Fiabe dei Grimm
Le Fiabe dei Fratelli Grimm, originariamente compilate da Jacob e Wilhelm Grimm, sono una raccolta di racconti popolari senza tempo che incantano i lettori da secoli. Questi racconti sono un tesoro di folklore, con storie di coraggio, magia e moralità che risuonano attraverso le generazioni. Dai classici come ”Cenerentola”, ”Biancaneve” e ”Hansel e Gretel”, a gemme meno conosciute come ”Il Pescatore e sua Moglie” e ”Rumpelstiltskin”, ogni storia offre uno sguardo sulla ricca tessitura della tradizione orale europea. Le Fiabe dei Grimm sono caratterizzate dai loro personaggi vivaci, lezioni morali e spesso toni oscuri, riflettendo le dure realtà e gli elementi fantastici dei loro contesti storici. Il loro fascino duraturo risiede nella loro capacità di intrattenere, insegnare e ispirare meraviglia, facendole diventare una pietra miliare della letteratura per bambini e una fonte di fascinazione per studiosi di folklore e narrazione.
Episodes

Tuesday Aug 13, 2024
Tuesday Aug 13, 2024
C'era una volta un principe che non voleva più stare a casa di suo padre; e poiché‚ non aveva paura di nulla, pensò: "Me ne andrò per il mondo in modo da non annoiarmi, e vedrò ogni sorta di cose." Così prese congedo dai suoi genitori e se ne andò, camminando da mane a sera, senza badare dove lo portasse la strada. Gli accadde di arrivare alla casa di un gigante e, poiché‚ era stanco, si sedette davanti alla porta a riposare. E, mentre il suo sguardo vagava qua e là, vide per terra, nel cortile del gigante, dei giochi: qualche palla enorme e dei grossi birilli. Dopo un po', gli venne voglia di giocare, raddrizzò i birilli e si mise a tirare le palle; quando i birilli cadevano, gridava, strillava e si divertiva. Il gigante udì il rumore, si affacciò alla finestra e scorse un uomo non più alto degli altri, che tuttavia giocava con i suoi birilli. Allora gli gridò: -Vermiciattolo, chi ti ha dato la forza per giocare con i miei birilli?-. Il principe alzò gli occhi, vide il gigante e disse: -Babbeo, credi forse di essere l'unico a possedere delle braccia robuste? Io so far tutto quel che mi piace!-. Il gigante scese, lo guardò tutto meravigliato e disse: -Uomo, se sei di tal fatta, va' a prendermi una mela dell'albero della vita-. -Che cosa vuoi farne?- domandò il principe -Non è per me- rispose il gigante -è la mia fidanzata che la vuole; ho già girato dappertutto, ma non riesco a trovare l'albero.- -Mi basterà mettermi in cammino- rispose il principe -e sicuramente troverò l'albero; e mi parrebbe proprio strano se non riuscissi a cogliere la mela!- Il gigante disse: -Non è così facile come credi. Il giardino in cui si trova la pianta è circondato da una cancellata di ferro e davanti a essa vi sono, accovacciate l'una accanto all'altra, delle bestie feroci, che fanno la guardia e non lasciano entrare nessuno-. -Vedrai se non mi lasceranno entrare!- disse il principe. -Ma se anche arrivi nel giardino e vedi la mela sull'albero, non è ancora tua: davanti c'è un anello e bisogna infilarci la mano, se si vuole raggiungere e cogliere la mela, e questo non è ancora riuscito a nessuno.- -Oh, è riservato a me- disse il principe -io ci riuscirò!- Prese congedo dal gigante e se ne andò per monti e valli, per campi e boschi, finché‚ trovò il giardino incantato. Le belve erano accovacciate all'intorno, ma stavano a testa bassa e dormivano. Al suo arrivo non si svegliarono, ed egli le scavalcò, salì sulla cancellata e giunse felicemente nel giardino. In mezzo vi scorse l'albero della vita con le mele rosse che luccicavano fra i rami. Il principe si arrampicò sul tronco, e mentre stava per cogliere una mela vide un anello pendere davanti al frutto, ma pot‚ introdurvi la mano senza fatica, e staccare la mela. L'anello però si strinse al suo braccio, ed egli sentì una gran forza pervaderlo all'improvviso, tanto che pensò di poter dominare ogni cosa; in realtà questa forza gliela dava l'anello. Quando ridiscese dall'albero, non volle arrampicarsi sulla cancellata, ma afferrò il gran portone, lo scrollò e quello si spalancò con uno schianto. Egli uscì, e il leone, che era disteso là davanti, si svegliò e lo seguì di corsa, non feroce e selvaggio, ma con umiltà, come se il principe fosse il suo signore, e non lo abbandonò più. Il principe portò al gigante la mela che gli aveva promesso. -Vedi- disse -l'ho colta senza fatica.- Il gigante si rallegrò di avere ottenuto così in fretta ciò che aveva tanto desiderato, corse dalla sua fidanzata e le diede la mela. Ella era una fanciulla bella e accorta e, non vedendo l'anello al suo braccio, disse: -Non credo che tu abbia colto la mela, se prima non vedo l'anello al tuo braccio-. -Oh- disse il gigante -non ho che da andare a prenderlo a casa.- E pensava di portarlo via con la forza a quell'omino debole, se non voleva darglielo spontaneamente. Tornò a casa e pretese che il principe gli desse l'anello, ma quello non voleva. -Dov'è la mela, deve esserci anche l'anello- disse il gigante. -Se non me lo dai, dovrai lottare con me!- Lottarono a lungo, ma il gigante non pot‚ nuocere al principe, divenuto fortissimo grazie alla virtù magica dell'anello. Allora il gigante escogitò un'astuzia e gli disse: -La lotta ci ha fatto venire caldo: bagnamoci nel fiume e rinfreschiamoci, prima di ricominciare-. Il principe, che non conosceva la slealtà, andò con lui al fiume, si tolse i vestiti, e anche l'anello dal braccio, e si tuffò nell'acqua. Subito il gigante afferrò l'anello e corse via; ma il leone, che seguiva sempre il suo padrone, si accorse del furto, l'inseguì e glielo strappò. Allora il gigante andò su tutte le furie, tornò al fiume e, mentre il principe era occupato a rivestirsi, lo agguantò e gli cavò gli occhi. Il povero principe adesso era cieco e non sapeva che fare. Il gigante gli si avvicinò di nuovo con intenzioni cattive. In silenzio, prese il cieco per mano, come qualcuno che volesse guidarlo, e lo condusse in cima a un'alta rupe. Poi lo abbandonò e pensò: "Se fa ancora due passi, si uccide cadendo, e io posso prendergli l'anello." Ma il fedele leone non aveva abbandonato il suo padrone; lo trattenne per il vestito e, a poco a poco, lo fece tornare indietro. Quando il gigante tornò per derubare il morto, lo trovò vivo e vegeto. -Possibile che non si riesca a mandare in malora un essere umano così misero!- disse furioso fra s‚ e s‚; prese nuovamente il principe per mano, e lo ricondusse all'abisso per un'altra via. Ma il leone si accorse del proposito malvagio e, fedelmente, salvò il suo padrone anche da quel pericolo. Quando giunsero sull'orlo del precipizio, il gigante abbandonò la mano del cieco per lasciarlo solo; allora il leone gli si scagliò addosso con tutta la sua forza, sicché‚ il mostro precipitò nell'abisso e si sfracellò. Poi l'animale allontanò di nuovo il suo padrone da quel luogo, e lo condusse a un albero, vicino al quale scorreva un limpido ruscello. Il principe si mise a sedere, mentre il leone si distese e gli spruzzò l'acqua in viso. Qualche goccia si posò sui suoi occhi e li bagnò, e il principe si accorse che la vista gli tornava, poiché‚ aveva scorto una luce e poteva distinguere qualcosa accanto a s‚. Era un uccellino che passò accanto al suo viso e urtò contro il tronco dell'albero, proprio come se fosse cieco. Allora si lasciò cadere nell'acqua, vi si bagnò, poi si alzò in volo e volò sicuro rasente agli alberi, proprio come se avesse riacquistato la vista. Il principe comprese che si trattava di un segno divino, si chinò sull'acqua e vi bagnò il volto. E quando si drizzò, aveva di nuovo i suoi occhi, chiari e limpidi come non erano mai stati. Il principe ringraziò Dio per quel miracolo e continuò a girare il mondo con il suo leone. Un giorno giunse davanti a un castello incantato. Sulla porta c'era una fanciulla di bella persona e di viso leggiadro, ma tutta nera. Gli rivolse la parola e disse: -Ah, se tu potessi liberarmi dal maleficio che qui mi tiene in suo potere!-. -Che cosa devo fare per liberarti?- domandò il principe. La fanciulla rispose: -Devi passare tre notti nel salone del castello incantato, senza che nel tuo cuore entri la paura. Se sopporterai senza un lamento le torture che ti faranno, sarò libera; non potranno comunque toglierti la vita-. Disse il principe: -Tenterò con l'aiuto di Dio: non temo nulla a questo mondo-. Così entrò allegramente nel castello, si sedette nel salone e attese che si facesse notte. Tutto tacque fino a mezzanotte, poi scoppiò un gran baccano e da tutti gli angoli sbucarono dei piccoli diavoli. Fecero finta di non vederlo, sedettero in mezzo alla stanza, accesero un fuoco e si misero a giocare. Quando uno perdeva diceva: -Non è giusto: c'è qui qualcuno che non è dei nostri, e la colpa è sua se perdo!-. -Aspetta, che vengo, tu, là dietro la stufa!- diceva un altro. Le urla erano sempre più forti, e nessuno avrebbe potuto ascoltarle senza aver paura. Il principe tuttavia non ne ebbe affatto. Alla fine i diavoli saltarono in piedi e gli si scagliarono addosso; ed erano tanti che egli non pot‚ difendersi.Lo trascinarono a terra, lo pizzicarono, lo punzecchiarono, lo picchiarono e lo torturarono, ma egli sopportò tutto senza avere paura e senza un lamento. Verso mattina sparirono, ed egli era così spossato da non potersi muovere. Ma allo spuntar del giorno venne da lui la fanciulla nera. Teneva in mano una bottiglietta in cui era l'acqua della vita; lo lavò con quell'acqua, e subito ogni dolore sparì, ed egli si sentì fresco e sano. Ella gli disse: -Hai superato felicemente una notte, ma ne hai ancora due davanti a te-. Poi se ne andò, e mentre si allontanava, egli notò che i suoi piedi erano diventati bianchi. La notte seguente tornarono i diavoli, e ricominciarono il loro gioco; ma ben presto si scagliarono sul principe e lo picchiarono con violenza, molto più crudelmente della prima notte, sicché‚ il suo corpo era pieno di ferite. Ma poiché‚ egli sopportò tutto in silenzio, dovettero lasciarlo; e quando spuntò l'aurora, comparve nuovamente la fanciulla che lo risanò con l'acqua della vita. Quand'ella se ne andò, egli vide con gioia che era diventata tutta bianca, meno la punta delle dita. Ora egli doveva superare solamente una notte, ma era la peggiore. I diavoli tornarono. -Sei ancora qui?- gridarono. -Ti tortureremo da mozzarti il fiato.- Lo punsero e lo picchiarono, lo gettarono di qua e di là e gli tirarono braccia e gambe, come se volessero squartarlo. Ma egli non diede un lamento e non ebbe paura, e si consolava pensando che tutto ciò sarebbe passato e che la fanciulla sarebbe stata liberata dal maleficio. Ma quando i diavoli sparirono, egli giaceva immobile e privo di sensi; non pot‚ neanche alzare gli occhi per vedere la fanciulla che entrava e lo bagnava con l'acqua della vita. E d'un tratto scomparve ogni dolore, ed egli si sentì fresco e sano come se si fosse appena svegliato dal sonno. E quando aprì gli occhi, vide accanto a s‚ la fanciulla, bianca come la neve e bella come il sole. -Alzati!- diss'ella -e brandisci per tre volte la tua spada sulla scala, così tutto sarà libero.- E quand'egli l'ebbe fatto, tutto il castello fu sciolto dall'incantesimo e la fanciulla era una ricca principessa. Entrarono i servi e dissero che nel salone la tavola era preparata e il pranzo già servito. Si sedettero, mangiarono e bevvero insieme, e la sera furono celebrate le nozze in grande esultanza.Questo episodio è offerto da Podbean.com.

