi avessero preso, non sarei venuto qui!- -No- disse san Pietro -tu non entri.- -Bene, se non vuoi lasciarmi entrare, riprenditi pure il tuo zaino: non voglio avere niente da te!- disse il Buontempone. -Dammelo!- disse san Pietro. Egli fece allora passare lo zaino in paradiso attraverso l'inferriata, san Pietro lo prese e lo mise accanto alla sua sedia. Allora il Buontempone disse: -E ora voglio essere nello zaino-. In un baleno vi fu dentro, ed eccolo in paradiso; e san Pietro dovette lasciarvelo.Questo episodio è offerto da Podbean.com.

Tuesday Aug 13, 2024
Tuesday Aug 13, 2024
Una volta gallinella e galletto andarono sul monte delle noci e stabilirono che chi dei due avesse trovato un gheriglio l'avrebbe spartito con l'altro. La gallinella trovò una noce bella grossa, ma non disse nulla, perché‚ voleva mangiarsela da sola. Ma il gheriglio era così grosso che non riuscì a ingoiarlo; le rimase in gola e, temendo di soffocare, la gallinella gridò: -Galletto, ti prego, corri più in fretta che puoi e vai a prendermi dell'acqua, altrimenti soffoco-. Il galletto corse veloce alla sorgente: -Sorgente, devi darmi dell'acqua, la gallinella sul monte dei noci ha inghiottito un grosso gheriglio e sta per soffocare-. La sorgente rispose: -Prima corri dalla sposa e fatti dare della seta rossa-. Il galletto corse dalla sposa: -Sposa, dammi della seta rossa, la seta rossa devo portarla alla sorgente, la sorgente deve darmi dell'acqua, e l'acqua la porterò alla gallinella che è sul monte dei noci e sta soffocando per aver inghiottito un grosso gheriglio-. La sposa rispose: -Prima corri a prendermi la mia coroncina che è rimasta appesa a un salice-. Allora il galletto corse al salice, prese la coroncina dal ramo e la portò alla sposa, e la sposa gli diede in cambio la seta rossa, ch'egli portò alla sorgente, che gli diede in cambio l'acqua. Finalmente il galletto portò l'acqua alla gallinella, ma quando arrivò la gallinella era già soffocata e giaceva a terra stecchita. Il galletto era così triste che si mise a gridar forte, e tutte le bestie vennero a piangere la gallinella e sei topi costruirono una piccola carrozza, per accompagnarla alla sepoltura; e quando la carrozza fu pronta, vi si attaccarono davanti mentre il galletto guidava. Ma per strada incontrarono la volpe: -Dove vai, galletto?-. -Vado a seppellire la mia gallinella.- -Posso venire con te?- -Va bene, ma sali dietro all'istante, o per i topi sarai troppo pesante!- Allora la volpe si sedette dietro, poi giunsero anche il lupo, l'orso, il cervo, il leone e tutti gli animali del bosco. Così proseguirono il viaggio, finché‚ arrivarono a un ruscello. -Come facciamo ad attraversarlo?- domandò il galletto. Sulla riva c'era un filo di paglia che disse -Mi metterò di traverso, così potrete passarmi sopra-. Ma quando i sei topi si avviarono, il filo di paglia scivolò e cadde in acqua, e in acqua finirono pure i sei topi che annegarono. Non sapevano più che pesci prendere, quando sopraggiunse un tizzone e disse: -Sono grosso abbastanza, mi stenderò sopra l'acqua e voi mi passerete sopra-. Così anche il tizzone si mise sopra l'acqua, ma, disgraziatamente, la sfiorò: sfrigolò, si spense e morì. Un sasso assistette alla scena e volle aiutare il galletto mettendosi anch'esso sopra l'acqua. Questa volta la carrozza la tirò il galletto da solo; era appena passato ed era a riva con la gallinella morta, e voleva farci venire anche gli altri che sedevano dietro, ma ormai erano in troppi: la carrozza si rovesciò e tutti caddero in acqua e annegarono. Ora il galletto era di nuovo solo con la gallinella morta; le scavò una fossa, ve la depose e fece un tumulo. Si sedette là sopra ed era tanto addolorato che finì col morire anche lui; e così morirono tutti.Questo episodio è offerto da Podbean.com.

Tuesday Aug 13, 2024
Tuesday Aug 13, 2024
Un fratellino e una sorellina giocavano accanto a una fontana e, mentre giocavano, vi finirono dentro. Là dentro vi era un'ondina che disse: -Adesso che siete in mio potere, vi toccherà servirmi per bene!-. Così alla fanciulla diede da filare del brutto lino tutto aggrovigliato e la costrinse a portare acqua in una botte forata, mentre il ragazzo doveva abbattere un albero con una scure senza più il filo; e da mangiare non ricevevano altro che gnocchi duri come pietre. Alla fine i bambini persero la pazienza, aspettarono una domenica e, mentre l'ondina era in chiesa, fuggirono. Finita la messa, l'ondina si accorse che gli uccellini avevano preso il volo e li inseguì a grandi balzi. Ma i bambini la scorsero da lontano e la fanciulla si gettò una spazzola dietro le spalle; e ne venne una montagna di spazzole con mille e mille setole pungenti, sulle quali l'ondina dovette arrampicarsi a gran fatica; ma alla fine riuscì a oltrepassarle. I bambini la videro e il ragazzo si buttò dietro le spalle un pettine; e ne venne fuori una montagna di pettini con mille e mille denti, ma l'ondina vi si aggrappò saldamente e riuscì a passare anche stavolta. Allora, la fanciulla gettò dietro di s‚ uno specchio e ne venne fuori una montagna di specchio, così liscia, ma così liscia che l'ondina non poteva arrampicarvisi. Allora pensò: "Andrò in fretta a casa a prendere la mia ascia e spaccherò il monte di specchio." Ma prima che tornasse e l'avesse spaccato, i bambini erano già fuggiti da un pezzo e l'ondina dovette andare di nuovo nella sua fonte.Questo episodio è offerto da Podbean.com.

Tuesday Aug 13, 2024
Tuesday Aug 13, 2024
C'era una volta un povero vecchio infermo; le ginocchia gli tremavano, non vedeva n‚ sentiva nulla e non aveva più denti Quando sedeva a tavola, riusciva a stento a tenere il cucchiaio, sicché‚ versava la minestra sulla tovaglia, e gliene colava anche fuori dalla bocca. Il figlio e la nuora ne erano disgustati, così il vecchio nonno dovette finire col sedersi in un angolo dietro la stufa, e gli diedero da mangiare in una scodellina di terracotta, e, per giunta, in quantità assai scarsa; ed egli guardava con tristezza verso la tavola e gli occhi gli si inumidivano. Una volta le sue mani tremanti non riuscirono a tenere ferma la scodellina che cadde a terra rompendosi. La giovane donna lo sgridò ma egli non disse nulla e sospirò soltanto. Allora gli comprarono una scodellina di legno per pochi soldi, e lo fecero mangiare in quella. Mentre se ne stavano seduti là, il nipotino di quattro anni metteva insieme delle assicelle per terra. -Che cosa stai facendo?- gli chiese il padre. -Faccio un piccolo truogolo- rispose il bambino -perché‚ ci mangino dentro il babbo e la mamma quando sarò grande.- Allora il marito e là moglie stettero a guardarsi per un po' e poi si misero a piangere; avvicinarono subito il vecchio nonno al tavolo e da allora in poi lo fecero sempre mangiare con loro senza dire più nulla anche quando si sbrodolava un po'.Questo episodio è offerto da Podbean.com.

Tuesday Aug 13, 2024
Tuesday Aug 13, 2024
C'era una volta una cuoca di nome Ghita che aveva un paio di scarpe con i tacchi rossi; e, quando se le metteva, si voltava di qua e di là, tutta contenta, e pensava: "Sei proprio una bella ragazza!." E, quando tornava a casa, per la gioia beveva un sorso di vino, e dato che il vino fa venir fame, assaggiava le cose migliori che aveva cucinato finché‚ era sazia e diceva: -Una cuoca deve sapere che gusto hanno le sue pietanze!-. Ora avvenne che una volta il padrone le disse: -Ghita, questa sera viene un ospite, preparami due bei polli-. -Sarà fatto, padrone- rispose Ghita. Sgozzò i polli, li scottò, li spennò, li infilò allo spiedo e, verso sera, li mise sul fuoco ad arrostire. I polli incominciavano a prendere un bel colore ed erano quasi cotti, ma l'ospite non arrivava. Allora Ghita gridò al padrone: -Se l'ospite non viene, devo togliere i polli dal fuoco; ma è un vero peccato non mangiarli subito, quando sono ben sugosi-. Il padrone disse: -Andrò a chiamare l'ospite di corsa-. Come il padrone ebbe voltato le spalle, Ghita mise da parte lo spiedo con i polli e pensò: "Stare tanto tempo accanto al fuoco fa sudare e venir sete; chissà quando vengono! Nel frattempo faccio un salto in cantina a bere un sorso." Corse giù, prese un boccale dicendo: -Buon pro ti faccia, Ghita!- e bevve un bel sorso. -Un sorso tira l'altro- aggiunse -e non va bene interrompersi.- Poi tornò in cucina, rimise i polli sul fuoco, li unse di burro e girò allegramente lo spiedo. Ma l'arrosto aveva un odore così buono che ella pensò: "Potrebbe mancare qualcosa, devo assaggiarlo!." Si leccò il dito e disse: -Come sono buoni questi polli! E' un vero peccato non mangiarli subito!-. Corse alla finestra a vedere se il padrone e l'ospite arrivavano, ma non vide nessuno; tornò ai polli e pensò: "Quest'ala brucia, è meglio che la mangi." Così la tagliò e se la mangiò di gusto; quand'ebbe finito pensò: "Devo far sparire anche l'altra, altrimenti il padrone si accorge che manca qualcosa!." Dopo aver mangiato le due ali, tornò a guardare se arrivava il padrone, ma non lo vide. "Chissà" le venne in mente "forse non vengono affatto e sono andati a mangiare da qualche altra parte." Allora disse: -Animo, Ghita, sta' allegra: uno l'hai già incominciato, beviti un altro bel sorso e finiscilo; quando non ce n'è più sei tranquilla: perché‚ sciupare tutto quel ben di Dio?-. Corse di nuovo in cantina, bevve un sorso poderoso e finì allegramente il pollo. Quando l'ebbe ingoiato, siccome il padrone non veniva, Ghita guardò anche l'altro pollo e disse: -Devono farsi compagnia, dov'è l'uno deve esser l'altro; quel che conviene all'uno, va bene anche all'altro; credo che se berrò un sorso non mi farà male-. Così diede un'altra bella sorsata e mandò il secondo pollo a tenere compagnia al primo. Sul più bello, mentre stava mangiando, arrivò in fretta il padrone, dicendo: -Svelta, Ghita, l'ospite sta per arrivare.- -Sì, padrone, preparo subito!- rispose Ghita. Nel frattempo il padrone andò a vedere se la tavola era bene apparecchiata, prese il coltello grosso con cui trinciava i polli, e si mise ad affilarlo. In quella giunse l'ospite, e bussò con fare discreto alla porta. Ghita corse a guardare chi fosse; vedendo l'ospite, si mise un dito sulla bocca e disse: -Zitto! zitto! Fuggite in fretta: guai a voi se il mio padrone vi acchiappa! Se vi ha invitato a cena, è solo perché‚ ha intenzione di tagliarvi le due orecchie. Ascoltate come sta affilando il coltello!-. L'ospite udì il rumore e si precipitò giù per le scale più in fretta che pot‚. Ghita, senza perdere tempo, corse gridando dal padrone e disse: -Bell'ospite che avete invitato!-. -Perché‚, Ghita, che intendi dire?- -Sì- diss'ella -non ha fatto che prendere dal piatto di portata i due polli che stavo per portare in tavola ed è corso via.- -Che modi!- esclamò il padrone, dispiaciuto per quei due polli. -Se almeno me ne avesse lasciato uno, mi sarebbe rimasto qualcosa da mangiare!- Gli gridò di fermarsi, ma l'ospite fece finta di non sentire. Allora gli corse dietro con il coltello ancora in mano gridando: -Uno solo! uno solo!- intendendo che l'ospite gli lasciasse almeno un pollo e non se li portasse via tutti e due l'ospite invece pensò di dover lasciare una delle sue orecchie, e corse via come se avesse il fuoco alle calcagna, per portarsele a casa tutt'e due.Questo episodio è offerto da Podbean.com.