Tuesday Aug 13, 2024
Tuesday Aug 13, 2024
C'erano una volta tre garzoni che avevano deciso di viaggiare insieme e di lavorare sempre nella stessa città. Ma, dopo un po' di tempo, il lavoro cessò, sicché‚ essi si ridussero in miseria e non avevano di che vivere. Allora uno disse: -Cosa dobbiamo fare? Non possiamo più rimanere insieme; la prossima sarà l'ultima città nella quale ci recheremo: se anche lì non avremo lavoro ci accorderemo con l'albergatore e ognuno di noi gli scriverà dov'è andato, sicché‚ si possa avere notizie l'uno dell'altro; poi ci separeremo-. A tutti questa parve la miglior soluzione. Mentre stavano parlando, venne loro incontro un uomo sontuosamente vestito e domandò chi fossero. -Siamo garzoni e cerchiamo lavoro; per ora siamo rimasti insieme, ma se lavoro non ne troviamo più, ci separeremo.- -Non temete- disse l'uomo -se farete quello che vi dico, non vi mancherà n‚ denaro n‚ lavoro; diventerete gran signori e andrete in carrozza.- Uno disse: -Lo faremo se ciò non comprometterà l'anima nostra e la salvezza eterna-. -No- rispose l'uomo -con voi io non c'entro.- Ma l'altro gli aveva guardato i piedi e, scorgendo un piede di cavallo e un piede umano, non voleva avere a che fare con lui. Il diavolo però disse: -State tranquilli, non si tratta di voi, ma dell'anima di un altro, che è già mia per metà; ora bisogna solo completare l'opera-. Essi si tranquillizzarono e acconsentirono, e il diavolo disse loro quel che voleva: il primo doveva rispondere a ogni domanda: -Tutti e tre insieme-; il secondo: -Per denaro-; il terzo: -Ed era giusto-. Dovevano sempre parlare uno dopo l'altro, ma senza dire una parola di più; se non avessero ubbidito. tutto il denaro sarebbe subito sparito; se ubbidivano, invece, avrebbero avuto le tasche sempre piene. Per cominciare, diede subito loro tanto denaro quanto potevano portarne, e ordinò che andassero in città, in una locanda così e così. Entrarono e l'oste andò loro incontro e chiese: -Volete mangiare qualcosa?-. Il primo rispose: -Tutti e tre insieme-. -Sì- disse l'oste -lo credo bene.- Il secondo: -Per denaro- -Si capisce!- disse l'oste. Il terzo: -Ed era giusto-. -Certo che era giusto!- disse l'oste. Mangiarono e bevvero molto bene e furono serviti con cura. Dopo pranzo venne il momento di pagare, e l'oste porse il conto al primo, che disse: -Tutti e tre insieme-. E il secondo: -Per denaro-. E il terzo: -Ed era giusto-. -Certo che è giusto- disse l'oste. -Tutti e tre dovete pagare, gratis non posso dare nulla.- Ma essi gli diedero più di quello che aveva chiesto. Gli altri clienti guardavano e dicevano: -Devono essere pazzi-. -Sì, lo sono- disse l'oste -non hanno tutti i venerdì.- I tre garzoni rimasero nella locanda per qualche tempo e non dicevano altro che -Tutti e tre insieme-, -per denaro-, -ed era giusto-. Ma vedevano e sapevano tutto quello che succedeva là dentro. Un giorno giunse un ricco mercante, carico di denaro, e disse: -Signor oste, prenda in consegna il mio denaro: quei tre matti potrebbero rubarmelo-. L'oste ubbidì; e mentre portava la valigia in camera sua, sentì che era piena d'oro. Poi diede ai tre garzoni giaciglio a pianterreno, mentre il mercante andò di sopra in una camera separata. Quando fu mezzanotte, e l'oste pensava che tutti dormissero, entrò con sua moglie; avevano un'ascia e ammazzarono il ricco mercante; e dopo aver compiuto l'assassinio, tornarono a coricarsi. Quando si fece giorno, ci fu un gran baccano: il mercante giaceva morto nel letto, in una pozza di sangue. I clienti accorsero tutti insieme, ma l'oste disse: -Sono stati i tre garzoni pazzi-. I clienti confermarono e dissero: -Non può esser stato nessun altro-. L'oste li fece chiamare e chiese loro: -Avete ucciso voi il mercante?-. -Tutti e tre insieme- disse il primo; e il secondo: -Per denaro-. E il terzo: -Ed era giusto-. -Sentite?- esclamò l'oste -lo confessano loro stessi.- Così furono condotti in prigione per essere giudicati. Vedendo che le cose si mettevano male, si spaventarono; ma durante la notte venne il diavolo e disse: -Resistete ancora un giorno e non lasciatevi sfuggire la fortuna; non vi torceranno un capello-. Il mattino seguente comparvero a giudizio, e il giudice disse: -Siete voi gli assassini?-. -Tutti e tre insieme.- -Perché‚ avete ucciso il mercante?- -Per denaro.- -Sciagurati!- disse il giudice -non avete avuto paura del peccato?- -Ed era giusto.- -Hanno confessato e si intestardiscono ancora!- disse il giudice. -Conduceteli subito al patibolo.- Così furono condotti fuori e l'oste dovette fare cerchio con l'altra gente. Quando gli aiutanti del boia li presero e li condussero sul palco dove si trovava il carnefice con la spada sguainata, arrivò all'improvviso una carrozza trainata da quattro cavalli rosso sangue: correva così velocemente che i sassi sprizzavano fuoco, mentre dal finestrino qualcuno agitava un panno bianco. Il carnefice disse: -Arriva la grazia-. E dalla carrozza gridarono: -Grazia! grazia!-. Ne scese il diavolo con l'aspetto di un gran signore, vestito sontuosamente e disse: -Voi tre siete innocenti, adesso potete parlare: dite quello che avete visto e sentito-. Allora il più vecchio disse: -Noi non abbiamo ucciso il mercante; l'assassino è là tra la gente-. E indicò l'oste. -Se volete una prova, andate nella sua cantina: là sono appesi molti altri, assassinati da lui.- Allora il giudice mandò gli aiutanti del boia, e le cose stavano proprio come aveva detto il garzone. Quando lo riferirono al giudice, questi ordinò che l'oste fosse condotto sul palco e gli fosse mozzata la testa. Allora il diavolo disse ai tre: "Io ho l'anima che volevo, voi invece siete liberi e avete denaro per tutta la vita."Questo episodio è offerto da Podbean.com.

Tuesday Aug 13, 2024
Tuesday Aug 13, 2024
C'erano una volta sette svevi: il primo era il signor Schulz, il secondo Jackli, il terzo Marli, il quarto Jergli, il quinto Michal, il sesto Hans, il settimo Veitli; e tutti e sette intendevano girare il mondo in cerca di avventure e di grandi imprese. Ma per andare sicuri e ben armati, pensarono bene di farsi fare uno spiedo, uno solo ma ben forte e lungo. Lo impugnarono tutti e sette insieme: davanti camminava il più audace e il più forte, e questi doveva essere il signor Schulz, poi venivano gli altri in fila, e l'ultimo era Veitli. Un giorno di luglio avevano fatto molta strada, e ne avevano ancora tanta da percorrere per arrivare al villaggio dove volevano passare la notte, quando su di un prato, all'ora del tramonto, uno scarabeo gigante o un calabrone passò in volo dietro un cespuglio, non lontano da loro, e ronzò minacciosamente. Il signor Schulz si spaventò tanto che per poco non lasciò cadere lo spiedo e, per la paura, il sudore gli corse per tutto il corpo. -Ascoltate! Ascoltate!- gridò ai suoi compagni. -Dio mio, sento un tamburo!- Jackli, che teneva lo spiedo dietro di lui, e che fiutò non so quale odore, disse: -Sta succedendo senza dubbio qualcosa, perché‚ sento odore di polvere di miccia!-. A queste parole il signor Schulz prese la fuga e in men che non si dica saltò una siepe; ma siccome cadde proprio sui denti di un rastrello rimasto lì dopo la fienagione, il manico lo colpì in faccia e gli diede una bella botta. -Povero me! Povero me!- gridò il signor Schulz. -Prendimi prigioniero! Mi arrendo! Mi arrendo!- Gli altri sei si avvicinarono saltellando e gridarono uno dopo l'altro: -Se ti arrendi tu, mi arrendo anch'io! Se ti arrendi tu, mi arrendo anch'io!-. Infine, poiché‚ non c'era nessun nemico che volesse legarli e portarli via, si accorsero di aver preso un abbaglio; e perché‚ la storia non si diffondesse, e per non essere dileggiati e scherniti dalla gente, giurarono di tenere la bocca chiusa, finché‚ uno di loro non l'avesse aperta. Poi proseguirono il loro cammino. Ma il secondo pericolo che incontrarono non si può paragonare al primo.Qualche giorno dopo, la strada li condusse attraverso un campo incolto; là c'era una lepre che dormiva al sole, con le orecchie dritte e i grandi occhi vitrei sbarrati. Alla vista di quella belva terribile si spaventarono tutti e tennero consiglio su quale fosse la soluzione meno pericolosa. Infatti se fuggivano c'era da temere che il mostro li avrebbe rincorsi e ingoiati in un boccone. Così dissero: -Dobbiamo sostenere una grande e pericolosa battaglia, la fortuna aiuta gli audaci!-. Impugnarono tutti e sette lo spiedo, il signor Schulz davanti e Veitli per ultimo. Il signor Schulz voleva tenere fermo lo spiedo, ma Veitli, in coda, si era fatto ardito, volle attaccare e gridò:-Animo Svevi, combatter dovete oppure zoppi qui resterete!-Ma Hans seppe pungerlo sul vivo e disse:-Ah! Diamine! Hai proprio un bel dire, tu, che sei sempre l'ultimo ad agire!-Michal gridò:-Certo nessun dubbio c'è! E' proprio il demonio davanti a te!-Poi toccò a Jergli, che disse:-Se lui non è, fratellastro o madre sarebbe, su ciò nessun dubbio sussisterebbe!-Marli ebbe una bella idea e disse a Veitli:-Coraggio Veitli, guidaci tu! Io dietro a tutti resto quaggiù.-Ma Veitli non gli diede retta e Jackli disse:-Schulz dovrà essere il condottiero, è un grande onore di cui va fiero!-Allora il signor Schulz si fece coraggio e disse solennemente:-Orsù con valore si vada a pugnare, ciascuno il coraggio or deve mostrare!-E tutti insieme si scagliarono sul drago. Il signor Schulz si fece il segno di croce e invocò Dio in suo aiuto; ma poiché‚ tutto questo non servì a nulla ed egli si avvicinava sempre di più al nemico, si mise a gridare, pieno di paura: -Auh! Auh! Auh! Auh!-. A quell'urlo la lepre si svegliò, si spaventò e corse via. Quando il signor Schulz la vide abbandonare il campo, gridò, pieno di gioia:-Del mostro, Veitli, raccontaci un po', di' come in lepre si trasformò.-La combriccola degli svevi andò in cerca di altre avventure e giunse sulle rive della Mosella, un fiume muscoso, calmo e profondo; non vi sono molti ponti che lo attraversano, e spesso bisogna farsi traghettare con una barca. Poiché‚ i sette svevi non lo sapevano, chiamarono un uomo che lavorava al di là del fiume e gli domandarono come si potesse passare dall'altra parte. A causa della distanza, e anche per via del loro dialetto, l'uomo non capì che cosa volessero e domandò nel suo trevirese: -"Wat? Wat?"- (Cosa? cosa?). Il signor Schulz capì: -"Wade, wade"- (Guada, guada); e, siccome era il primo, si avviò per entrare nella Mosella. Non tardò molto a sprofondare nella melma e le onde lo travolsero; ma il vento portò il suo cappello sull'altra riva, e una rana vi si fermò vicina e gracidò: -Cra, cra, cra-. Gli altri sei, dall'altra parte l'udirono e dissero: -Il nostro compagno, il signor Schulz, ci chiama; se lui ha potuto passare a guado, perché‚ non farlo anche noi?-. Allora tutti quanti, lesti, saltarono in acqua e affogarono, e fu così che una rana ne uccise sei, e della combriccola sveva nessuno fece ritorno.Questo episodio è offerto da Podbean.com.

Tuesday Aug 13, 2024
Tuesday Aug 13, 2024
Tre cerusici giravano il mondo, convinti di conoscere la loro arte alla perfezione, e giunsero in una locanda dove volevano pernottare. L'oste domandò da dove venissero e dove andassero. -Giriamo per il mondo esercitando la nostra arte.- -Fatemi un po' vedere quel che sapete fare- disse l'oste. Il primo disse che si sarebbe tagliato la mano e che il mattino dopo l'avrebbe riattaccata; il secondo disse che si sarebbe strappato il cuore e al mattino l'avrebbe rimesso al suo posto; il terzo disse che si sarebbe cavato gli occhi e che al mattino li avrebbe risanati. Ma essi avevano un unguento, e bastava spalmarlo sulle ferite perché‚ si rimarginassero; e portavano sempre con s‚ la fialetta che lo conteneva. Tagliarono dunque mano, cuore e occhi, come avevano detto, li misero su di un piatto e lo diedero all'oste; e l'oste lo diede a una ragazza perché‚ lo chiudesse nell'armadio, e lo serbasse con cura. Ma la ragazza se la intendeva di nascosto con un soldato. Quando l'oste, i tre cerusici e tutti quanti in casa si furono addormentati, il soldato venne e volle da mangiare. La fanciulla aprì l'armadio e gli prese qualcosa, e per la gran gioia dimenticò di chiudere la porta dell'armadio; si sedette a tavola accanto all'innamorato e chiacchierarono insieme. Mentre sedeva là tutta contenta, senza aspettarsi guai, entrò il gatto di soppiatto, trovò l'armadio aperto, prese la mano, il cuore e gli occhi dei tre cerusici e scappò via. Quando il soldato ebbe finito di mangiare e la ragazza volle sparecchiare e riporre le stoviglie nell'armadio, si accorse che il piatto datole dall'oste in custodia era scomparso. Spaventata, disse all'amante: -Ah, povera me, che farò mai?! La mano è sparita, e così pure il cuore e gli occhi! Che mai sarà di me domattina!-. -Sta' tranquilla- disse il soldato -ti aiuterò io. Dammi solo un coltello affilato: alla forca è appeso un ladro, gli taglierò la mano; sai che mano era?- -La destra.- La fanciulla gli diede un coltello affilato, ed egli andò, tagliò la mano a quel povero peccatore e gliela portò. Poi afferrò il gatto e gli cavò gli occhi; ora mancava soltanto il cuore. -Non avete forse macellato e conservato la carne del porco in cantina?- -Sì- rispose la fanciulla. -Benissimo- disse il soldato; scese in cantina, prese un cuore di porco e lo diede alla fanciulla. Ella mise tutto quanto nel piatto, lo ripose nell'armadio e, quando l'innamorato se ne andò, si mise a letto tranquilla. Al mattino, quando i tre cerusici si alzarono, dissero alla fanciulla che andasse a prendere il piatto in cui erano la mano, il cuore e gli occhi. Ella andò a prenderlo nell'armadio, e il primo si mise la mano del ladro, la spalmò con il suo unguento e la mano gli si attaccò subito. Il secondo si mise gli occhi del gatto, e il terzo il cuore di porco. L'oste se ne stava là ad ammirare la loro arte, e disse di non aver mai visto una cosa simile: ne avrebbe fatto grandi elogi e li avrebbe raccomandati a tutti. Poi essi pagarono il conto e proseguirono il cammino. Mentre camminavano, quello con il cuore di porco non restava con loro, ma correva in ogni angolo a grufolare come fanno i maiali. Gli altri volevano trattenerlo per le falde della giubba, ma non serviva a nulla: egli si liberava e correva là dove c'erano le peggiori immondizie. Anche il secondo si comportava in modo strano, si fregava gli occhi e diceva all'altro: -Camerata, che cosa mi succede? Questi non sono i miei occhi, non vedo niente; ho bisogno di qualcuno che mi guidi perché‚ non cada-. Così a fatica proseguirono il cammino fino a sera, quando giunsero a un'altra locanda. Vi entrarono insieme e in un angolo c'era un ricco signore seduto davanti a un tavolo, e contava dei denaro. Quello con la mano del ladro gli girò attorno, sussultò un paio di volte, e infine, quando il signore si voltò, cacciò la mano nel mucchio e prese una manciata di denaro. Uno dei due cerusici lo vide e disse: -Camerata, che fai? Non si deve rubare, vergognati!-. -Ah- diss'egli -non posso farci niente: è un sussulto che ho nella mano e che mi costringe a rubare, anche se non voglio.- Poi si coricarono per dormire, e quando furono distesi a letto era così buio che non ci si vedeva a un palmo dal naso. D'un tratto, quello con gli occhi da gatto si svegliò, destò gli altri e disse: -Fratelli, guardate un po': non vedete come corrono quei topolini bianchi laggiù?-. Gli altri due si levarono ma non riuscirono a vedere nulla. Allora egli disse: -Qui c'è qualcosa che non va: non abbiamo avuto ciò che ci apparteneva; dobbiamo tornare dall'oste che ci ha ingannati-. Così il mattino dopo tornarono alla locanda e dissero all'oste che non avevano riavuto la loro roba: uno aveva la mano da ladro, il secondo gli occhi di un gatto, e il terzo un cuore di porco. L'oste disse che la colpa era certamente della ragazza e voleva chiamarla; ma quella, avendo visto venire i tre cerusici, era fuggita dalla porticina sul retro e non tornò più. Allora i tre dissero all'oste di dare loro molto denaro, altrimenti avrebbero dato fuoco alla casa. Egli diede loro tutto quello che aveva e che riuscì a racimolare, e con quel denaro i tre se ne andarono via. Bastò loro per tutta la vita, ma avrebbero preferito avere la roba loro.Questo episodio è offerto da Podbean.com.

Tuesday Aug 13, 2024
Tuesday Aug 13, 2024
C'era una volta un bambino capriccioso che non faceva mai quello che voleva la mamma. Per questo il buon Dio ne era scontento e lo fece ammalare, tanto che nessun medico pot‚ salvarlo e presto egli giacque sul letto di morte. Quando fu adagiato nella fossa e coperto di terra, d'un tratto spuntò fuori il suo braccino e si tese in alto; lo misero dentro e tornarono a coprirlo di terra fresca, ma era inutile: il braccino continuava a tornare fuori. Allora la madre stessa dovette andare alla tomba, e batterlo sul braccino con una verga; quando l'ebbe fatto il braccino si ritrasse e il bimbo ebbe finalmente pace sotto terra.Questo episodio è offerto da Podbean.com.