Tuesday Aug 13, 2024
Tuesday Aug 13, 2024
C'era una volta una regina che non poteva mettere al mondo figli per volere di Nostro Signore. Ogni mattina si recava in giardino a pregare che Iddio le facesse dono di un figlio o di una figlia. Ed ecco, un angelo venne dal cielo e disse: -Rallegrati, avrai un figlio i cui desideri saranno realizzati: qualunque cosa al mondo egli voglia, l'avrà-. Ella andò dal re ad annunciargli la lieta notizia e, quando fu tempo, diede alla luce un figlio con grande gioia del re. Tutte le mattine ella andava a lavarsi nel parco con il bimbo, e un giorno, quando questi era già un po' cresciuto, le accadde di addormentarsi mentre lo aveva in braccio. In quella giunse il vecchio cuoco; egli sapeva che i desideri del bambino si sarebbero realizzati e lo rapì. Prese poi un pollo, lo sgozzò e spruzzò di sangue il grembiule e la veste della regina. Poi portò il bambino in un luogo nascosto, dove lo fece allattare da una balia, e corse dal re ad accusare la regina di esserselo lasciato rapire dalle bestie feroci. Il re, vedendo il sangue sul grembiule, lo credette e s'infuriò a tal punto che fece costruire un'alta torre, nella quale non penetrava luce; là rinchiuse la moglie facendo murare la porta. Ella doveva starci sette anni senza mangiare n‚ bere, e morirvi di fame. Ma Dio le mandò due angeli dal cielo che, sotto forma di bianche colombe, dovevano volare da lei due volte al giorno, per portarle da mangiare fino allo scadere dei sette anni. Ma il cuoco pensò: "Se si avvera qualche desiderio del bambino e io sono qui, potrei essere rovinato." Lasciò così il castello e andò dal fanciullo che era già grande abbastanza per parlare. -Desidera un bel castello- gli disse -con un giardino e tutto ciò che occorre.- E, come il bambino ebbe formulato il desiderio, ecco comparire il castello. Dopo un po' di tempo, il cuoco gli disse: -Non va bene che tu sia così solo, desidera una bella fanciulla come compagna-. Il principe espresse il desiderio e la fanciulla comparve innanzi a lui, bella come nessun pittore avrebbe potuto dipingerla. I due giovani giocavano insieme amandosi teneramente, e il vecchio cuoco andava a caccia come un signore. Ma gli venne in mente che il principe avrebbe potuto desiderare di essere con suo padre, precipitandolo così in grave imbarazzo. Allora andò a casa, prese da parte la fanciulla e le disse: -Questa notte, mentre il ragazzo dorme, vai nel suo letto, piantagli un coltello nel cuore e portami il suo fegato e la sua lingua; se non lo farai perderai la vita-. Poi se ne andò e quando tornò, il giorno dopo, ella non lo aveva fatto e gli disse: -Perché‚ mai dovrei versare il sangue di un innocente che non ha ancora offeso nessuno?-. Il cuoco tornò a dirle: -Se non lo fai, ti costerà la vita-. Allora ella si fece portare una cerbiatta, la fece uccidere, prese il cuore e la lingua, li mise su di un piatto e quando vide arrivare il vecchio, disse al giovane: -Mettiti a letto e copriti con la coperta!-. In quella entrò il malfattore e disse: -Dove sono il cuore e il fegato del ragazzo?-. La fanciulla gli porse il piatto, ma il principe gettò via la coperta e disse: -Vecchio ribaldo, perché‚ volevi uccidermi? Adesso pronuncerò la tua condanna: ti trasformerai in un cane barbone con una catena d'oro intorno al collo e mangerai carboni ardenti così che le fiamme ti divampino dalla gola-. Come ebbe pronunciato queste parole, il vecchio si trasformò in un cane barbone con una catena d'oro intorno al collo, e i cuochi dovettero portargli dei carboni ardenti che egli divorò, sicché‚ le fiamme gli uscivano dalle fauci. Il principe rimase là ancora per qualche tempo, e pensava a sua madre, se mai fosse ancora viva. Infine disse alla fanciulla: -Voglio tornare in patria; se vieni con me penserò io a mantenerti-. -Ah- rispose ella -è così lontano! e poi che farei in un paese sconosciuto?- Così, poiché‚ non consentiva ad accompagnarlo, e tuttavia non volevano lasciarsi, egli desiderò che la fanciulla diventasse un bel garofano, e lo portò con se. Partì, e il cane barbone dovette seguirlo. Giunto in patria, andò subito alla torre dove era rinchiusa sua madre, e siccome la torre era tanto alta, desiderò una scala che arrivasse fino in cima. Salì, guardò dentro e gridò: -Carissima mamma, vivete ancora o siete morta?-.Ella rispose: -Ho appena mangiato e sono ancora sazia- credendo che ci fossero gli angeli. Egli disse. -Sono il vostro caro figlio, quello che le bestie feroci vi avrebbero rapito, ma sono ancora vivo e presto vi salverò-. Poi scese e andò dal padre facendosi annunciare come un cacciatore forestiero che chiedeva di entrare al suo servizio. Il re rispose che poteva venire se era abile e riusciva a procurargli della selvaggina; ma in tutta quella zona non se n'era mai vista. Il cacciatore promise che avrebbe procurato tanta selvaggina quanta si addiceva a una tavola regale. Poi fece radunare tutti i cacciatori e ordinò che lo seguissero nel bosco. Andarono e, una volta giunti nel bosco, egli li fece disporre a forma di cerchio, aperto da un lato, poi vi entrò e si mise a desiderare della selvaggina. Ed ecco entrare di corsa nel cerchio duecento e più animali selvaggi, e i cacciatori dovettero ucciderli. Poi caricarono il tutto su sessanta carri e lo portarono al re che, finalmente, pot‚ guarnire la propria tavola di selvaggina, dopo essersene privato per tanti anni. Tutto contento, il re decise che il giorno dopo l'intera corte avrebbe pranzato con lui e diede un gran banchetto. Quando furono tutti riuniti, disse al cacciatore: -Vista la tua bravura, siederai accanto a me-. Ma quello rispose: -Sire, Vostra Maestà mi perdoni, sono solo un principiante-. Ma il re insistette dicendo: -Devi sederti accanto a me- finché‚ egli obbedì. Quando fu seduto pensò alla sua diletta madre e desiderò che almeno uno dei cortigiani si mettesse a parlare di lei, chiedendo come stesse nella torre, se viveva ancora o se era morta di fame. Aveva appena formulato questo pensiero, che il maresciallo prese a dire: -Maestà, noi qui banchettiamo allegramente, ma come sta Sua Maestà la regina, nella torre? Vive ancora o è morta di fame?-. Ma il re rispose: -Non voglio sentir parlare di lei: ha lasciato sbranare il mio caro figlio dalle bestie feroci- Allora il cacciatore si alzò e disse: -Mio nobile padre, la regina vive ancora, e io sono suo figlio; non sono stato rapito dalle bestie feroci, ma da quell'infame vecchio cuoco che mi ha portato via dal suo grembo mentre ella dormiva e le ha spruzzato il grembiule con il sangue di un pollo-. Afferrò il cane con il collare d'oro e disse: -Ecco lo scellerato!- e fece portare dei carboni ardenti che il cane dovette mangiare di fronte a tutti, finché‚ le fiamme gli uscirono dalle fauci. Poi il giovane domandò al re se voleva vedere il cuoco nel suo vero aspetto; formulò il desiderio ed eccolo comparire con il grembiule bianco e il coltello al fianco. Vedendolo, il re andò su tutte le furie e ordinò che fosse gettato nel carcere più fondo. Poi il cacciatore aggiunse: -Padre mio, volete vedere anche la fanciulla che mi ha educato amorevolmente, e che doveva uccidermi, ma non l'ha fatto?-. Il re rispose: -Sì, la vedrò volentieri-. Il figlio disse: -Mio nobile padre, ve la mostrerò sotto forma di un bel fiore-. Tirò fuori di tasca il garofano, e lo mise sulla tavola regale, bello come il re non ne aveva mai visti. Poi il figlio disse: -Ora voglio mostrarvela nel suo vero aspetto-. Desiderò che ridiventasse una fanciulla, ed eccola comparire tanto bella, che più bella nessun pittore avrebbe potuto dipingerla. Il re inviò allora due cameriere e due servi alla torre, perché‚ andassero a prendere la regina e la conducessero alla tavola regale. Ma quando vi giunse la regina non toccò cibo e disse: -Iddio clemente e misericordioso, che mi ha mantenuta in vita nella torre, mi libererà presto-. Visse ancora tre giorni,poi morì serenamente. L'accompagnarono alla sepoltura le due bianche colombe che le avevano portato il cibo nella torre, ed erano angeli del cielo; e si posarono sulla sua tomba. Il vecchio re fece squartare il cuoco, ma anch'egli non sopravvisse a lungo per il dolore. Il figlio invece sposò la bella fanciulla che aveva portato in tasca sotto forma di fiore; e se vivono ancora lo sa Iddio.Questo episodio è offerto da Podbean.com.

Tuesday Aug 13, 2024
Tuesday Aug 13, 2024
Un giorno un gatto incontrò la signora volpe nel bosco, e poiché‚ pensava che era saggia, esperta, e che grande era il suo prestigio in società, le rivolse la parola con garbo, dicendo: -Buon giorno, cara signora volpe! Come va? Come state? Come ve la passate in questo periodo di carestia?-. La volpe, piena di sussiego, squadrò il gatto da capo a piedi, e per un bel pezzo fu incerta se rispondergli o no. Infine disse: -Oh tu, misera bestia pezzata, morto di fame, acchiappatopi, che ti viene in mente? Osi domandare come va a me che sono maestra di cento arti!-. Il gatto stava per risponderle con modestia, quando arrivò di corsa un cane bassotto. Quando la volpe lo vide, andò subito a rifugiarsi nella sua tana, mentre il gatto saltò svelto su di un albero, andando ad accomodarsi sulla cima, dove i rami e il fogliame lo nascondevano completamente. Poco dopo giunse il cacciatore e il bassotto fiutò la volpe e la prese. Il gatto, vedendo la scena, gridò: -Ehi, signora volpe! Siete in trappola con le vostre cento arti. Se aveste saputo arrampicarvi come me, avreste avuta salva la vita-.Questo episodio è offerto da Podbean.com.