Tuesday Aug 13, 2024
Tuesday Aug 13, 2024
C'era una volta un re che aveva un soldato al suo servizio, e quando questi invecchiò e non pot‚ più lavorare, lo mandò via senza dargli nulla. Il soldato non sapeva come campare; se ne andò tutto triste e camminò per tutto il giorno, finché‚ a sera giunse in un bosco. Vi entrò e poco dopo vide una luce che lo guidò, e giunse a una casa dove abitava una strega. Egli la pregò di dargli un giaciglio per la notte, qualcosa da mangiare e da bere; ella rifiutò, ma poi disse: -Ti ospiterò per misericordia, però tu domani devi vangare il mio giardino-. Il soldato promise di farlo e così fu alloggiato. Il giorno dopo vangò il giardino della strega e lavorò fino a sera. Ella voleva mandarlo via, ma egli disse: -Sono tanto stanco, lasciami rimanere ancora una notte!-. La strega non voleva, ma poi finì coll'accettare: il giorno dopo, però, il soldato doveva spaccarle un carro pieno di legna. Così il secondo giorno il soldato spaccò la legna, e alla sera aveva lavorato tanto che non se la sentì nuovamente di andarsene e le chiese asilo per la terza volta. Il giorno dopo egli doveva, però, ripescare dal pozzo la luce azzurra. La strega lo portò così al pozzo, lo legò a una lunga corda, ed egli vi si calò.Quando fu sul fondo, trovò la luce azzurra e fece segno alla vecchia per risalire. La strega lo tirò su, ma quando egli fu vicino all'orlo, così vicino che poteva toccarlo con la mano, ella volle prendergli la luce azzurra per poi lasciarlo ricadere sul fondo. Ma egli si accorse delle sue cattive intenzioni e disse: -No, non ti do la luce azzurra se prima non ho toccato terra con tutti e due i piedi-. Allora la strega s'infuriò, lo lasciò cadere nel pozzo con la luce e se ne andò. Il soldato era tutto triste, là sotto in quel pantano umido al buio, e pensava già alla sua fine. Per caso gli venne fra le mani la sua pipa, ancora mezzo piena, e pensò: "Sarà il tuo ultimo piacere!." L'accese alla luce azzurra e si mise a fumare. Quando il fumo si sparse un poco nel pozzo, apparve d'un tratto un omino nero che gli chiese: -Padrone, cosa comandi?-. Il soldato rispose: -Cosa devo comandarti?-. L'omino replicò: -Devo fare tutto quello che vuoi-. -Allora, prima di tutto, aiutami a uscire dal pozzo!- L'omino nero lo prese per mano e lo condusse fuori, portando con s‚ la luce azzurra. Poi il soldato disse: -Adesso ammazzami la strega-. Dopo aver fatto anche questo, l'omino gli mostrò l'oro e i tesori della vecchia, e il soldato li prese caricandoseli sulle spalle. Poi l'omino disse: -Se hai bisogno di me, non hai che da accendere la pipa alla luce azzurra-. Il soldato si recò quindi in città, nella migliore locanda, si fece fare bei vestiti, e ordinò all'oste di arredargli una camera il più sfarzosamente possibile. Quando fu pronta, il soldato chiamò l'omino nero e disse: -Il re mi ha cacciato facendomi patire la fame, poiché‚ non potevo più servirlo; questa sera portami qui la principessa: mi farà da serva ed eseguirà i miei ordini-. L'omino disse: -E' cosa rischiosa-. Tuttavia andò a prendere la principessa; la sollevò dal suo letto mentre dormiva, la portò al soldato, ed ella dovette obbedirgli e fare ciò che egli le ordinava. Al mattino, prima che il gallo cantasse, l'omino la riportò indietro. Quando la principessa si alzò, disse al padre: -Questa notte ho fatto un sogno strano: mi è parso di esser stata portata via e di aver servito un soldato, cui dovevo fare da serva-. Allora il re disse: -Fa' un buchino nella tasca e riempila di ceci: il sogno potrebbe essere vero, e in questo caso i ceci usciranno e lasceranno una traccia sulla strada-. La fanciulla seguì il consiglio, ma l'omino aveva udito le parole del re e, quando si fece sera e il soldato gli ordinò di andare a prendere di nuovo la principessa, egli sparse ceci per tutta la città, e quei pochi che caddero dalla tasca della principessa non lasciarono nessun segno. L'indomani, la gente mondò ceci per tutto il giorno. La principessa tornò a raccontare al padre ciò che le era successo, e il re disse: -Tieni con te una scarpa, e nascondila là dove ti trovi-. L'omino nero udì ogni cosa e, quando il soldato gli ordinò di andare a prendere di nuovo la principessa, gli disse: -Questa volta non posso più esserti di aiuto: ti andrà male se ti scoprono-. Ma il soldato non sentì ragione. -Allora domani mattino presto dovrai fuggire, quando l'avrò riportata a casa- disse l'omino. La principessa tenne con s‚ una scarpa e la nascose nel letto del soldato. La mattina seguente, quand'ella si trovò nuovamente presso il padre, questi fece cercare la scarpa di sua figlia per tutta la città, e la trovarono dal soldato. Egli, benché‚ avesse lasciato la stanza, fu presto raggiunto e gettato in prigione. Così ora giaceva in catene e, per giunta, nella fuga precipitosa aveva dimenticato il meglio, la luce azzurra e l'oro, e non aveva in tasca che un ducato. Mentre, tutto triste, se ne stava alla finestra della prigione, vide passare uno dei suoi camerati, lo chiamò e disse: -Se mi vai a prendere il fagottino che ho lasciato alla locanda, ti darò un ducato-. Quello andò e in cambio di un ducato gli portò la luce azzurra e l'oro. Il prigioniero accese la sua pipa e chiamò l'omino nero che disse: -Non temere! Va' tranquillamente dal giudice, e accada quello che vuole; bada solo di prendere con te la luce azzurra-. Il soldato fu sottoposto a giudizio e condannato a morte. Quando lo condussero fuori, chiese al re un'ultima grazia. -Quale?- domandò il re. -Di fare ancora una pipata per via.- -Puoi farne anche tre se vuoi- rispose il re. Allora il soldato tirò fuori la sua pipa e l'accese alla luce azzurra, ed ecco subito comparire l'omino nero. -Uccidi tutti quanti- disse il soldato -e il re fallo in tre pezzi.- Allora l'omino incominciò a far fuori la gente intorno, sicché‚ il re chiese grazia e per avere salva la vita diede al soldato il regno e sua figlia in isposa.Questo episodio è offerto da Podbean.com.

Tuesday Aug 13, 2024
Tuesday Aug 13, 2024
Un garzone sarto girava per il mondo in cerca di lavoro, ma non riusciva a trovarne ed era così povero che non aveva più un soldo in tasca. Un giorno incontrò per strada un ebreo e, pensando che avesse molto denaro in tasca, scacciò Dio dal suo cuore, si precipitò su di lui e disse: -Dammi il tuo denaro o ti ammazzo!-. L'ebreo rispose: -Fatemi grazia della vita, denaro non ne ho; avrò forse otto centesimi in tutto-. Ma il sarto disse: -Sì che ne hai di denaro, e deve venir fuori!-. Allora gli usò violenza e lo picchiò tanto che lo ridusse in fin di vita. E quando fu per morire, l'ebreo disse queste ultime parole: -La luce del sole lo rivelerà!- e morì. Il sarto gli frugò in tasca, cercando il denaro, ma non trovò altro che gli otto centesimi, come aveva detto l'ebreo. Allora se lo caricò sulle spalle, lo portò dietro un cespuglio e se ne andò per la sua strada. Dopo aver girato per molto tempo, giunse in una città, si mise al lavoro da un padrone che aveva una bella figlia; se ne innamorò, la sposò, e vissero insieme felici. Dopo molto tempo, quando erano già nati due bambini, i suoceri morirono e il governo della casa toccò agli sposi. Un mattino, l'uomo era seduto al tavolo davanti alla finestra, e la moglie gli portò il caffè; quand'egli lo versò nel piattino e si preparava a berlo, il sole vi batté‚ sopra, e si rifletté‚ qua e là sulla parete, formando dei cerchi. Il sarto alzò gli occhi e disse: -Sì, vorrebbe rivelarlo ma non può!-. La moglie disse: -Oh, caro marito, cosa c'è? Cosa intendi dire?-. Egli rispose: -Non posso dirlo-. Ma ella replicò: -Se mi vuoi bene, devi dirmelo- e gli disse tante belle parole, disse che nessuno l'avrebbe saputo e non gli dette pace. Allora egli le raccontò che molti anni prima, quando girava il mondo tutto lacero e senza denaro, aveva ucciso un ebreo, e l'ebreo, poco prima di morire, aveva detto queste parole: -La luce del sole lo rivelerà!-. E ora il sole avrebbe proprio voluto rivelarlo, brillando sulla parete in tanti cerchi, ma non ci riusciva. Poi egli la pregò di non dirlo a nessuno, poiché‚ ne andava della sua vita, ed ella glielo promise. Ma quand'egli si mise a lavorare, la donna andò dalla sua comare e le raccontò la storia; però che non lo dicesse a nessuno! Non erano passati tre giorni, che tutta la città lo sapeva, e il sarto comparve in giudizio e fu condannato. Così la luce del sole lo rivelò.Questo episodio è offerto da Podbean.com.

Tuesday Aug 13, 2024
Tuesday Aug 13, 2024
C'era una volta una principessa molto superba: ogni volta che si presentava un pretendente, ella gli proponeva un indovinello, e se egli non sapeva risolverlo lo scacciava deridendolo. Fece sapere, inoltre, che colui che avesse indovinato l'avrebbe sposata; e poteva presentarsi chi voleva. Ora si trovarono insieme anche tre sarti: i due più vecchi pensavano che avevano azzeccato tanti bei punti e quindi avrebbero azzeccato sicuramente anche questa; il terzo invece era uno sbarbatello buono a nulla, che non conosceva neanche il proprio mestiere. E gli altri due gli dissero: -Resta pure a casa, tanto non andrai molto lontano con quel poco sale che hai in zucca!-. Ma il piccolo sarto non si lasciò confondere e disse che scommetteva la testa che se la sarebbe cavata; e se ne andò, come se fosse il padrone del mondo. Si presentarono tutti e tre alla principessa e le dissero che doveva proporre il suo indovinello: erano proprio i tipi giusti, con un ingegno così fino che lo si poteva infilare in un ago. La principessa disse: -Ho in testa capelli di due diverse specie, di che colore sono?-. -Se è tutto qui- disse il primo -saranno bianchi e neri come il cumino e il sale-. La principessa esclamò. -Sbagliato! risponda il secondo-. Il secondo disse: -Se non è bianco e nero, è rosso e bruno, come l'abito da festa di mio padre-. -Sbagliato!- esclamò la principessa. -Risponda il terzo, vedo che lo sa di sicuro.- Allora il piccolo sarto si fece avanti e disse: -La principessa ha in testa un capello d'argento e uno d'oro, e questi sono i due colori-. All'udirlo, la principessa impallidì e stava quasi per cadere dallo spavento, perché‚ il piccolo sarto aveva indovinato, ed ella era convinta che nessuno al mondo ci sarebbe riuscito. Quando tornò in s‚ disse: -Con ciò non mi hai ancora conquistata; devi fare un'altra cosa: giù nella stalla c'è un orso e tu devi trascorrere la notte con lui. Domani, quando mi alzo, se sei ancora vivo mi sposerai-. Ma pensava di sbarazzarsi così del piccolo sarto, perché‚ l'orso non aveva ancora lasciato vivo nessuno che gli fosse capitato fra le zampe. Il piccolo sarto rispose allegramente: -Farò anche questo!-. Quando venne la sera, il nostro piccolo sarto fu condotto giù dall'orso. L'orso voleva subito scagliarsi su di lui e dargli il benvenuto con la zampa. -Piano, piano!- disse il piccolo sarto -ti calmerò io.- Come se non avesse alcun timore, trasse di tasca delle noci, le ruppe con i denti e mangiò il gheriglio. Al vederlo anche l'orso ebbe voglia di noci. Il piccolo sarto mise la mano in tasca e gliene porse una manciata: ma non erano noci, bensì sassi. L'orso se li mise in bocca ma, per quanto mordesse, non riusciva a romperli. "Ehi" pensava "che razza di tonto che sei! Non sei neanche capace di rompere delle noci!" e disse al piccolo sarto: -Per favore, rompile tu-. -Vedi che tipo sei!- disse il piccolo sarto -hai una bocca enorme e non sai rompere una piccola noce!- Prese la pietra, ma in fretta si mise in bocca una noce e crac! eccola spezzata in due. -Devo provare ancora una volta- disse l'orso -vedendoti, mi pare che dovrei riuscirci anch'io.- Allora il piccolo sarto tornò a dargli le pietre e l'orso si mise a darci dentro con tutte le sue forze. Ma non credere certo che le abbia aperte! Poi il piccolo sarto tirò fuori un violino da sotto la giubba e suonò un'arietta. All'udirlo, l'orso non pot‚ resistere e si mise a ballare e dopo aver ballato un po' ci prese tanto gusto che disse al piccolo sarto: -Senti, è difficile suonare il violino?-. -Oh, niente affatto: vedi, ci metto sopra le dita della sinistra, e con la destra ci passo l'archetto; e allegria! trallallera, trallallà!- -Potresti insegnarmelo?- domandò l'orso. -Mi piacerebbe sapere suonare così, per poter ballare ogni volta che ne ho voglia.- -Di tutto cuore- rispose il piccolo sarto -ma se vuoi imparare, devi prima mostrarmi le zampe: sono terribilmente grandi, devo prima tagliarti un po' le unghie.- Allora prese una morsa e l'orso ci mise sopra le zampe, ma il piccolo sarto l'avvitò e disse: -Adesso aspetta che venga con le forbici!-. Lo lasciò brontolare finché‚ ne ebbe voglia, si sdraiò in un angolo, su di un fascio di paglia e si addormentò. Quella sera la principessa, sentendo l'orso brontolare così forte, pensò che brontolasse per la gioia e che avesse ucciso il piccolo sarto. Così al mattino si alzò tutta contenta, ma quando guardò verso la stalla vide il piccolo sarto vispo e arzillo come un pesce. Ormai ella non poteva più far nulla perché‚ aveva promesso pubblicamente; il re fece venire una carrozza, ed ella dovette andare in chiesa con il piccolo sarto per sposarsi. Quando furono saliti in carrozza, gli altri due sarti, che erano cattivi e gli invidiavano la fortuna, andarono nella stalla e liberarono l'orso. L'animale, pieno di rabbia, si mise a correre dietro la carrozza. La principessa lo udì sbuffare, ebbe paura e disse: -Ah, l'orso ci insegue e vuole catturarti!-. Ma il piccolo sarto si mise in fretta a testa in giù, sporse le gambe dalla finestra e gridò: -Vedi la morsa? Se non te ne vai, ci torni dentro-. A quella vista l'orso si voltò e corse via. Il nostro piccolo sarto se ne andò invece tranquillamente in chiesa, sposò la principessa e visse con le felice come un'allodola. Chi non ci crede, paghi uno scudo.Questo episodio è offerto da Podbean.com.

Tuesday Aug 13, 2024
Tuesday Aug 13, 2024
C'era una volta un re che aveva un bambino, e le stelle dicevano che a sedici anni sarebbe stato ucciso da un cervo. Quando li ebbe compiuti, un giorno andò a caccia con i suoi cacciatori. Nel bosco il principe si allontanò dagli altri e scorse all'improvviso un grande cervo: prese la mira, ma non riuscì a colpirlo; il cervo a forza di correre uscì finalmente dal bosco, ed ecco, al posto del cervo, apparire d'un tratto un uomo grande e grosso, che disse: -Finalmente ti ho trovato. A inseguirti con le scarpe di vetro, ne ho già consumate sei paia, senza che potessi raggiungerti-. Se lo prese con s‚ e lo portò al di là di un gran fiume, fino a un grande castello, e il principe dovette sedersi a tavola e mangiare con lui. Dopo aver mangiato il re disse: -Io ho tre figlie; devi vegliare la maggiore per una notte, dalle nove di sera alle sei del mattino. Ogni volta che battono le ore verrò e ti chiamerò, e se mi rispondi sempre avrai mia figlia in isposa-. Quando i due giovani salirono in camera da letto, c'era là un san Cristoforo di pietra e la principessa gli disse: -Mio padre verrà alle nove, e poi a tutte le ore fino allo scoccare delle tre; se chiama dategli voi risposta al posto del principe-. Il san Cristoforo annuì con il capo veloce veloce, poi sempre più adagio, finché‚ si fermò. Il mattino seguente il re disse al principe: -Te la sei cavata bene, ma non posso darti mia figlia; devi vegliare per una notte la seconda, poi rifletterò se puoi avere la maggiore in isposa. Io verrò sempre quando suonano le ore e, se ti chiamo, devi rispondermi; ma se ti chiamo e tu non rispondi, scorrerà il tuo sangue-. I due giovani salirono in camera da letto; là c'era un san Cristoforo di pietra ancora più grande e la principessa gli disse: -Se mio padre chiama, rispondi tu-. Il grande san Cristoforo di pietra annuì con il capo veloce veloce, poi sempre più adagio, finché‚ si fermò. E il principe si coricò sulla soglia, mise la mano sotto la testa e si addormentò. Il mattino seguente il re gli disse: -Te la sei cavata davvero bene, ma non posso darti mia figlia; devi vegliare per una notte la più giovane, poi rifletterò se puoi avere la seconda in isposa. Ma io verrò a tutte le ore, e se ti chiamo, rispondimi; ma se ti chiamo e tu non rispondi, scorrerà il tuo sangue-. I giovani salirono insieme in camera da letto, e là c'era un san Cristoforo ancora più grande e grosso degli altri due. La principessa gli disse: -Se mio padre chiama, rispondi tu-. Allora il san Cristoforo di pietra, grande e grosso com'era, annuì con il capo per mezz'ora, finché‚ si fermò. Il mattino seguente il re disse: -Hai vegliato davvero bene, ma non posso ancora darti mia figlia. Io ho un grande bosco: se riesci ad abbatterlo fra le sei di questa mattina e le sei di sera, ci penserò su-.E gli diede una scure di vetro, un cuneo di vetro e un maglio di vetro. Quando il principe giunse nel bosco, diede un colpo e la scure si spezzò in due; prese il cuneo e vi batté‚ con il maglio, ed eccolo ridotto in polvere. Egli era disperato e credeva di dover morire; si mise a sedere e pianse. A mezzogiorno il re disse: -Una di voi ragazze gli porti qualcosa da mangiare-. -No- risposero le due maggiori -noi non gli porteremo nulla; può portargli qualcosa quella che egli ha vegliato per ultima.- Così la più giovane dovette andare a portargli qualcosa da mangiare. Quando giunse nel bosco gli domandò come andava. Oh, rispose egli, andava malissimo. Allora ella gli disse di avvicinarsi e di mangiare qualche boccone. Ma egli rispose di no, non poteva, tanto doveva morire e non voleva più mangiare. Ma ella lo convinse a provare con molte buone parole; e il principe si avvicinò e mangiò. Quand'ebbe mangiato qualcosa ella gli disse: -Ti spidocchierò un poco, così cambierai idea-. E, mentre lo spidocchiava, egli sentì una grande stanchezza e si addormentò. Ella prese allora il suo fazzoletto, vi fece un nodo, lo batté‚ tre volte per terra e disse: -Fuori, miei piccoli operai!-. Subito apparvero tanti piccoli gnomi e domandarono che cosa ordinasse la principessa. Ella disse: -In tre ore questo bosco deve essere abbattuto e la legna accatastata-. Allora gli gnomi se ne andarono di qua e di là e radunarono tutti i loro parenti, perché‚ li aiutassero nel lavoro. Incominciarono subito e tre ore dopo tutto era finito; poi tornarono dalla principessa e glielo dissero. Allora ella tornò a prendere il suo fazzoletto bianco e disse: -A casa, miei piccoli operai!-. E tutti scomparvero. Quando il principe si svegliò era tutto contento, ed ella disse: -Quando suonano le sei, vieni a casa-. Egli ubbidì e il re gli domandò: -Hai abbattuto il bosco?-. -Sì- rispose il principe. A tavola, il re disse: -Non posso ancora darti mia figlia in moglie-. Prima doveva fargli un altro lavoro. Il principe domandò che cosa fosse. -Ho un grande stagno- disse il re. -Domattina devi andarci e pulirlo in modo che sia lustro come uno specchio e ci sia dentro ogni sorta di pesci.- Il mattino seguente gli diede una pala di vetro e disse: -Alle sei lo stagno deve essere pronto-. Il principe se ne andò e, quando giunse allo stagno e affondò la pala nel fango, quella si spezzò; allora egli vi affondò la zappa e anche quella si spezzò. Allora si fece tristissimo. A mezzogiorno la più giovane gli portò qualcosa da mangiare e gli domandò come andava. Il principe disse che andava malissimo e che ci avrebbe rimesso la testa: -Gli arnesi sono andati di nuovo in pezzi-. Oh, doveva venire a mangiare qualcosa, diss'ella: -Poi cambierai idea-. No diss'egli, non poteva mangiare, era troppo triste. Ma ella lo pregò con tante buone parole che egli fini col mangiare. Poi si mise a spidocchiarlo ed egli si addormentò. Di nuovo ella prese un fazzoletto, vi fece un nodo e con il nodo picchiò tre volte per terra e disse: -Fuori, miei piccoli operai!