Tuesday Aug 13, 2024
Tuesday Aug 13, 2024
Una lupa mise al mondo un lupacchiotto e invitò la volpe a fare da madrina. -E' nostra parente stretta- disse -è astuta e ha molto giudizio: potrà addestrare il mio figlioletto e aiutarlo a farsi strada nel mondo.- La volpe fu molto onorata per l'invito e disse: -Vi ringrazio per l'omaggio che mi fate; io mi comporterò in modo da contentarvi-. Durante il banchetto mangiò a quattro palmenti divertendosi allegramente, poi disse: -Cara signora comare, è nostro dovere provvedere al piccolo; dovete nutrirvi bene perché‚ si irrobustisca. Conosco un ovile dove sarà facile prenderci un bel bocconcino-. L'idea piacque alla lupa, e si avvicinò alla cascina con la volpe. Questa le mostrò l'ovile di lontano e disse: -Da quella parte potrete intrufolarvi dentro inosservata; nel frattempo voglio guardarmi un po' attorno da quest'altra, per vedere di acchiappare un pollastrello-. In realtà la volpe non ci andò affatto: si acquattò al limitare del bosco, distese le zampe e si riposò. La lupa strisciò dentro alla stalla, ma là c'era un cane che fece tanto di quel rumore che i contadini accorsero, sorpresero la signora comare e le tolsero il pelo a bastonate. Alla fine ella riuscì a fuggire e si trascinò fuori; là trovò la volpe che giaceva a terra e che lamentandosi disse: -Ah, cara signora comare, mi è andata male! I contadini mi hanno sorpresa e mi hanno rotto tutte le ossa! Se non volete che rimanga qui distesa a morire di fame, dovete portarmi via-. La lupa avanzava lei pure a stento, ma si preoccupò tanto per la volpe che se la prese sulla schiena e, piano piano, riuscì a portare fino a casa la comare, sana come un pesce. Lì, la volpe le gridò: -Addio, cara signora comare, e buon pro vi faccia l'arrosto!-. E corse via ridendo a più non posso.Questo episodio è offerto da Podbean.com.

Tuesday Aug 13, 2024
Tuesday Aug 13, 2024
Il lupo aveva con s‚ la volpe; e questa era obbligata a fare ciò che egli voleva, poiché‚ era la più debole; sicché‚ le sarebbe tanto piaciuto liberarsi di quel padrone. Un giorno attraversarono il bosco insieme, e il lupo disse: -Pelorosso, procurami qualcosa da mangiare, o mangio te-. La volpe rispose: -Conosco una fattoria dove ci sono due agnellini; se vuoi possiamo prenderne uno-. Il lupo fu d'accordo: andarono, la volpe rubò l'agnellino, lo portò al lupo e se ne andò. Il lupo lo divorò, ma non era ancora sazio; voleva anche l'altro e andò a prenderselo; ma agì in modo così goffo che la madre dell'agnellino se ne accorse e si mise a gridare e a belare a più non posso, finché‚ i contadini non accorsero. Trovarono il lupo e lo conciarono da far pietà, sicché‚ egli arrivò dalla volpe zoppicando e urlando. -Me l'hai combinata bella!- disse. -Volevo prendere l'altro agnello quando i contadini mi hanno acciuffato e conciato per le feste.- La volpe rispose: -E tu perché‚ sei così ingordo?-. Il giorno dopo se ne tornarono per i campi e il lupo disse: -Pelorosso, procurami qualcosa da mangiare, o mangio te-. La volpe rispose: -Conosco una fattoria dove questa sera la padrona cucina le frittelle; andiamo a prenderne-. Andarono, e la volpe strisciò attorno alla casa; poi sbirciò e fiutò finché‚ riuscì a trovare il piatto con le frittelle; ne prese sei e le portò al lupo. -Ecco qua da mangiare- disse, e se ne andò per la sua strada. Il lupo divorò le frittelle e disse: -Fanno solo aumentare la voglia-. Tornò alla casa e tirò giù tutto il piatto, rompendolo. Ci fu un gran baccano; la padrona uscì fuori e quando vide il lupo chiamò soccorso: vennero e lo picchiarono tanto che egli arrivò nel bosco, dalla volpe, zoppo da due gambe e urlando disse: -Che razza di guaio mi hai combinato? I contadini mi hanno acchiappato e conciato per le feste-. Ma la volpe rispose: -E tu perché‚ sei così ingordo?-. Il terzo giorno, mentre erano fuori insieme, il lupo avanzava a fatica, ma tornò a dire: -Pelorosso, procurami qualcosa da mangiare, o mangio te-. La volpe rispose: -Conosco un uomo che ha macellato, e tiene la carne salata in cantina; andiamo a prenderla-. Il lupo disse: -Ma io voglio venire subito con te, perché‚ tu possa aiutarmi se non posso scappare-. -Per me!- disse la volpe, e lo condusse per vicoli e sentieri, finché‚ arrivarono alla cantina. Là vi era carne in abbondanza, e il lupo ci si buttò sopra, pensando: "Prima che abbia finito, c'è tempo!." Anche la volpe mangiò di gusto, ma si guardava attorno, e correva sovente al buco attraverso cui erano entrati, provando se il suo corpo era ancora abbastanza sottile per passarci. Il lupo disse: -Cara volpe, perché‚ mai continui a correre qua e là e salti dentro e fuori?-. -Devo ben vedere se viene qualcuno!- rispose quella astutamente. -Bada solo di non mangiar troppo!- Il lupo rispose: -Non me ne vado prima che la botte sia vuota-. Ma in quella arrivò il contadino, che aveva sentito i salti della volpe. Scorgendolo, Pelorosso saltò d'un balzo fuori dal buco; anche il lupo volle seguirla, ma aveva mangiato tanto che non riuscì più a passare e rimase in trappola. Allora il contadino venne con un randello e lo ammazzò. La volpe invece corse nel bosco ed era felice di essersi liberata di quel vecchio ingordo.Questo episodio è offerto da Podbean.com.

Tuesday Aug 13, 2024
Tuesday Aug 13, 2024
Una volta una volpe raccontò al lupo quanto l'uomo fosse forte: nessuna bestia poteva resistergli, e dovevano adoperare l'astuzia per salvarsi da lui. Il lupo rispose: -Però, se mi capitasse di vederne uno, gli salterei addosso-. -Posso aiutarti io- disse la volpe -vieni da me domani mattina presto, te ne indicherò uno.- Il lupo arrivò per tempo e la volpe lo accompagnò alla strada che il cacciatore percorreva ogni giorno. Dapprima giunse un vecchio soldato in congedo. -E' un uomo, questo?- domandò il lupo. -No- rispose la volpe -lo è stato.- Poi passò un fanciullo che andava a scuola. -E' un uomo, questo?- -No, lo diventerà.- Finalmente passò il cacciatore, con la doppietta sulla schiena e il coltello al fianco. La volpe disse al lupo: -Vedi, quello è un uomo: devi saltargli addosso; io però me la do a gambe e vado a rifugiarmi nella mia tana-. Il lupo si slanciò contro l'uomo, e il cacciatore, vedendolo, disse: -Peccato che il fucile non sia caricato a palla!-. Prese la mira e gli scaricò i pallini sul muso. Il lupo fece una bella smorfia, ma non si lasciò intimorire e andò avanti; allora il cacciatore gli sparò addosso la seconda carica. Il lupo contenne il dolore e gli si scagliò contro; allora l'uomo tirò fuori il coltello e gli diede un paio di colpi, a destra e a sinistra, sicché‚ il lupo se ne tornò dalla volpe urlando, tutto sanguinante. -Bene, fratello lupo,- disse la volpe -come te la sei cavata con l'uomo?- -Ah- rispose il lupo -non immaginavo che la sua forza fosse così! Prima si è tolto un bastone di spalla, ci ha soffiato dentro, e mi è volato sul muso qualcosa che pungeva terribilmente; ha poi soffiato di nuovo nel bastone, e intorno al naso mi è volato qualcosa come una saetta e della grandine; e quando gli fui vicino, ha tirato fuori dal suo corpo una costola rilucente, e con quella mi ha picchiato tanto che a momenti ci restavo.- -Vedi, che razza di gradasso sei!- disse la volpe. -Fai il passo più lungo della gamba!-Questo episodio è offerto da Podbean.com.