-. Subito comparvero tanti gnomi e domandarono che cosa desiderasse. In tre ore dovevano pulire tutto lo stagno, che fosse lustro da potercisi specchiare e ci fosse dentro ogni sorta di pesci. Allora gli omini andarono a chiamare tutti i loro parenti perché‚ li aiutassero, e in due ore avevano finito. Allora tornarono e le dissero: -Abbiamo fatto quello che ci hai ordinato-. La principessa prese il fazzoletto, lo batté‚ tre volte per terra e disse: -A casa, miei piccoli operai!-. E tutti scomparvero. Quando il principe si svegliò, lo stagno era pronto. Anche la principessa se ne andò e gli disse di tornare a casa allo scoccare delle sei. Quand'egli arrivò a casa, il re gli domandò: -Lo stagno è pronto?-. -Sì- rispose il principe, era già pronto. A tavola, il re disse: -Hai sì messo a posto lo stagno, ma non posso ancora darti mia figlia; prima devi farmi un'altra cosa-. -Che cosa, dunque- domandò il principe. Il re aveva un grande monte, tutto coperto di spini, doveva toglierli tutti, e in cima doveva costruire un grande castello, il più bello che si potesse immaginare, e dentro doveva esserci tutto ciò che occorreva. Quando si alzò il mattino seguente, il re gli diede una scure di vetro e una barella di vetro, e disse che alle sei tutto doveva essere finito. Quando egli diede il primo colpo di scure nello spineto, la scure andò in frantumi e le schegge volarono intorno, e non pot‚ neanche usare la barella. Egli era molto afflitto e attese la sua amata, se per caso veniva a toglierlo dai guai. A mezzogiorno ella arrivò e gli portò qualcosa da mangiare; allora egli le andò incontro, le raccontò ogni cosa, mangiò, si lasciò spidocchiare e si addormentò. Allora ella prese il fazzoletto con il nodo, lo batté‚ per terra e disse: -Fuori, miei piccoli operai!-. Comparvero di nuovo tanti piccoli gnomi e le chiesero che cosa desiderasse. Ella disse: -In tre ore dovete togliere tutte le spine e in cima al monte dovete costruire un castello, il più bello che si possa immaginare, e dentro deve esserci tutto ciò che occorre-. Gli gnomi andarono a radunare i loro parenti perché‚ li aiutassero e, allo scadere delle tre ore, tutto era finito. Andarono a dirlo alla principessa ed ella prese il fazzoletto, lo batté‚ tre volte a terra e disse: -A casa, miei piccoli operai!-. E tutti scomparvero subito. Quando il principe si svegliò e vide tutto, era felice come un uccello che si libra nell'aria. Allo scoccare delle sei andarono a casa insieme. Disse il re: -Il castello è finito?-. -Sì- rispose il principe. A tavola il re disse: -Non posso darti la mia figlia minore se prima non si sposano le due più grandi-. Il principe e la principessa erano disperati, e il principe non sapeva proprio più cosa fare. Di notte andò dalla principessa e fuggì con lei. Dopo aver fatto un tratto di strada, la principessa si guardò attorno e vide il padre che li inseguiva. -Oh- disse -come faremo? Mio padre ci insegue e vuole prenderci! Ti trasformerò in un rosaio, e io diventerò una rosa e mi riparerò in mezzo al cespuglio.- Quando il padre arrivò, trovò un rosaio con una rosa; stava per coglierla, ma le spine gli punsero le dita, sicché‚ dovette tornare a casa. Sua moglie gli domandò perché‚ non avesse portato con s‚ la figlia. Egli le raccontò che stava per raggiungerla quando, d'un tratto, l'aveva persa di vista e aveva trovato un rosaio con una rosa. La regina disse: -Se avessi colto la rosa, ti sarebbe venuto dietro anche il rosaio-. Allora il re usci di nuovo per prendere la rosa. Ma nel frattempo i due giovani erano già lontani e il re li inseguiva. La fanciulla si guardò nuovamente attorno, vide venire il padre e disse: -Ah, come faremo? Ti trasformerò in una chiesa, e io sarò il pastore; mi metterò sul pulpito e predicherò-. Quando il re arrivò, trovò una chiesa e, sul pulpito, un pastore che predicava; egli ascoltò la predica e ritornò a casa. La regina gli domandò perché‚ non avesse portato con s‚ la figlia, ed egli disse: -L'ho inseguita a lungo e, quando credevo di averla raggiunta, c'era una chiesa e, sul pulpito, un pastore che predicava-. -Avresti dovuto portare con te il pastore- disse la regina -e ti sarebbe venuta dietro la chiesa: se mando te, non serve a niente; devo andarci io.- Aveva già fatto un tratto di strada e vedeva i due giovani da lontano, quando la principessa si guardò attorno, vide venire la madre e disse: -Miseri noi! Sta arrivando mia madre: ti trasformerò in stagno e io in pesce-. Quando la madre arrivò c'era un grande stagno, e in mezzo c'era un pesce che saltava allegramente qua e là, facendo capolino fuori dall'acqua. Ella voleva prendere il pesce, ma non riusciva ad acchiapparlo. Allora si arrabbiò e bevve tutto lo stagno per prendere il pesce ma si sentì così male che dovette rigettare e rigettò tutto lo stagno. Allora disse: -Vedo che non c'è via di scampo- e li pregò di tornare da lei. Essi ci andarono e la regina diede alla figlia tre noci e disse: -Ti serviranno in caso di necessità-. I due giovani se ne andarono e dopo dieci ore di cammino giunsero al castello del principe, accanto al quale vi era un villaggio. Quando vi giunsero il principe disse: -Resta qui, mia cara, andrò al castello e poi verrò a prenderti con i servi in carrozza-. Quando arrivò al castello tutti erano felici che il principe fosse tornato. Egli raccontò che giù nel villaggio aveva una sposa, e sarebbero andati a prenderla in carrozza. Attaccarono subito i cavalli e molti servi salirono sulla carrozza. Quando il principe volle salirvi, sua madre gli diede un bacio, ed egli scordò tutto quello che era successo e anche quello che voleva fare. Allora la madre ordinò che staccassero i cavalli e rientrarono tutti in casa. Ma la fanciulla era là nel villaggio e, aspetta aspetta, credeva ch'egli venisse a prenderla; e invece non veniva nessuno. Allora la principessa entrò a servizio al mulino che apparteneva al castello, e tutti i pomeriggi doveva lavare le stoviglie nel fiume. Una volta la regina scese dal castello, e, passeggiando lungo il fiume, vide la bella fanciulla e disse: -Che bella fanciulla! Come mi piace!-. Chiese notizie a tutti, ma nessuno la conosceva. La fanciulla servì fedelmente il mugnaio per lungo tempo. Intanto la regina aveva cercato una sposa per il figlio. La sposa veniva da molto lontano e, quando arrivò, dovevano sposarsi subito.Venne molta gente a vedere le nozze, e la fanciulla pregò il mugnaio che lasciasse andare anche lei. Il mugnaio disse: -Va' pure-. Prima di andare ella aprì una delle tre noci, e vi trovò una bella veste; l'indossò, andò in chiesa e si fermò all'altare. D'un tratto giunsero lo sposo e la sposa e si sedettero davanti all'altare. Il pastore stava per benedirli quando la sposa guardò di lato e vide la fanciulla; allora si alzò e disse che non voleva sposarsi se prima non aveva anche lei un vestito così bello come quello della dama. Allora ritornarono a casa e fecero chiedere alla dama se voleva vendere il suo vestito. No, non lo vendeva, ma era possibile guadagnarselo. Le chiesero che cosa dovevano fare. Ella rispose che, se avesse potuto dormire una notte davanti alla porta del principe, le avrebbe dato la veste. La sposa disse che si, poteva farlo. I servi dovettero dare al principe un sonnifero, mentre ella si coricò sulla soglia e si lamentò tutta la notte: per lui aveva fatto abbattere il bosco, ripulire lo stagno, costruire il castello; lo aveva trasformato in rosaio, poi in chiesa e infine in stagno, ed egli l'aveva dimenticata così presto! Il principe non senti nulla, ma i servi si erano svegliati, avevano ascoltato tutto e non sapevano che cosa ciò significasse. Il mattino seguente, quando si alzarono, la sposa indossò il vestito e andò in chiesa con lo sposo. Nel frattempo la bella fanciulla spezzò la seconda noce, e dentro c'era un'altra veste, ancora più bella; indossò anche questa, andò in chiesa e si fermò di fronte all'altare, e tutto andò come la volta precedente. La fanciulla trascorse così un'altra notte coricata davanti alla camera del principe, e i servi dovevano dargli un altro sonnifero; invece andarono e gli diedero qualcosa perché‚ stesse sveglio. Egli si mise a letto e la fanciulla del mulino, sulla soglia, continuò a lamentarsi dicendo quello che aveva fatto. Il principe sentì ogni cosa e si rattristò molto, e gli tornò in mente tutto ciò che era accaduto. Voleva andare da lei, ma sua madre aveva chiuso la porta. Il mattino seguente andò subito dalla sua diletta e le raccontò tutto quello che gli era successo e la pregò di non essere in collera con lui per averla dimenticata così a lungo. Allora la principessa spezzò la terza noce, nella quale c'era una veste ancora più bella; l'indossò e andò in chiesa con il suo sposo. E arrivarono tanti bambini a portare fiori e a stendere nastri variopinti ai loro piedi; gli sposi furono poi benedetti e festeggiarono le loro nozze con allegria; la perfida madre e la fidanzata dovettero invece andarsene. E a chi per ultimo l'ha raccontata, ancora la bocca non s'è freddata.Questo episodio è offerto da Podbean.com.

Tuesday Aug 13, 2024
Tuesday Aug 13, 2024
Una volta un contadino andò ad arare con una coppia di buoi. Quando giunse al campo, le corna delle due bestie incominciarono a crescere e crebbero tanto che quando volle tornare a casa erano così grandi che egli non pot‚ farle passare dal portone. Per fortuna, in quella passava di lì un macellaio, e il contadino gli lasciò i buoi, e si misero d'accordo in questo modo: il contadino doveva portare al macellaio una misura di ravizzone, e il macellaio doveva sborsare uno scudo per ogni seme. Questo si chiama un buon affare! Il contadino andò a casa, portando sulla schiena una misura di ravizzone; ma, per strada, perse un granello dal sacco. Il macellaio lo pagò secondo l'accordo: se il contadino non avesse perso quel seme, avrebbe avuto uno scudo in più. Nel frattempo, mentre tornava indietro, dal seme era cresciuto un albero che arrivava fino al cielo. Il contadino pensò: "Non perdere l'occasione di vedere che cosa fanno gli angeli lassù: per una volta li avrai sotto gli occhi!." Allora egli salì sull'albero e vide che gli angeli trebbiavano l'avena e si mise a guardare; mentre guardava si accorse che l'albero incominciava a vacillare; guardò giù e vide che uno stava per abbatterlo. "Se cadessi, sarebbe un bel guaio!" pensò e, trovandosi in difficoltà, non seppe far di meglio che prendere la pula dell'avena, che là era a mucchi, e farsene una corda. Prese inoltre una zappa e una trebbia, che erano in cielo, e si calò con la fune. Ma giù, a terra, finì in un buco profondo profondo, e fu una vera fortuna che avesse la zappa, poiché‚ così si scavò degli scalini per risalite, e portò con s‚ la trebbia come prova.Questo episodio è offerto da Podbean.com.