Tuesday Aug 13, 2024
Tuesday Aug 13, 2024
C'era una volta un uomo che si intendeva di ogni arte; prestò servizio come soldato, comportandosi in modo valoroso; ma, terminata la guerra, fu congedato e gli dettero tre soldi di compenso. -Aspetta un po'- disse -non mi raggirate tanto facilmente: se trovo gli uomini giusti, il re dovrà darmi le ricchezze di tutto il paese.- Pieno di rabbia, andò nel bosco e vide un uomo che aveva sradicato sei alberi come se fossero state spighe di grano. Gli disse: -Vuoi diventare mio servitore e seguirmi?- -Sì- rispose quello -ma prima voglio portare a mia madre quel mucchietto di legna.- Afferrò allora uno degli alberi, lo legò intorno agli altri cinque e, presa la fascina sulle spalle, se la portò via. Poi ritornò e si mise in cammino con il suo padrone che disse: -Noi due dobbiamo farci strada nel mondo-. Quand'ebbero percorso un tratto di strada, incontrarono un cacciatore che, in ginocchio, aveva caricato il fucile e stava prendendo la mira. L'uomo gli disse: -A cosa vuoi sparare, cacciatore?-. Quello rispose: -A due miglia da qui c'è una mosca sul ramo di una quercia; voglio cavarle l'occhio sinistro-. -Oh, vieni con me- disse l'uomo -noi tre insieme ci faremo strada nel mondo.- Il cacciatore andò con loro ed essi arrivarono a sette mulini a vento, le cui ali giravano rapidamente anche se non c'era vento e non si muoveva neanche una foglia. Disse l'uomo: -Non capisco cosa faccia muovere i mulini, non c'è un filo d'aria!-. Proseguì il cammino con i suoi servi e, quand'ebbero fatto due miglia, videro un uomo, seduto su di un albero, che si teneva chiusa una narice e soffiava con l'altra. -Che stai facendo lassù?- chiese l'uomo. Quello rispose: -A due miglia da qui ci sono sette mulini a vento; vedete? io soffio per farli girare-. -Oh, vieni con me- disse l'uomo -noi quattro insieme ci faremo strada nel mondo.- Allora quello che soffiava scese dall'albero e andò con loro. Dopo un po' videro uno che se ne stava su di una gamba sola: aveva staccato l'altra e se l'era messa accanto. -Ti sei messo comodo per riposare!- esclamò l'uomo. -Sono un corridore- rispose quello -e per non correre troppo in fretta mi sono staccato una gamba; infatti se corro con tutt'e due, vado più veloce di un uccello che vola.- -Oh, vieni con me, noi cinque insieme ci faremo strada nel mondo.- Egli andò con loro e dopo un po' incontrarono uno che portava un cappellino che gli copriva tutto un orecchio. Allora l'uomo gli disse: -Che bellino! Ma metti a posto il tuo cappello: hai l'aria di uno sciocco!-. -Non posso- rispose quello -se lo raddrizzo, viene un gran freddo e gli uccelli che se ne stanno all'aria aperta gelano e cadono a terra morti.- -Oh, vieni con me- disse l'uomo -noi sei, tutti insieme, ci faremo strada nel mondo.- I sei arrivarono in una città dove il re aveva reso noto che colui che avesse voluto gareggiare con la figlia nella corsa, se vinceva la gara l'avrebbe sposata, ma se perdeva, ci avrebbe rimesso la testa. L'uomo si presentò e disse: -Farò correre il mio servo per me-. Il re rispose: -Allora devi impegnare anche la sua vita, sicché‚ le vostre due teste saranno il pegno della vittoria-. Dopo essersi accordati, l'uomo attaccò al corridore l'altra gamba e gli disse: -Adesso sii veloce e aiutami, che si possa vincere-. Si era deciso che avrebbe vinto colui che, per primo, avesse portato l'acqua da una lontana sorgente. Il corridore e la principessa ebbero entrambi una brocca e incominciarono a correre nello stesso momento; ma in un attimo, mentre la principessa aveva percorso solo un breve tratto, più nessuno riusciva a vedere il corridore, passato veloce come il vento. In breve tempo giunse alla fontana, attinse l'acqua riempiendo la brocca e tornò indietro. Ma a metà percorso lo prese la stanchezza, depose la brocca, si distese e si addormentò. Appoggiò, tuttavia, la testa su di un teschio di cavallo, per dormire sul duro e svegliarsi presto. Intanto la principessa, che correva bene anche lei, ma come una persona qualunque, era arrivata alla fonte, e se ne tornava indietro con la brocca piena d'acqua. Quando vide il corridore disteso a terra che dormiva, disse tutta contenta: -Il nemico è nelle mie mani-. Gli vuotò la brocca e riprese a correre. Tutto sarebbe stato perduto se il cacciatore, con i suoi occhi acuti, non avesse fortunatamente visto tutto dall'alto del castello. -La principessa non deve averla vinta- disse; poi caricò il fucile e sparò con tanta destrezza da portar via il teschio sotto la testa del corridore senza fargli alcun male. Il corridore così si svegliò, saltò su e vide che la sua brocca era vuota e la principessa già molto lontana. Ma non si perse d'animo, prese la brocca, tornò a riempirla alla fonte e riuscì ad arrivare ancora dieci minuti prima della principessa, vincendo la gara. -Vedete?- disse -finalmente ho adoperato le gambe, perché‚ prima non si poteva proprio parlare di corsa!- Ma il re era avvilito, e sua figlia ancora di più all'idea di essere portata via da un qualunque soldato in congedo, e tramarono insieme il modo di sbarazzarsi di lui e dei suoi compagni. Il re le disse: -Ho trovato il sistema; non aver paura, non torneranno più-. E disse loro: -Adesso dovete fare baldoria, mangiare e bere tutti insieme-. Li condusse in una stanza che aveva il pavimento e la porta di ferro e le finestre chiuse da sbarre di ferro. Nella stanza c'era una tavola sulla quale vi era ogni ben di Dio, e il re disse: -Entrate e godetevela!-. E, quando furono entrati, fece sprangare la porta. Poi chiamò il cuoco e gli ordinò di accendere un gran fuoco sotto la stanza affinché‚ il ferro si arroventasse. Il cuoco obbedì e i sei, mentre sedevano a tavola, incominciarono a sentire un gran caldo e pensarono che fosse effetto del cibo; ma il calore aumentava sempre di più e, quando vollero uscire, trovarono porta e finestra chiusi; allora capirono che il re aveva cattive intenzioni e voleva soffocarli. -Ma non l'avrà vinta!- disse quello con il cappellino -farò venire un freddo tale, che il fuoco dovrà vergognarsi e nascondersi.- Drizzò il suo cappellino e subito venne un tale freddo che estinse ogni calore e i cibi incominciarono a gelare nei piatti. Trascorse un paio d'ore il re, credendo che il calore li avesse soffocati, fece aprire la porta e andò a vedere di persona. Ma quando la porta si aprì, erano là tutti e sei freschi e sani; e dissero che erano ben contenti di poter uscire a scaldarsi, perché‚, con il gran freddo che faceva nella stanza, i cibi si congelavano nei piatti. Allora, pieno di collera, il re scese dal cuoco rimproverandolo aspramente e chiedendogli perché‚ non avesse eseguito con maggior attenzione ciò che gli era stato ordinato. Ma il cuoco rispose: -Di calore ce n'è abbastanza, andate a vedere voi stesso-. E il re vide che sotto la stanza di ferro ardeva un gran fuoco e capì che con quei sei non l'avrebbe spuntata. Allora si mise nuovamente a pensare a come liberarsi di quegli ospiti sgraditi; fece chiamare il loro capo e disse: -Se accetti dell'oro e, in cambio, rinunci ai diritti che hai su mia figlia, ti darò quanto vuoi-. -Sì, maestà- rispose egli -se mi date quanto può portare il mio servo, rinuncio a vostra figlia.- Il re era soddisfatto, e quello proseguì: -Tornerò a prenderlo fra quindici giorni-. Poi fece radunare tutti i sarti del regno, che per quindici giorni, dovettero starsene seduti a cucire un sacco. Quando il sacco fu pronto, quello che sradicava gli alberi dovette metterselo sulle spalle e recarsi insieme al capo dal re. Il re disse: -Che razza di energumeno è costui che porta sulle spalle quel sacco di tela gigantesco!- e inorridì pensando a quanto oro si sarebbe trascinato via. Allora fece portare una tonnellata d'oro, che dovettero portare sedici dei suoi uomini più forti; ma il forzuto la prese con una mano, la mise nel sacco e disse: -Perché‚ non ne fate portare subito di più? Questo copre appena il fondo-. Così, poco per volta, il re dovette far portare tutte le sue ricchezze; l'uomo le cacciò nel sacco che non era pieno neanche a metà. -Portatene di più- gridò -le briciole non riempiono.- Così furono costretti a radunare, in tutto il regno, altri settemila carri colmi d'oro; e quello li mise nel sacco insieme ai buoi che vi erano attaccati. -Non sto a fare il difficile- diss'egli -prendo quel che capita, pur di riempire il sacco.- Quanto tutto fu dentro, ci sarebbe stato ancora dell'altro, ma egli disse: -Basta così: si può legare un sacco anche se non è del tutto pieno-. Poi se lo caricò sulla schiena e se ne andò con i suoi compagni. Il re, vedendo quell'uomo portare via tutte le ricchezze del paese, andò in collera e ordinò alla cavalleria di montare in sella e di rincorrere i sei uomini per riprendere il sacco. Ben presto i due reggimenti li raggiunsero e gridarono: -Siete prigionieri: mettete giù quel sacco con l'oro o vi travolgeremo!-. -Che cosa?- esclamò quello che soffiava. -Noi prigionieri? Prima dovrete ballare in aria tutti quanti.- Si chiuse una narice, mentre con l'altra soffiò contro i due reggimenti che si dispersero nell'aria, oltre i monti, uno qua e l'altro là. Un furiere implorò grazia, dicendo che aveva nove ferite, che era stato coraggioso e che, perciò, non meritava di essere punito. Allora l'uomo soffiò un po' meno forte, sicché‚ il soldato cadde a terra senza farsi male; poi gli disse: -Adesso ritorna dal re e digli di mandare pure dell'altra cavalleria: soffierei anche quelli per aria!-. Il re, quando udì il messaggio, disse: -Lasciateli andare, hanno il diavolo in corpo!-. Così i sei portarono a casa tutta quella ricchezza, se la divisero fra loro e vissero felici fino alla morte.Questo episodio è offerto da Podbean.com.

Tuesday Aug 13, 2024
Tuesday Aug 13, 2024
Una volta un padre chiamò a s‚ i suoi tre figli, e al primo regalò un gallo, al secondo una falce e al terzo un gatto. -Sono già vecchio- disse -e la mia morte è vicina, prima della mia fine voglio riuscire a provvedere ancora a voi. Danaro non ne ho, e ciò che vi ho dato adesso sembra aver poco valore; in realtà non avete che da usarlo con giudizio: cercate un paese dove queste cose siano ancora sconosciute e sarà la vostra fortuna.- Dopo la morte del padre, il maggiore dei fratelli se ne andò di casa con il suo gallo, ma in qualunque città si recasse, già di lontano scorgeva, sulle torri, il gallo girare al vento; nei villaggi ne udì cantare più di uno, e nessuno si meravigliò di quella bestia, sicché‚ non pareva proprio che dovesse fare la sua fortuna. Ma alla fine gli capitò di arrivare in un'isola, dove la gente non sapeva che cosa fosse un gallo e ignorava persino come si potesse dividere il giorno. Sapevano, è vero, quando era mattina o sera, ma di notte, se non dormivano, nessuno sapeva che ora fosse. -Guardate- diss'egli -che animale superbo, ha una corona color del rubino sulla testa, e porta gli speroni come un cavaliere; di notte vi chiama tre volte a ore fisse, e l'ultima volta è quando sta per sorgere il sole. Ma se canta in pieno giorno, allora state all'erta che certo pioverà.- Alla gente piacque la novità: non dormì per un'intera notte, e ascoltò con soddisfazione il gallo gridare a piena gola alle due, alle quattro e alle sei. Gli domandò se l'animale era in vendita e quanto denaro egli volesse. -Tant'oro quanto può portarne un asino- rispose -Un modico prezzo per un animale così prezioso!- esclamarono tutti in coro, e gli diedero ciò che aveva chiesto. Quand'egli fece ritorno a casa con tutta quella ricchezza, i suoi fratelli si meravigliarono, e il secondo disse: -Mi metterò anch'io in cammino per vedere se riesco a vendere altrettanto bene la mia falce-. Ma sembrava proprio di no, poiché‚ ovunque incontrava dei contadini che portavano sulle spalle una falce come la sua. Alla fine, però, ebbe anche lui la fortuna di trovare un'isola dove la gente non aveva mai visto una falce. Quando il grano era maturo, piazzavano dei cannoni davanti ai campi e l'abbattevano a forza di spari. Ma la cosa era maldestra: qualcuno sbagliava il tiro sparando oltre, altri invece dello stelo colpivano le spighe e le spazzavano via, sicché‚ molto grano andava perduto, e per di più c'era un gran baccano. Il giovane allora si mise all'opera e falciò così in fretta e in silenzio, che la gente rimase a bocca aperta per lo stupore. Gli diedero volentieri il prezzo che chiedeva ed egli si prese un cavallo carico d'oro, quanto poteva portarne. Ora anche il terzo fratello volle cercare qualcuno a cui vendere il suo gatto. Anche a lui le cose non andarono diversamente: finché‚ rimase sulla terraferma, non vi fu nulla da fare, poiché‚ ovunque c'erano gatti, e ce n'erano tanti che i piccoli, appena nati, venivano spesso annegati. Finalmente si fece trasportare su di un'isola, e là gli capitò la fortuna che non avessero mai visto un gatto; e i topi prosperavano al punto che ballavano su tavole e panche, ci fosse o no il padrone di casa. La gente si dava alla disperazione e lo stesso re non riusciva a mettersi al riparo da quella piaga: in ogni angolo del castello i topi fischiavano, e rosicchiavano tutto quel che potevano mettere sotto i denti. Allora il gatto incominciò la sua caccia e, ben presto, ripulì un paio di sale, tanto che la gente pregò il re di acquistare per il regno quell'animale meraviglioso. Il re diede volentieri ciò che gli fu chiesto: un mulo carico d'oro; e il terzo fratello se ne tornò a casa più ricco di tutti. Nel castello, il gatto si divertiva un mondo con i topi, finché ne ammazzò tanti che non si contavano più. Alla fine, a forza di lavorare, gli venne caldo ed ebbe sete: allora si fermò, alzò la testa e gridò: -Miau, miau!-. All'udire quello strano grido, il re e i cortigiani si spaventarono e corsero tutti insieme fuori dal castello, pieni di paura. Il re tenne consiglio sul da farsi, e infine si stabilì di inviare al galoppo un araldo a ordinargli di lasciare il castello, se non voleva che usassero la forza. I consiglieri dicevano: -Piuttosto preferiamo il flagello dei topi, cui siamo abituati, che lasciare la nostra vita in preda a quel mostro-. Un paggio dovette andare a chiedere al gatto se intendeva abbandonare il castello. Ma il gatto, che aveva ancora più sete, rispose semplicemente: -Miau, miau!-. Il paggio capì: -Assolutamente no!- e portò la risposta al re. -Se è così- dissero i consiglieri -cederà alla forza!- Furono appostati dei cannoni e spararono provocando un incendio nel castello. Quando il fuoco giunse nella sala dove si trovava il gatto, questi saltò agilmente fuori dalla finestra; ma gli assedianti non smisero di sparare, finché‚ tutto il castello fu ridotto a un cumulo di macerie.Questo episodio è offerto da Podbean.com.