Tuesday Aug 13, 2024
Tuesday Aug 13, 2024
C'era una volta un ragazzo che aveva imparato il mestiere del fabbro e disse al padre che voleva andare per il mondo e mettersi alla prova. "Sì" disse il padre "va' pure" e gli diede un po' di denaro per il viaggio. Così egli se ne andò girando qua e là. Dopo un po' di tempo, il suo mestiere non gli riusciva più e non gli andava più a genio; aveva voglia, invece, di imparare a cacciare. Per strada incontrò un cacciatore vestito di verde, che gli domandò da dove venisse e dove andasse. Il ragazzo rispose ch'egli era garzone di fucina, ma il mestiere non gli piaceva più e aveva voglia di imparare a cacciare: voleva prenderlo come garzone? "Oh sì, se vuoi venire con me." Così il ragazzo lo seguì, rimase al suo servizio per qualche anno e imparò l'arte della caccia. Poi volle di nuovo mettersi alla prova, e il cacciatore non gli diede altro compenso che un archibugio; esso aveva però la virtù di colpir senza fallo ogni volta che sparava. Egli se ne andò e giunse in un gran bosco, e in un giorno non ne poté vedere la fine. A sera salì su di un albero alto per mettersi al riparo dalle bestie feroci. Verso mezzanotte gli parve di veder brillare una luce lontano; guardò attraverso i rami e osservò con attenzione dove fosse. Poi prese il suo cappello e lo buttò giù verso il lume, per avere, quando fosse sceso, un segno che gli indicasse il cammino. Scese dall'albero, andò difilato al suo cappello, se lo rimise in testa e proseguì dritto davanti a sé. Più camminava e più grande si faceva la luce e, quando vi giunse, vide che era un gran fuoco; accanto c'erano seduti tre giganti che facevano arrostire un bue allo spiedo. Uno disse: "Devo assaggiare la carne per vedere se è quasi cotta." Ne staccò un pezzo e stava per metterselo in bocca, quando il cacciatore con un colpo glielo fece cadere di mano. "Ma guarda un po'" disse il gigante "il vento mi porta via la carne!" e ne prese un altro pezzo. Stava per addentarlo, quando il cacciatore glielo portò via con un altro colpo; allora il gigante diede uno schiaffo a quello che gli era seduto accanto e gridò incollerito: "Perché mi porti via il mio pezzo di carne?." - "Non ti ho portato via nulla" rispose quello. "Dev'essere stato un colpo di archibugio." Il gigante prese un terzo pezzo, ma non poté tenerlo in mano, poiché il cacciatore glielo fece volar via di nuovo sparando. Allora i giganti dissero: "Dev'essere un buon tiratore se sa portare via il boccone di bocca; un tipo del genere potrebbe esserci utile." E gridarono forte: "Vieni fuori, archibugiere, siediti accanto al fuoco e mangia a tua voglia; non ti faremo niente; ma se non vieni e ti prendiamo con la forza, sei perduto." Allora il giovane si avvicinò e disse che era un cacciatore provetto e qualsiasi cosa prendesse di mira con il suo archibugio la colpiva senza mai sbagliare. I giganti gli dissero che se fosse andato con loro, si sarebbe trovato bene; e gli raccontarono che davanti al bosco c'era un gran fiume, al di là del quale c'era una torre in cui si trovava un bella principessa, che essi volevano rapire. "Sì" diss'egli "è presto fatto." Gli altri soggiunsero: "C'è ancora una cosa: là c'è un cagnolino che si mette ad abbaiare se qualcuno si avvicina, e subito a corte si svegliano tutti; per questo non possiamo entrare. Avrai il coraggio di uccidere il cagnolino?." - "Sì" rispose egli "sarà un gioco per me." Poi salì su una barca e attraversò il fiume, ed era quasi a riva quando giunse di corsa il cagnolino; stava per mettersi ad abbaiare, ma il cacciatore prese il suo archibugio, gli sparò e l'uccise. A quella vista i giganti si rallegrarono e credevano di avere già la principessa in loro potere. Ma il cacciatore disse loro di fermarsi là fuori finché non li chiamasse. Poi entrò nel castello dove regnava un silenzio di tomba e tutti dormivano. Quando aprì la prima stanza, ecco appesa alla parete una sciabola d'argento puro, con una stella d'oro sopra e il nome del re; accanto vi era una tavola sulla quale c'era una lettera sigillata. Egli l'aprì e lesse che con quella sciabola uno poteva uccidere chiunque gli comparisse davanti. Allora il giovane la staccò dalla parete, se la mise al fianco e proseguì; giunse nella stanza dove dormiva la principessa, ed era così bella ch'egli si fermò a guardarla e trattenne il respiro. Si guardò attorno e vide che sotto il letto c'era un paio di pantofole: su quella destra c'era il nome del padre con una stella, su quella sinistra il nome di lei con una stella. Ella aveva al collo un grande scialle di seta trapunto d'oro. Allora il cacciatore prese un paio di forbici, tagliò il lembo di destra e lo mise nel suo zaino, poi ci mise anche la pantofola destra, quella che portava il nome del re. La fanciulla continuava a dormire, ben chiusa nella sua camicia; allora egli tagliò anche un pezzetto della camicia e lo mise insieme al resto, ma fece tutto questo senza sfiorarla. Poi se ne andò, lasciandola dormire; quando giunse alla porta, i giganti erano là fuori che lo aspettavano e pensavano che avesse portato la principessa. Ma egli gridò che entrassero e che la fanciulla era già nelle sue mani; non poteva, tuttavia, aprire loro la porta, ma c'era un buco attraverso il quale dovevano passare. Si avvicinò il primo, e il cacciatore avvolse i capelli del gigante intorno alla sua mano, tirò dentro la testa e la mozzò con un colpo di sciabola; poi lo tirò dentro del tutto. Poi chiamò il secondo e tagliò la testa anche a lui, e così pure al terzo; ed era felice di aver liberato la bella fanciulla dai suoi nemici. Tagliò loro le tre lingue e se le mise nello zaino. Poi pensò: "Andrò a casa da mio padre e gli mostrerò quel che ho fatto, poi me ne andrò in giro per il mondo: la fortuna che Dio mi destina, non mi mancherà." Ma nel castello, quando il re si svegliò, vide i tre giganti che giacevano a terra morti. Andò nella camera di sua figlia, la svegliò e le domandò chi fosse stato a ucciderli. Ella disse: "Caro babbo, non lo so: dormivo." Ma quando si alzò volle infilare le pantofole, la destra era sparita; e quando guardò il suo scialle, vide che era tagliato e che mancava il lembo destro; e quando guardò la sua camicia, ne mancava un pezzettino. Il re radunò tutta la corte, i soldati e tutti gli altri, e domandò chi avesse liberato sua figlia e ucciso i giganti. Ora egli aveva un capitano che aveva un occhio solo ed era bruttissimo; questi disse di essere stato lui. Allora il vecchio re disse che se aveva compiuto quell'impresa, doveva anche sposare sua figlia. Ma la fanciulla disse: "Caro babbo, piuttosto che sposare costui, preferisco andarmene per il mondo, fin dove mi portano le gambe." Il re le disse che se non voleva sposarlo doveva togliersi le vesti regali, mettersi un vestito da contadina e andarsene da un vasaio a vendere stoviglie di terra. Ella si tolse così le vesti regali, andò da un vasaio e prese a credito delle stoviglie, con la promessa di pagarlo alla sera, quando le avesse vendute. Il re le disse di mettersi a vendere in un angolo, poi ordinò che dei carri vi passassero in mezzo e mandassero tutto in mille pezzi. Quando la principessa ebbe disposto la merce sulla strada, arrivarono i carri che ruppero tutto. Ella si mise a piangere e disse: "Ah, Dio, come farò a pagare il vasaio!." Ma in questo modo il re aveva voluto costringerla a sposare il capitano, e invece ella tornò dal vasaio e gli domandò se volesse ancora farle credito. Questi rispose di no, prima doveva pagare la roba dell'altra volta. Allora ella andò dal padre, piangendo e disperandosi e disse che voleva andarsene per il mondo. Egli le disse di andare nel bosco: le avrebbe fatto costruire una casetta dove sarebbe stata tutta la vita e avrebbe fatto da mangiare a chiunque, senza mai prendere denaro. Così le fece costruire la casina nel bosco, sulla porta era appesa un'insegna che diceva: "Oggi gratis, domani a pagamento." Ella vi stette a lungo e in giro si sparse la voce che nel bosco c'era una fanciulla che dava da mangiare gratis, come diceva un'insegna fuori dalla porta. Lo venne a sapere anche il cacciatore e pensò: "E' proprio quel che ci vuole per te che sei povero e non hai denaro." Prese il suo archibugio e lo zaino in cui c'era ancora tutto quello che aveva preso nel castello come prova, andò nel bosco e trovò anche lui la casina con l'insegna: "Oggi gratis, domani a pagamento." Egli aveva al fianco anche la spada con la quale aveva tagliato la testa ai tre giganti; così entrò nella casina e si fece dare qualcosa da mangiare. E si beava alla vista di quella fanciulla, bella come il sole. Ella gli domandò da dove venisse e dove andasse, ed egli rispose: "Giro per il mondo." Allora ella gli domandò dove avesse preso quella spada, sulla quale c'era il nome di suo padre. Egli le domandò se fosse la figlia del re, ed ella rispose di sì. "Con questa spada" diss'egli "ho tagliato le teste ai tre giganti." E come prova prese dallo zaino le lingue e le mostrò anche la pantofola, il lembo dello scialle e il pezzo di camicia. Piena di gioia, ella disse che era il suo liberatore. Poi andarono insieme dal vecchio re; la fanciulla lo condusse nella sua camera e gli disse che il cacciatore era colui che l'aveva davvero liberata dai giganti. E quando il vecchio re vide tutte le prove, non poté più dubitare e disse che era d'accordo e che la fanciulla doveva diventare sua moglie; ed ella ne fu ben contenta. Poi lo vestirono come se fosse stato un nobile forestiero, e il re fece imbandire un grande banchetto. A tavola il capitano sedette a sinistra della principessa, mentre il cacciatore sedette a destra, e il capitano pensava che fosse un nobile forestiero venuto in visita. Quand'ebbero mangiato e bevuto, il vecchio re disse al capitano che doveva risolvere un quesito: se uno diceva di avere ucciso tre giganti e gli chiedevano dov'erano le lingue, e poi doveva constatare che nelle teste non ce n'era neanche una, come era possibile? Il capitano disse: "Non ne avranno avute." - "Come!" disse il re. "Ogni animale ha la sua lingua." E chiese ancora quale castigo meritasse quel tale. Il capitano rispose: "Merita di essere fatto a pezzi." Allora il re disse che aveva pronunciato il suo verdetto: il capitano fu messo in prigione e fatto a pezzi, mentre la principessa sposò il cacciatore. Poi egli andò a prendere il padre e la madre, che vissero felici con lui, ed ebbe il regno alla morte del vecchio re.Questo episodio è offerto da Podbean.com.