Tuesday Aug 13, 2024
Tuesday Aug 13, 2024
C'era una volta un vecchio castello nel cuore di una foresta grande e fitta; là abitava, tutta sola, una vecchia strega molto potente. Di giorno si trasformava in gatto o in civetta, mentre la sera riprendeva l'aspetto umano. Sapeva come attirare la selvaggina e gli uccelli, poi li macellava e li cucinava lessi o arrosto. Se qualcuno arrivava a cento passi dal castello, era costretto a fermarsi e non poteva più muoversi finché‚ ella non lo liberava Ma se una vergine entrava in quel cerchio, la vecchia la trasformava in uccello e la rinchiudeva in una gabbia che metteva in una delle stanze del castello. Di quelle gabbie ne aveva ben settemila, con dentro uccelli tanto rari. C'era una fanciulla che si chiamava Jorinda, più bella di ogni altra. Era promessa sposa a un giovane leggiadro di nome Joringhello. Il giorno delle nozze si avvicinava, ed essi erano felici in compagnia l'uno dell'altro. Per poter parlare e confidarsi, se ne andarono nel bosco a passeggiare. -Fai attenzione- disse il giovane -di non avvicinarti troppo al castello.- Era una bella serata, il sole brillava fra i tronchi degli alberi, chiaro nel verde cupo della foresta, e la tortora gemeva sulle vecchie betulle. Ogni tanto Jorinda piangeva, si sedeva al sole lamentandosi, e così pure faceva Joringhello. Erano sgomenti come se dovessero morire. Si guardarono intorno: si erano persi e non sapevano come ritrovare la via di casa. Il sole era già tramontato per metà dietro al monte. Il giovane guardò fra i cespugli e vide in prossimità le vecchie mura del castello; a quella vista si spaventò a morte. Jorinda cantava:-Il mio uccellino dal rosso anellino, canta lamenti, lamenti, lamenti. Predice alla colomba la morte fra i tormenti; canta lamenti, sì! Chiù, chiù, chiù!-Joringhello la guardò: Jorinda si era mutata in un usignolo che cantava: -Chiuì, chiuì-. Una civetta dagli occhi ardenti le volò attorno tre volte, e per tre volte gridò: -Sciù, uh, uh, uh-. Joringhello non poteva muoversi: era rigido come pietra e non poteva piangere, n‚ parlare, n‚ muovere la mano o il piede. Ora il sole era tramontato: la civetta volò in un cespuglio, e, subito dopo, ne venne fuori una vecchia tutta curva, gialla e rinsecchita con degli occhiacci rossi e il naso tanto adunco che le toccava il mento con la punta. Ella borbottò qualcosa, poi afferrò l'usignolo e lo portò via. Joringhello non poteva dire nulla n‚ muoversi; l'usignolo era scomparso. Finalmente la vecchia ritornò e disse con voce roca: -Salute, Zachiele, quando la luna splende nel cerfoglio, sciogli, Zachiele, alla buon'ora-. E Joringhello fu libero. Si gettò ai piedi della vecchia pregandola di ridargli la sua Jorinda; ma ella rispose che non l'avrebbe riavuta mai più e se ne andò. Egli gridò, pianse, si lamentò, ma invano. -Oh, che sarà mai di me?- Joringhello se ne andò e giunse infine in un villaggio sconosciuto, dove fece il guardiano di pecore per lungo tempo. Spesso si aggirava intorno al castello, senza tuttavia avvicinarsi troppo. Infine una notte sognò di trovare un fiore rosso sangue con in mezzo una perla bella grossa. Egli colse il fiore e andò al castello, e tutto ciò che toccava con il fiore si liberava dall'incantesimo. Sognò inoltre che in quel modo era riuscito a riavere la sua Jorinda. La mattina, quando si svegliò, incominciò a cercare quel fiore per monti e valli. Cercò fino al nono giorno, e, di mattino presto, trovò il fiore rosso sangue. In mezzo c'era una goccia di rugiada, grossa come la perla più bella. Portò con s‚ il fiore giorno e notte, finché‚ giunse al castello. Là, non fu più immobilizzato dall'incantesimo, ma proseguì fino al portone. Joringhello se ne rallegrò, lo toccò con il fiore, e il portone si spalancò. Egli entrò, attraversò il cortile e tese l'orecchio per capire di dove venisse il canto degli uccelli. Infine lo capi, andò e trovò la sala dove si trovava la strega che stava dando da mangiare agli uccelli nelle settemila gabbie. Quand'ella vide Joringhello, andò su tutte le furie, lo maledì, gli sputò addosso fiele e veleno, ma dovette fermarsi a due passi da lui. Egli non si curò di lei e andò a vedere le gabbie con gli uccelli. Ma c'erano molte centinaia di usignoli e, fra tanti, come poteva ritrovare la sua Jorinda? Mentre guardava, si accorse che la vecchia prendeva di nascosto una gabbietta con un uccello e si avviava verso la porta. Le si avvicinò d'un balzo e, con il fiore, toccò la gabbietta e anche la vecchia, che non pot‚ più fare incantesimi. Jorinda era là, gli aveva gettato le braccia intorno al collo, ed era bella come un tempo. Egli ridiede aspetto umano anche agli altri uccelli, poi se ne ritornò a casa con la sua Jorinda e vissero a lungo insieme felici e contenti.Questo episodio è offerto da Podbean.com.

Tuesday Aug 13, 2024
Tuesday Aug 13, 2024
C'era una volta un uomo che voleva far imparare un mestiere al figlio; va in chiesa a domandare a Nostro Signore che cosa fosse meglio. Dietro l'altare c'era il sagrestano che dice: -Il mestiere del ladro! Il mestiere del ladro!-. Allora egli va a casa e dice al figlio che deve imparare a fare il ladro: glielo ha suggerito Nostro Signore. E parte con lui per cercare qualcuno che conosca il mestiere. Cammina un'intera giornata e arriva in un gran bosco, dove c'è una casina e dentro una vecchietta. Dice il padre: -Non conoscete per caso qualcuno che sappia l'arte del ladro?-. -Potete imparare benissimo qui, mio figlio ne è maestro.- Allora egli parla con il figlio e gli chiede se davvero sa fare il ladro. Il maestro dice: -Istruirò vostro figlio. Tornate fra un anno, e se lo riconoscerete non voglio nessun compenso, ma se non lo riconoscerete, dovrete darmi duecento scudi-. Il padre torna a casa e il figlio impara bene l'arte degli stregoni e dei ladri. Trascorso l'anno, il padre si incammina e piange, perché‚ non sa come fare a riconoscere il figlio. Mentre va e piange, gli viene incontro un omino che dice: -Perché‚ piangete, siete così afflitto?-. -Oh- risponde -un anno fa ho lasciato mio figlio da un ladro perché‚ ne imparasse il mestiere; questi mi ha detto di tornare dopo un anno, e se non avessi riconosciuto mio figlio, avrei dovuto dargli duecento scudi, mentre se lo avessi riconosciuto non avrei dovuto dargli niente. Adesso ho tanta paura di non riconoscerlo e non so dove trovare il denaro.- Allora l'omino gli dice di prendere un pezzetto di pane e di andare a mettersi sotto il camino: -Là, sopra la spranga, c'è una gabbietta con dentro un uccellino che guarda fuori: è vostro figlio-. Il padre va e getta un pezzo di pane davanti alla gabbia, allora viene fuori l'uccellino e lo guarda. -Olà! sei qui, figlio mio?- dice il padre. Il figlio è tutto contento di rivedere il padre, ma il maestro dice: -Ve l'ha detto il diavolo, come riconoscere vostro figlio!-. -Andiamo, babbo!- dice il ragazzo. Il padre ritorna a casa con suo figlio; per strada passa una carrozza e il figlio dice: -Mi tramuterò in levriero grigio e vi farò guadagnare molto denaro-. Il signore grida dalla carrozza: -Buon uomo, volete forse vendere il cane?-. -Sì- dice il padre. -Quanto volete?- -Trenta scudi.- -Ehi, buon uomo, è una bella somma, ma è un cane così bello che lo prenderò ugualmente.- Il signore fa salire il cane in carrozza ma, dopo aver fatto un tratto di strada, il cane salta fuori dal finestrino: non era più un levriero ed era tornato da suo padre. Se ne vanno insieme a casa. Il giorno dopo c'è mercato nel villaggio vicino e il giovane dice a suo padre: -Mi muterò in cavallo; vendetemi, ma quando mi vendete toglietemi la cavezza, altrimenti non posso più riprendere l'aspetto umano-. Il padre porta il cavallo al mercato, ed ecco arrivare il maestro del figlio che compra il cavallo per cento scudi; ma il padre si scorda di togliergli la cavezza. L'uomo va a casa con il cavallo e lo mette nella stalla. Arriva la serva e il cavallo dice: -Toglimi la cavezza, toglimi la cavezza!-. La serva si ferma e borbotta: -Sai forse parlare?-. Va e gli toglie la cavezza; allora il cavallo diventa un passero e vola fuori dalla porta, e il maestro diventa anche lui un passero e gli vola dietro. S'incontrano e si sfidano, ma il maestro perde, si butta in acqua e diventa un pesce. Anche il giovane si tramuta in pesce, si sfidano di nuovo e il maestro perde. Si trasforma in pollo mentre il giovane diventa una volpe e con un morso stacca la testa al maestro. Così quello è morto e morto rimane.Questo episodio è offerto da Podbean.com.

Tuesday Aug 13, 2024
Tuesday Aug 13, 2024
C'era una volta un principe che aveva una fidanzata e l'amava teneramente. Un giorno che si trovava insieme a lei, tutto felice, giunse la notizia che il padre stava per morire e desiderava vederlo ancora una volta. Allora egli disse alla sua amata: -Devo partire e lasciarti, ma ti do quest'anello in mio ricordo. Quando sarò re, tornerò a prenderti-. Poi partì a cavallo e, quando arrivò, il padre era in fin di vita e gli disse: -Figlio diletto, ho voluto vederti ancora una volta; promettimi di sposarti secondo la mia volontà-. E gli nominò una certa principessa che doveva diventare sua sposa. Il figlio era così afflitto che rispose, senza riflettere: -Sì, caro padre, sarà fatta la vostra volontà-. Il re chiuse gli occhi e morì. Il principe fu proclamato re e, quando fu trascorso il periodo di lutto, dovette mantenere la promessa fatta al padre: fece perciò chiedere la mano della principessa e gli fu concessa. Lo venne a sapere la sua prima fidanzata, e si addolorò tanto dell'infedeltà che quasi ne morì. Allora il padre le disse: -Figliola cara, perché‚ sei tanto infelice? Avrai tutto ciò che desideri-. Ella rifletté‚ un momento, poi disse: -Caro padre, desidero undici fanciulle che mi somiglino nelle fattezze e nel volto-. Il re disse: -Se è possibile, sarà fatto-. E fece cercare in tutto il regno, finché‚ si trovarono undici fanciulle simili a sua figlia nelle fattezze e nel volto. Quando si presentarono alla principessa, ordinò dodici abiti da cacciatore, tutti uguali, e le undici fanciulle dovettero indossarli, mentre ella indossò il dodicesimo. Poi prese congedo da suo padre e se ne andò con loro, cavalcando fino alla corte del suo fidanzato di un tempo, che tanto amava. Ella gli domandò se avesse bisogno di cacciatori e se non volesse prenderli tutti al suo servizio. Il re la guardò senza riconoscerla e, trattandosi di gente dal bell'aspetto, disse che li avrebbe presi volentieri: così diventarono i dodici cacciatori del re. Ma il re aveva un leone che era una strana bestia: sapeva tutto ciò che era nascosto e segreto. Una sera disse al re: -Pensi di avere dodici cacciatori?-. -Sì- rispose il re -sono dodici cacciatori.- -Ti sbagli- replicò il leone -sono dodici fanciulle.- Rispose il re: -Non è possibile! Come puoi provarlo?-. -Oh, fa' spargere dei piselli nell'anticamera- rispose il leone -e lo vedrai subito: gli uomini hanno un passo fermo e se calpestano i piselli non se ne muove neanche uno; ma le fanciulle trotterellano, zampettano, camminano strisciando i piedi e fanno rotolare i piselli.- Al re piacque l'idea e fece spargere i piselli. Ma c'era un servo del re che proteggeva i cacciatori, e quando udì che volevano metterli alla prova, andò e raccontò loro tutto quanto, dicendo: -Il leone vuole dimostrare al re che siete fanciulle-. La principessa lo ringraziò e poi disse alle sue ancelle: -Controllatevi e camminate sui piselli con passo deciso-. Quando la mattina dopo il re fece chiamare i dodici cacciatori, ed essi entrarono nell'anticamera dov'erano sparsi i piselli, ci camminarono sopra con tanta sicurezza e avevano un passo così fermo e deciso, che neanche uno rotolò n‚ si mosse. Se ne andarono e il re disse al leone: -Mi hai ingannato, camminano proprio come uomini-. Il leone rispose: -Sapevano che sarebbero state messe alla prova, e hanno controllato la loro andatura. Ma fai portare nell'anticamera dodici filatoi: ci si avvicineranno con gioia, e questo nessun uomo lo fa-. Al re piacque l'idea e fece disporre i filatoi nell'anticamera. Ma il servo che proteggeva i cacciatori andò da loro e rivelò il tranello. Come furono sole, la principessa disse alle sue undici fanciulle: -Controllatevi e non guardate mai i filatoi-. La mattina dopo, quando il re fece chiamare i suoi dodici cacciatori, questi attraversarono l'anticamera senza guardarli affatto. Allora il re disse nuovamente al leone: -Mi hai ingannato, sono uomini: non hanno guardato i filatoi-. Il leone rispose: -Sapevano che sarebbero state messe alla prova e si sono controllate-. Ma il re disse: -Non voglio più crederti-. Così i dodici cacciatori seguivano sempre il re durante la caccia, ed egli li amava sempre di più. Ma un giorno, mentre si trovavano a caccia, annunciarono che stava giungendo la sposa del re. La notizia afflisse a tal punto la vera fidanzata, che le parve di morire e cadde a terra priva di sensi. Il re pensò che fosse successa una disgrazia al suo caro cacciatore, corse a soccorrerlo e gli tolse il guanto. Ed ecco egli scorse l'anello che aveva dato alla sua prima fidanzata e, guardandola bene in viso, la riconobbe. Tutto commosso, la baciò, e quand'ella aprì gli occhi, le disse: -Tu sei mia e io sono tuo, e questo nessun uomo al mondo potrà cambiarlo-. Inviò un messo all'altra sposa pregandola di ritornare nel suo regno, poiché‚ egli aveva già una fidanzata, e chi ritrova la vecchia chiave, non ha bisogno di una nuova. Poi furono celebrate le nozze, e anche il leone ritornò in grazia, perché‚ aveva pur detto la verità.Questo episodio è offerto da Podbean.com.

Tuesday Aug 13, 2024
Tuesday Aug 13, 2024
C'era una volta una donna che aveva una figlia e un bell'orto pieno di cavoli. D'inverno venne un leprotto che mangiava tutti i cavoli. Allora la donna disse alla figlia: -Va' nell'orto, e scaccia il leprotto-. La fanciulla disse al leprotto: -Via, via, leprotto, non mangiare tutto il cavolo!-. Il leprotto disse: -Vieni, fanciulla, siediti sul mio codino e vieni nella mia casetta-. La fanciulla non volle. Il giorno dopo il leprotto tornò a mangiare il cavolo, e la donna disse di nuovo alla figlia: -Va' nell'orto e scaccia il leprotto-. La fanciulla disse al leprotto: -Via, via, leprotto, non mangiare tutto il cavolo!-. Il leprotto disse: -Vieni, fanciulla, siediti sul mio codino e vieni nella mia casetta-. La fanciulla non volle. Il terzo giorno il leprotto tornò a mangiare il cavolo. Allora la donna disse alla figlia: -Va' nell'orto e scaccia il leprotto-. Disse la fanciulla: -Via, via, leprotto, non mangiare tutto il cavolo!-. Il leprotto disse: -Vieni, fanciulla, siediti sul mio codino e vieni nella mia casetta-. La fanciulla si sedette sul codino del leprotto e questi la portò lontano lontano, nella sua casetta e disse: -Adesso prepara verza e miglio, io farò gli inviti per le nozze-. E tutti gli invitati arrivarono insieme. (E chi erano? Te la dirò come me l'hanno raccontata: erano tutte lepri, la cornacchia faceva da parroco per benedire gli sposi, la volpe da sagrestano, e l'altare era sotto l'arcobaleno.) Ma la fanciulla era triste, perché‚ era tanto sola. Il leprotto va a dirle: -Apri, apri! gli invitati sono allegri-. La sposa non dice nulla e piange. Il leprotto se ne va, poi torna e dice: -Apri, apri! gli invitati hanno fame-. La sposa non dice nulla e piange. Il leprotto se ne va, poi torna e dice: -Apri, apri! gli invitati aspettano-. La sposa non dice nulla e il leprotto se ne va; ma ella fa una bambola di paglia, le mette i suoi vestiti, le dà un mestolo, la porta davanti alla pentola del miglio e va dalla madre. Il leprotto ritorna e dice: -Apri, apri! gli invitati aspettano-. Dà uno scappellotto alla bambola e le fa cadere la cuffia. Allora il leprotto si accorge che la sposa è sparita e se ne va tutto triste.Questo episodio è offerto da Podbean.com.

Tuesday Aug 13, 2024
Tuesday Aug 13, 2024
C'era una volta un re che aveva una moglie con i capelli d'oro, ed era così bella come nessun'altra al mondo. Ma avvenne che la regina si ammalò e quando sentì di essere prossima a morire chiamò il re e disse: -Se vorrai risposarti dopo la mia morte, non prendere una che sia meno bella di me e non abbia i capelli d'oro come i miei; devi promettermelo-. Quando il re gliel'ebbe promesso, chiuse gli occhi e morì. Per molto tempo il re fu inconsolabile e non pensò a riprender moglie. Ma alla fine i consiglieri dissero: -Non c'è altra soluzione, il re deve riammogliarsi perché‚ possiamo avere una regina-. Inviarono dei messi dappertutto a cercare una sposa che fosse bella come la regina morta. Ma nessuna principessa al mondo era tanto bella e, anche se l'avessero trovata, non avrebbe avuto quei capelli d'oro. Allora i messi ritornarono senza aver concluso nulla. Ma il re aveva una figlia che era proprio bella come la madre morta e aveva i capelli d'oro come i suoi. Era ormai grande quando un giorno il re osservandola vide che somigliava in tutto alla moglie morta; allora egli provò un amore ardente per lei e disse ai consiglieri: -Voglio sposare mia figlia: è il ritratto di mia moglie morta, altrimenti non troverò altra sposa su questa terra-. All'udire queste parole, i consiglieri inorridirono e dissero: -Dio ha vietato che il padre sposi la figlia; dal peccato non può venire alcun bene-. Anche la fanciulla inorridì quando venne a conoscenza dell'intento del padre, ma sperava ancora di poterlo dissuadere. Così gli disse: -Prima di secondare il vostro desiderio, devo avere tre abiti: uno d'oro come il sole, l'altro d'argento come la luna, e il terzo splendente come le stelle; e inoltre voglio un mantello fatto con pellicce di ogni sorta, e ogni animale del vostro regno deve dare un pezzo della sua-. Ella infatti pensava che l'idea fosse impossibile a realizzarsi, e che il padre avrebbe abbandonato i propri propositi. Ma il re non cedette, e le fanciulle più abili del regno dovettero tessere i tre abiti, uno d'oro come il sole, l'altro d'argento come la luna e uno lucente come le stelle; e i suoi cacciatori dovettero catturare tutti gli animali del regno e togliere loro un pezzo di pelle; così fu cucito un mantello fatto di pellicce di ogni sorta. Quando fu pronto, il re glielo fece portare e disse: -Domani ci saranno le nozze-. La principessa vide che non c'era più speranza di mutare il volere del padre, e così, di notte, mentre tutti dormivano, si alzò e prese tre dei suoi gioielli d'oro: un anello, un piccolo fuso ed un piccolo aspo. Mise poi in un guscio di noce le tre vesti di sole, di luna e di stelle, indossò il manto di pellicce di ogni sorta e si annerì il viso e le mani con la fuliggine. Poi si raccomandò a Dio e se ne andò. Camminò tutta la notte finché‚ giunse in un gran bosco, e, poiché‚ era tanto stanca, si sedette in un albero cavo e si addormentò. Il sole era già alto ed ella continuava a dormire. Ora avvenne che il re cui quel bosco apparteneva stava andando a caccia; i suoi cani arrivarono all'albero, fiutarono e abbaiando si misero a corrervi attorno. Il re disse ai cacciatori: -Guardate un po' che animale si nasconde laggiù-. I cacciatori andarono e ritornarono dicendo: -Nell'albero cavo c'è uno strano animale che non abbiamo mai visto: sulla pelle ha ogni sorta di pelo; è sdraiato e dorme-. Disse il re: -Cercate di catturarlo vivo, poi legatelo sul carro e portatelo con voi-. Ma quando i cacciatori l'afferrarono, la fanciulla si svegliò e, spaventata, disse: -Sono una povera fanciulla abbandonata dai genitori: abbiate pietà di me e prendetemi con voi-. Quelli risposero: -Sì, Dognipelo, tu vai bene per la cucina; vieni con noi, potrai scopare la cenere-. La fecero sedere sul carro e la portarono al castello reale. Là le indicarono un bugigattolo nel sottoscala, dove non arrivava mai la luce del giorno, e dissero: -Bestiola ispida, qui potrai alloggiare e dormire-. Poi la spedirono in cucina, dov'ella portò l'acqua e la legna, attizzò il fuoco, spennò il pollame, pulì la verdura, spazzò la cenere e fece tutti i lavori più sgradevoli. Così Dognipelo visse a lungo miseramente. Ah, bella principessa, che sarà mai di te! Ma un bel giorno nel castello diedero una festa, ed ella disse al cuoco: -Posso salire per un po' a vedere? Mi metterò fuori, davanti alla porta-. Il cuoco rispose: -Sì, va' pure, ma fra mezz'ora devi essere di nuovo qui a spazzare la cenere-. Allora ella prese un lume, andò nel suo bugigattolo, si tolse il mantello e la fuliggine da mani e volto, sicché‚ ricomparve tutta la sua bellezza, come il sole quando spunta dietro le nubi. Aprì la noce e ne tirò fuori l'abito splendente come il sole. Poi si recò alla festa e tutti le cedevano il passo, poiché‚ nessuno la conosceva e pensavano che fosse senz'altro una principessa. Ma il re le andò incontro, le porse la mano e ballò con lei, pensando in cuor suo: "Non ho mai visto una fanciulla tanto bella." Alla fine della danza ella s'inchinò e, quando il re si guardò attorno, era sparita chissà dove. Furono chiamate le guardie che si trovavano davanti al castello, ma nessuno l'aveva vista. Ella era corsa nel suo bugigattolo, si era tolta in fretta l'abito, si era annerita il viso e le mani e aveva indossato il mantello ridiventando Dognipelo. Quando entrò in cucina per rimettersi al lavoro e spazzare la cenere, il cuoco disse: -Lascia stare fino a domani e prepara la zuppa per il re: voglio andare anch'io di sopra a vedere un po'. Ma bada di non lasciarci cadere dentro dei capelli o non avrai più niente da mangiare!-. Il cuoco se ne andò e Dognipelo preparò la zuppa per il re; la cucinò meglio che poteva e, quando fu pronta, andò a prendere nello sgabuzzino il suo anello d'oro e lo mise nel piatto in cui doveva essere servita la zuppa. Finito il ballo, il re si fece portare la zuppa; la mangiò, e gli piacque tanto che gli parve di non averne mai mangiata una migliore. Ma quando arrivò al fondo, trovò l'anello d'oro e non riuscì a capire come vi fosse capitato. Allora mandò a chiamare il cuoco. Udendo l'ordine, questi si spaventò e disse a Dognipelo: -Hai sicuramente lasciato cadere un capello nella zuppa: se è così le prendi-. Quando si presentò davanti al re, questi gli domandò chi avesse fatto la zuppa. Il cuoco rispose: -L'ho preparata io-. -Non è vero- disse il re -era fatta diversamente dal solito, ed era molto migliore.- Allora il cuoco disse: -Devo confessare che non sono stato io a farla, ma Dognipelo-. -Fatela venire- disse il re. Quando Dognipelo arrivò, il re chiese: -Chi sei?-. Ella rispose: -Sono una povera fanciulla che non ha più i genitori-. Egli proseguì: -Che fai nel mio castello?-. -Non sono buona a nulla, se non a prendermi gli stivali sulla testa.- -Dove hai preso l'anello che ho trovato nella zuppa?- -Dell'anello non so nulla.- Così il re non riuscì a scoprire nulla e dovette rimandarla in cucina. Dopo qualche tempo vi fu un'altra festa, e anche questa volta Dognipelo domandò al cuoco il permesso di assistere al ballo. Il cuoco rispose: -Sì, ma fra una mezz'ora devi essere di ritorno a preparare la zuppa che il re mangia tanto volentieri-. Ella corse allora nel suo bugigattolo, si lavò in fretta, prese dalla noce l'abito argenteo come la luna e l'indossò. Salì e pareva proprio una principessa; il re le andò incontro, felice di rivederla e, poiché‚ stava incominciando una danza, ballarono insieme. Ma come la danza finì, ella scomparve così in fretta che il re la perse di vista. La fanciulla corse invece nel suo bugigattolo, si trasformò nuovamente in animale ispido, e andò in cucina a preparare la zuppa. Mentre il cuoco era di sopra, prese il fuso d'oro, lo mise nella scodella e ci versò sopra la zuppa. Poi la portarono al re che la mangiò di gusto, come la prima volta; fece chiamare il cuoco che dovette ammettere nuovamente di averla fatta preparare da Dognipelo. Dognipelo tornò a presentarsi al re, ma rispose che era buona solo a riceversi gli stivali sulla testa e che non sapeva nulla del fuso d'oro. Quando il re diede una festa per la terza volta, tutto andò come le altre volte. Veramente il cuoco disse: -Tu sei una strega, ispida bestiola, e metti sempre qualcosa nella zuppa, per farla così buona che al re piace più di quella che faccio io-. Ma ella lo pregò tanto, che la lasciò andare per il tempo stabilito. Ella indossò allora l'abito che brillava come le stelle ed entrò nella sala. Il re danzò di nuovo con la bella fanciulla, e pensava che non era mai stata così bella. E, mentre ballavano, le infilò un L anello d'oro al dito, senza che ella se ne accorgesse; e aveva ordinato che la danza durasse molto a lungo. Quando finì, le strinse le mani per trattenerla, ma ella si liberò a forza e fuggì fra la gente, così in fretta che egli non la vide più. Corse più veloce che poteva nel suo bugigattolo del sottoscala; e, siccome si era fermata più di mezz'ora, non pot‚ togliersi il bell'abito, ma lo coprì semplicemente con il mantello di pelo; e, nella fretta, non si coprì del tutto di fuliggine, ma un dito rimase bianco. Poi corse in cucina a preparare la zuppa per il re e, quando il cuoco se ne fu andato, vi mise dentro l'aspo d'oro. Il re, trovatolo sul fondo del piatto, fece nuovamente chiamare Dognipelo; e scorse il dito bianco e l'anello che le aveva messo durante la danza. Allora la prese per mano tenendola ferma, e quando ella fece per liberarsi e correr via, il mantello di pelo si aprì un po', facendo trasparire lo scintillio dell'abito. Il re afferrò il mantello e lo strappò. Allora comparvero i capelli d'oro e il bel vestito, che ormai non poteva più nascondere. Si tolse cenere e fuliggine dal viso, ed ecco la più bella principessa che si fosse mai vista al mondo. Il re disse: -Tu sei la mia cara sposa, e non ci separeremo mai più-. Furono celebrate le nozze, e vissero felici fino alla morte.Questo episodio è offerto da Podbean.com.

Tuesday Aug 13, 2024
Tuesday Aug 13, 2024
C'era un uomo che aveva tre figli; il minore, chiamato il Grullo, era disprezzato, dileggiato e messo da parte in ogni occasione. Un giorno il maggiore volle andare nel bosco a far legna e prima di uscire la madre gli diede una bella frittata e una bottiglia di vino perché‚ non patisse la fame e la sete. Quando giunse nel bosco, incontrò un vecchio omino grigio, che lo salutò e disse: -Dammi un pezzo della tua frittata e fammi bere un sorso del tuo vino, ho tanta fame e tanta sete!-. Ma il figlio avveduto rispose: -Se ti do la mia frittata e il mio vino, a me non resta più nulla. Vattene per la tua strada!- e se ne andò. Incominciò a tagliare un albero, ma ben presto sbagliò il colpo ferendosi il braccio con la scure e dovette andare a casa a farsi bendare. In realtà si trattava del castigo dell'omino grigio. Poi toccò al secondo figlio andare nel bosco, e la madre diede anche a lui una frittata e una bottiglia di vino. Anch'egli s'imbatté‚ nel vecchio omino grigio, che gli chiese un pezzo di frittata e un sorso di vino. Ma anche il secondo figlio parlò ragionevolmente: -Ciò che do a te, manca a me. Vattene per la tua strada!- e proseguì. L'omino non fece tardare il castigo: dopo aver dato due o tre colpi di scure a un albero, il giovane si ferì la gamba e dovettero trasportarlo a casa. Allora il Grullo disse: -Padre, voglio andare a far legna anch'io-. Il padre rispose: -I tuoi fratelli si sono fatti male; tu lascia perdere, tanto non ne capisci niente-. Ma il Grullo lo pregò tanto che il padre finì col dirgli: -Va' pure, imparerai a tue spese-. La madre gli diede una focaccia cotta nella cenere e una bottiglia di birra acida. Quando arrivò nel bosco, incontrò anch'egli il vecchio omino grigio, che lo salutò e gli disse: -Dammi un pezzo della tua focaccia e un sorso della tua bottiglia, ho tanta fame e tanta sete-. Il Grullo rispose: -Ho soltanto una focaccia cotta nella cenere e birra acida; se ti va bene possiamo sederci a mangiare-. Si sedettero e quando il Grullo tirò fuori la sua focaccia, trovò una bella frittata, e la birra acida era del buon vino. Mangiarono e bevvero, poi l'omino disse: -Poiché‚ hai buon cuore e dividi volentieri con altri ciò che è tuo, voglio renderti fortunato. Là c'è un vecchio albero; abbattilo e troverai qualcosa nelle radici-. Ciò detto si congedò da lui. Il Grullo andò ad abbattere l'albero, e quand'esso cadde trovò nelle radici un'oca dalle piume d'oro puro. La tirò fuori, la prese con s‚ e andò a pernottare in una locanda. Ma l'oste aveva tre figlie che, vedendo l'oca, erano curiose di sapere di che strano uccello si trattasse, e avrebbero preso volentieri una delle sue piume d'oro. La maggiore pensò: "Devo assolutamente avere una piuma!." Aspettò che il Grullo fosse uscito e afferrò l'oca per l'ala, ma le dita vi rimasero appiccicate. Poco dopo arrivò la seconda, e non aveva altro pensiero che prendersi anche lei una piuma; si avvicinò, ma non appena ebbe sfiorato la sorella, vi rimase attaccata. Infine venne anche la terza a reclamare una piuma; allora le altre gridarono: -Sta' lontana, per l'amor di Dio, sta' lontana!-. Ma ella non capiva il perché‚ e pensò: "Se ci sono loro posso esserci anch'io." Si avvicinò di corsa, ma non appena ebbe sfiorato sua sorella, le rimase attaccata. Così dovettero trascorrere la notte con l'oca. Il mattino dopo il Grullo prese in braccio l'oca, e se ne andò senza curarsi affatto delle tre fanciulle. Esse erano costrette a corrergli sempre dietro, a destra e a sinistra, dove lo portavano le gambe. Il mezzo ai campi incontrarono il parroco che, vedendo quella processione, disse: -Vergognatevi razza di scostumate. Vi pare decente correre per i campi dietro a quel ragazzo?-. Ciò detto afferrò la più giovane per la mano perché‚ si fermasse ma, non appena l'ebbe sfiorata, rimase attaccato anche lui e dovette correre dietro a loro. Poco dopo giunse il sagrestano e vide il parroco che stava tallonando tre ragazze. Meravigliato, gridò: -Ehi, signor parroco, dove andate così in fretta? Oggi abbiamo ancora un battesimo!-. Lo rincorse, lo afferrò per la manica e rimase attaccato anche lui. Mentre i cinque trottavano così uno dietro l'altro, dal campo giunsero due contadini con le loro zappe e il parroco li chiamò, pregandoli di venire a liberarli. Ma avevano appena sfiorato il sagrestano che rimasero attaccati anche loro; così adesso erano in sette a correr dietro al Grullo con l'oca. Poi egli giunse in una città dove regnava un re che aveva una figlia tanto seria che nessuno riusciva a farla ridere. Perciò egli aveva stabilito che l'avrebbe avuta in isposa solo colui che vi fosse riuscito. Il Grullo, quando lo seppe, si presentò con l'oca e tutto il seguito alla principessa; e quand'ella vide i sette che correvano l'uno dietro l'altro, incominciò a ridere forte, e non la smetteva più. Allora il Grullo pretese che gliela si desse in moglie, ma il re fece un mucchio di obiezioni e disse che prima doveva portargli un uomo che fosse in grado di bere tutto il vino di una cantina. Il Grullo pensò che l'omino grigio avrebbe potuto aiutarlo; andò nel bosco e là dove aveva abbattuto l'albero vide un uomo seduto con la faccia tutta triste. Il Grullo domandò che cosa lo addolorasse tanto. -Ah!- rispose quello -ho tanta sete e non ho da bere a sufficienza; ho sì vuotato una botte di vino, ma cos'è una goccia su di una pietra bollente?- -Posso aiutarti io- disse il Grullo -vieni con me, ti disseterai.- Lo condusse nella cantina del re e l'uomo si gettò su quelle grosse botti, e bevve, bevve tanto che gli dolevano i fianchi; prima che fosse trascorsa la giornata aveva vuotato la cantina. Il Grullo chiese nuovamente la fanciulla in isposa, ma il re si seccò che un volgare ragazzotto, che tutti chiamavano il Grullo, gli portasse via la figlia, e pose altre condizioni: doveva portargli un uomo che fosse in grado di mangiare una montagna di pane. Il Grullo si recò nuovamente nel bosco e dove si trovava l'albero trovò un uomo che si stringeva la vita con una cinghia e diceva, con viso burbero: -Ho mangiato un'intera infornata di panini, ma non può certo bastare con la fame che mi ritrovo! Mi sento lo stomaco vuoto, e non mi resta che stringermi la vita se non voglio morire di fame-. Udendo queste parole, il Grullo disse, tutto contento: -Alzati e vieni con me, ti sazierai-. Lo condusse a corte dove il re aveva ordinato di raccogliere tutta la farina del regno e di cuocere un'enorme montagna di pane. Ma l'uomo del bosco vi si mise davanti, incominciò a mangiare e in un giorno e una notte l'intera montagna era sparita. Il Grullo chiese nuovamente la sposa, ma il re cercò un'altra scusa e gli disse di procurargli una nave che andasse per mare e per terra; se fosse riuscito in quest'impresa avrebbe avuto subito la fanciulla in isposa. Il Grullo andò ancora una volta nel bosco e ci trovò il vecchio omino grigio al quale aveva dato la sua focaccia e che gli disse: -Ho bevuto e mangiato per te, e ora ti darò anche la nave. Faccio tutto questo perché‚ sei stato pietoso con me-. Gli diede la nave che andava per mare e per terra; e, quando il re la vide, dovette accordargli la figlia. Furono celebrate le nozze, il Grullo ereditò poi il regno e visse a lungo felice con la sua sposa.Questo episodio è offerto da Podbean.com.

Tuesday Aug 13, 2024
Tuesday Aug 13, 2024
C'era una volta un re che aveva tre figli: due erano intelligenti e avveduti, mentre il terzo parlava poco, era semplice, e lo chiamavano il Grullo. Quando il re diventò vecchio e pensò alla sua fine, non sapeva quale dei figli dovesse ereditare il regno dopo la sua morte. Allora disse loro: "Andate, colui che mi porterà il tappeto più sottile diventerà re dopo la mia morte." E perché‚ non litigassero fra di loro, li condusse davanti al castello, soffiando fece volare in aria tre piume e disse: "Dovete seguire il loro volo." Una piuma volò verso oriente, l'altra verso occidente, mentre la terza se ne volò diritto e non arrivò molto lontano, ma cadde a terra ben presto. Così un fratello andò a destra, l'altro se ne andò a sinistra; il Grullo invece fu deriso perché‚ dovette fermarsi là dov'era caduta la terza piuma.
Il Grullo si mise a sedere tutto triste. D'un tratto scorse una botola accanto alla piuma. L'aprì e discese una scala venendosi a trovare davanti a un'altra porta; bussò e sentì gridare dall'interno:
"Oh, Donzelletta verde e piccinaDalla zampa secca,Sparuta cagnolina,Ehi proprio tu, stammi a sentire,Chi c'è là fuori mi devi dire!"
La porta si aprì ed egli vide un rospo grande e grosso, con tanti piccoli rospetti attorno. Il rospo grande gli domandò che cosa egli desiderasse. Rispose: "Un tappeto che sia il più bello e il più sottile di tutti." Allora il rospo chiamò uno dei suoi rospetti e disse:
"Oh, Donzellettaverde e piccinaDalla zampa secca,Sparuta cagnolina,Ehi proprio tu, stammi ad ascoltare,Proprio la scatola mi devi portare!"
La bestiola andò a prendere la scatola e il rospo grande l'aprì e diede al Grullo un tappeto, bello e sottile come nessun altro sulla terra. Il Grullo ringraziò e se ne tornò a casa.
Gli altri due fratelli credevano che il minore fosse tanto sciocco che non sarebbe stato in grado di trovare nulla. "Perché‚ darsi la pena di cercare tanto!" dissero; tolsero alla prima pecoraia che incontrarono le rozze vesti e le portarono al re. In quella arrivò anche il Grullo con il suo bel tappeto, e quando il re lo vide si meravigliò e disse: "Il regno spetta al più giovane." Ma gli altri due non gli diedero pace, dicendo che era impossibile che il Grullo diventasse re; e lo pregarono di porre un'altra condizione. Allora il padre disse: "Erediterà il regno colui che mi porterà l'anello più bello." Condusse fuori i tre fratelli e soffiò in aria le piume che essi dovevano seguire. I due maggiori se ne andarono di nuovo verso oriente e verso occidente, mentre la piuma del Grullo volò dritta e cadde accanto alla botola. Egli scese di nuovo dal grosso rospo e gli disse che aveva bisogno dell'anello più bello del mondo. Il rospo si fece portare la scatola e gli diede un anello bellissimo, quale nessun orefice sulla terra avrebbe mai saputo fare. I due fratelli maggiori si fecero beffe del Grullo che andava in cerca di un anello d'oro, e non si diedero molta pena: schiodarono un anello da un vecchio timone e lo portarono al re. Ma quando questi vide lo splendido anello che aveva portato il Grullo, disse: "Il regno spetta a lui." Ma i due maggiori tormentarono tanto il re finché egli pose una terza condizione e stabilì che avrebbe ottenuto il regno chi avesse portato a casa la donna più bella. Tornò a soffiare in aria le tre piume, che volarono come le altre volte.
Allora il Grullo si recò per la terza volta dal rospo e disse: "Devo portare a casa la donna più bella." - "Accidenti!" rispose l'animale, "la donna più bella! Sarai tu ad averla." Gli diede una zucca cui erano attaccati sei topolini. "Che me ne faccio," pensò il Grullo tutto triste. Ma il rospo disse: "Adesso mettici dentro uno dei miei rospetti." Egli ne prese uno a caso e lo mise nella zucca; ma non appena l'ebbe sfiorato, il rospo si tramutò in una bellissima fanciulla, la zucca divenne una carrozza e i sei topolini, sei cavalli. Salirono in carrozza, e il giovane baciò la fanciulla e la portò al re. Giunsero anche i fratelli, che avevano sottovalutato a tal punto il fratello da condurre con s‚ le prime contadine che avevano incontrato. Allora il re disse: "Dopo la mia morte il regno toccherà al minore." Ma i due maggiori ricominciarono di nuovo a protestare dicendo di non poter ammettere che il Grullo diventasse re, e pretesero che avesse la preferenza quello la cui moglie era in grado di saltare attraverso un cerchio appeso in mezzo alla sala. Essi infatti pensavano: "Le contadine sono forti e ci riusciranno, la delicata fanciulla invece si ammazzerà saltando." Il re accordò anche questa prova. Le due contadine saltarono e riuscirono sì ad attraversare il cerchio, ma erano così sgraziate che caddero a terra spezzandosi braccia e gambe. Poi saltò la bella fanciulla che il Grullo aveva portato con s'; saltò attraverso l'anello con agilità estrema e conquistò il regno. Alla morte del re, il Grullo ereditò così la corona e regnò a lungo con grande saggezza.Questo episodio è offerto da Podbean.com.

Tuesday Aug 13, 2024
Tuesday Aug 13, 2024
Due principi se ne andarono in cerca di avventure e finirono col menare una vita viziosa e dissoluta, sicché‚ non fecero più ritorno a casa. Il più giovane, che era chiamato il Grullo, se ne andò alla ricerca dei fratelli, ma quando li trovò essi lo presero in giro perché‚ egli, con la sua dabbenaggine, voleva farsi strada nel mondo, mentre loro non ci erano riusciti pur essendo molto più avveduti. Si misero in cammino tutti e tre insieme e giunsero a un formicaio. I due maggiori volevano buttarlo all'aria, per vedere le formichine andare qua e là impaurite, e portare via le uova. Ma il Grullo disse: -Lasciatele in pace quelle bestie, non sopporto che le disturbiate-. Proseguirono e giunsero a un lago dove nuotavano tante tante anatre. I due fratelli volevano catturarne un paio per farle arrostire, ma il Grullo ripeté‚: -Lasciatele in pace quelle bestie, non tollero che le uccidiate-. Infine giunsero a un alveare, dove c'era tanto miele che colava sul tronco. I due volevano appiccare il fuoco all'albero per soffocare le api e prendere il miele. Ma il Grullo tornò a tenerli lontani dicendo: -Lasciate in pace quelle bestie, non tollero che le bruciate-. I tre fratelli arrivarono a un castello: nelle scuderie c'erano soltanto dei cavalli di pietra e non si vedeva anima viva. Attraversarono tutte le sale, finché‚ giunsero a una porta con tre serrature; ma in mezzo alla porta c'era uno spioncino attraverso il quale si poteva vedere nella stanza. Videro un omino grigio seduto a un tavolo. Lo chiamarono una, due volte, ma egli non sentì. Infine lo chiamarono per la terza volta, allora si alzò e uscì dalla stanza. Senza dire neanche una parola li condusse a una tavola riccamente imbandita e, quand'ebbero mangiato e bevuto, diede a ciascuno di loro una camera da letto. Il mattino dopo l'omino andò dal maggiore, gli fece un cenno con il capo e lo portò a una lapide, sulla quale erano scritte le tre imprese che si dovevano compiere per liberare il castello. La prima consisteva in questo: nel bosco, sotto il muschio, bisognava cercare le mille perle della principessa; ma se al tramonto ne mancava una sola, colui che le aveva cercate diventava di pietra. Il maggiore andò e cercò per tutto il giorno ma, al tramonto, ne aveva trovate soltanto cento; così accadde ciò che diceva la lapide ed egli fu tramutato in pietra. Il giorno seguente fu il secondo fratello a tentare l'avventura; ma non fu più fortunato del primo, trovò infatti solo duecento perle e anch'egli impietrì. Infine fu la volta del Grullo; si mise a cercare fra il muschio, ma era così difficile trovare le perle e ci voleva tanto di quel tempo! Allora sedette su di una pietra e si mise a piangere. Mentre se ne stava là arrivò il re delle formiche, al quale una volta egli aveva salvato la vita. Lo accompagnavano cinquemila formiche, e non trascorse molto tempo che le bestioline avevano trovato tutte le perle, riunendole in un mucchio. Il secondo compito consisteva nel ripescare dal lago la chiave che apriva la camera da letto della principessa Quando il Grullo arrivò al lago, le anatre che egli aveva salvato accorsero a nuoto, si tuffarono e ripescarono la chiave dal fondo. Ma la terza impresa era la più difficile: delle tre principesse addormentate bisognava scegliere la più giovane e la più amabile. Esse erano perfettamente uguali, e nulla le distingueva se non che la maggiore aveva mangiato un pezzo di zucchero, la seconda un po' di sciroppo e la più giovane un cucchiaio di miele. Egli doveva riconoscere dal respiro colei che aveva mangiato il miele. Ma in quella giunse la regina delle api che il Grullo aveva protetto dal fuoco; assaggiò la bocca di tutt'e tre e infine si fermò su quella che aveva mangiato miele, così il principe riconobbe quella giusta. Allora l'incanto svanì, ogni cosa fu liberata dal sonno e chi era di pietra riacquistò la forma umana. Il Grullo sposò la più giovane e la più amabile delle principesse e divenne re dopo la morte del padre di lei. I fratelli invece sposarono le altre due fanciulle.Questo episodio è offerto da Podbean.com.