Tuesday Aug 13, 2024
Tuesday Aug 13, 2024
Un contadino aveva un servo fedele e zelante, al suo servizio già da tre anni senza che egli gli avesse mai dato il suo salario. Finalmente il servo pensò che non intendeva lavorare per niente, andò dal padrone e disse: -Vi ho servito tutto questo tempo con solerzia e lealtà, perciò confido in voi perché‚ mi diate ciò che mi spetta di diritto-. Ma il contadino era uno spilorcio, e sapeva che il servo era d'animo semplice; così prese tre centesimi e gliene diede uno per anno: questa era la sua paga. Il servo pensava di avere in mano un grosso capitale e pensò: "Perché‚ vorresti ancora crucciarti; adesso puoi aver cura di te e andare in giro per il mondo a fartela bene." Così mise il suo bel capitale in uno zaino e se ne andò allegramente per monti e valli. Una volta giunse in un campo saltando e cantando e gli apparve un ometto che gli domandò la causa della sua gioia. -Perché‚ mai dovrei essere triste? Ho salute e denaro in abbondanza, non ho certo bisogno di preoccuparmi. Ho con me tutto ciò che ho guadagnato e risparmiato prestando servizio per tre anni.- -A quanto ammonta il tuo tesoro?- chiese l'omino. -Tre bei centesimi- rispose il servo. -Regalami i tuoi tre centesimi: sono un pover'uomo.- Il servo aveva buon cuore e provò compassione per l'omino, così gli diede i soldi. L'omino disse: -Dato che il tuo cuore è buono, ti concedo tre desideri, uno per centesimo: avrai quel che desideri-. Il servo ne fu soddisfatto e pensò che preferiva della roba al denaro; poi disse: -Per prima cosa desidero un archibugio che colpisca tutto quello che prendo di mira; in secondo luogo un violino, e quando suono tutti quelli che sentono devono ballare; e in terzo luogo, se domando qualcosa, che nessuno possa rifiutarla-. L'omino disse: -Avrai tutte queste cose!-. Gli diede violino e archibugio, e poi se ne andò per la sua strada. Il servo, che già si riteneva fortunato prima, pensava ora di esserlo dieci volte di più. Poco dopo incontrò un vecchio ebreo che se ne stava ai piedi di un albero in cima al quale, sul ramo più alto, c'era una piccola allodola che cantava, cantava. -Bontà divina!- esclamò l'ebreo -cosa può mai fare una simile bestiola! Non so che darei per averla!- -Se è tutto qui- disse il servo -sarà facile farla cadere.- Prese la mira e centrò l'uccello che cadde dall'albero. -Andate a raccoglierlo- disse poi. Ma l'uccello era caduto in uno spineto ai piedi dell'albero. Allora l'ebreo si fece strada nello spineto e, quando vi fu in mezzo, il servo tirò fuori il suo violino e si mise a suonare. Subito l'ebreo si mise a ballare senza posa, e prese a saltare sempre più in fretta e sempre più alto. Ma le spine gli laceravano le vesti, sicché‚ qua e là pendevano dei brandelli, lo graffiavano e lo ferivano da fargli sanguinare tutto il corpo. -Per l'amor di Dio!- gridò l'ebreo. -Smetta vossignoria con quel violino, che ho mai fatto di male?- Ma l'allegro servitore pensò: "Hai scorticato la gente a sufficienza: ora avrai altrettanto" e si mise a suonare un'altra danza. Allora l'ebreo si mise a pregarlo e gli promise del denaro se smetteva di suonare. Ma i soldi non bastavano mai al servo che continuò a suonare finché‚ l'ebreo non gli promise cento bei fiorini che teneva nella borsa e che aveva appena estorti a un poveraccio. Quando il servo vide tutto quel denaro, disse: -Così va bene-. Prese la borsa e ritirò il violino; poi continuò per la sua strada allegro e tranquillo. L'ebreo uscì dallo spineto mezzo nudo e malandato, si mise a pensare a come poteva vendicarsi e gridò al violinista quante ingiurie sapeva. Poi corse da un giudice e si lamentò dicendo di essere stato derubato del suo oro da un furfante che, per giunta, l'aveva ridotto da far pietà; colui portava un fucile sulla schiena e un violino a tracolla. Allora il giudice inviò messi e sbirri a cercarlo, ed egli fu ben presto rintracciato e condotto a giudizio. Allora l'ebreo lo accusò di avergli rubato il denaro, ma il servo disse: -Non è vero, il denaro me lo hai dato tu perché‚ smettessi di suonare-. Ma il giudice andò per le spicce e condannò il servo alla forca. Questi era già salito sulla scala a pioli, e aveva la corda al collo, quando disse: -Signor giudice, vogliate concedermi un'ultima preghiera!-. -Ti sia concessa- rispose il giudice -purché‚ tu non chieda la grazia.- -No, non si tratta della grazia- rispose il servo. -Vi prego di lasciarmi suonare per l'ultima volta il mio violino.- Allora l'ebreo si mise a gridare: -Per amor di Dio, non permetteteglielo! Non permetteteglielo!-. Ma il giudice disse: -Gli spetta e così sia-. Del resto non poteva rifiutare, proprio per quel dono che era stato concesso al servo. L'ebreo gridò: -Ahimè! Legatemi stretto!-. Il servo prese il violino e al primo colpo di archetto tutti si misero a dondolare e a traballare, giudice, scrivani e uscieri, e nessuno poté legare l'ebreo; al secondo colpo d'archetto, il boia lasciò andare il servo e si mise a ballare; quando si mise a suonare ballarono tutti insieme: il giudice e l'ebreo davanti e tutta la gente che si era radunata sul mercato per assistere. All'inizio era divertente, ma poi, siccome il violino e la danza non cessavano, presero a strillare miseramente e lo pregarono di smettere, ma egli continuò finché‚ il giudice non gli concesse la grazia e gli promise di lasciargli anche i cento fiorini. Poi disse ancora all'ebreo: -Furfante, confessa donde ti viene il denaro, o continuo a suonare solo per te!-. -L'ho rubato, l'ho rubato! Tu, invece, l'hai guadagnato onestamente- gridò l'ebreo, e tutti udirono. Allora il servo smise di suonare, mentre l'infame fu impiccato al suo posto.Questo episodio è offerto da Podbean.com.

Tuesday Aug 13, 2024
Tuesday Aug 13, 2024
Una madre aveva un bambino di sette anni, così bello e grazioso che non lo si poteva guardare senza volergli bene, ed ella lo amava più di ogni altra cosa al mondo. Ora avvenne ch'egli si ammalò all'improvviso, e il buon Dio lo chiamò a s‚; la madre non poteva consolarsi e piangeva giorno e notte. Era stato sepolto da poco quando il bimbo, di notte, prese a mostrarsi proprio là dove se ne stava a giocare quand'era vivo; se la madre piangeva, piangeva anche lui, e quando veniva il mattino spariva. Ma poiché‚ la madre non cessava di piangere, una notte egli le apparve con la bianca camicina da morto con la quale era stato messo nella bara, e con la coroncina in testa; si sedette ai suoi piedi, sul letto, e disse: -Ah, mamma, non pianger più, altrimenti non posso addormentarmi nella bara: la mia camicina da morto è sempre bagnata delle tue lacrime che vi cadono tutte sopra-. All'udire queste parole la madre si spaventò e non pianse più. E la notte dopo il bambino tornò con una candelina in mano e disse: -Vedi? La mia camicina è quasi asciutta, e io riposo nella mia tomba-. Allora la madre offrì il suo dolore a Dio, lo sopportò con pazienza e in silenzio, e il bimbo non tornò, ma dormì nel suo lettino sotto terra.Questo episodio è offerto da Podbean.com.

Tuesday Aug 13, 2024
Tuesday Aug 13, 2024
C'era una volta un ricco contadino che non aveva figli. Spesso, quando si recava in città con gli altri contadini, questi lo canzonavano e gli domandavano perché‚ non avesse figli. Un giorno si arrabbiò e quando arrivò a casa disse: "Voglio avere un figlio, fosse anche un porcospino." Ed ecco, sua moglie mise al mondo un bambino, mezzo porcospino e mezzo uomo, e quando lo vide inorridì e disse: "Vedi, ci hai gettato un maleficio!" Disse l'uomo: "Che cosa ci vuoi fare? Dobbiamo battezzarlo lo stesso, ma non possiamo prendere un compare." La donna rispose: "E non possiamo chiamarlo che Gian Porcospino." Dopo il battesimo, il parroco disse: "Con questi aculei non può entrare in un letto normale." Così sistemarono un po' di paglia dietro la stufa e ci misero Gian Porcospino. Egli non poteva neanche essere allattato dalla madre, perché‚ l'avrebbe punta con quegli aculei. Così se ne stette dietro la stufa per otto anni, e suo padre non ne poteva più e si augurava solo che morisse; ma egli non morì e se ne stava là disteso. Ora avvenne che ci fu un mercato in città, e il contadino volle andarci, perciò domandò alla moglie che cosa dovesse portarle. "Un po' di carne e qualche panino, quel che occorre in casa," disse lei. Poi chiese alla serva, che voleva un paio di pantofole e delle calze con lo sprone. Infine chiese: "E tu, Gian Porcospino, cosa vuoi?" - "Babbino," disse questi, "portami una cornamusa." Quando il contadino tornò a casa, diede alla moglie ciò che aveva comprato, carne e panini; poi diede alla serva le pantofole e le calze con lo sprone, infine andò dietro la stufa e diede la cornamusa a Gian Porcospino. E quando questi ebbe la cornamusa, disse: "Babbino, andate alla fucina e fatemi ferrare il mio gallo, così partirò e non tornerò mai più." Il padre era felice di potersene liberare; gli fece ferrare il gallo e, quando fu pronto, Gian Porcospino gli salì in groppa, portando con s‚ anche asini e porci che voleva custodire nel bosco. Nel bosco il gallo dovette volare con lui su un albero alto, ed egli rimase lassù a custodire asini e porci. Egli rimase molti anni lassù mentre il suo branco si ingrossava e suo padre non sapeva più nulla di lui. Sull'albero, egli suonava la sua cornamusa, e la musica era bellissima. Un giorno un re che si era perduto passò di là e udì la musica; se ne meravigliò e mandò un suo servo a vedere da dove venisse. Quello si guardò attorno ma vide soltanto un animaletto seduto in cima a un albero; sembrava un gallo, con un porcospino in groppa che suonava. Allora il re ordinò al servo di domandargli perché‚ se ne stesse là seduto, e se sapesse dove passava la strada per il suo regno. Allora Gian Porcospino scese dall'albero e disse che gli avrebbe indicato il cammino se il re gli prometteva per iscritto la prima cosa che a corte gli fosse venuta incontro al suo arrivo. Il re pensò: "Puoi farlo benissimo, tanto Gian Porcospino non capisce nulla e tu puoi scrivere quello che vuoi." Così prese penna e inchiostro e scrisse qualcosa e, quando ebbe finito, Gian Porcospino gli indicò la strada ed egli arrivò felicemente a casa. Ma sua figlia, vedendolo da lontano, piena di gioia gli corse incontro e lo baciò. Egli pensò a Gian Porcospino e le raccontò quel che gli era successo: che aveva dovuto promettere per iscritto a uno strano animale ciò che a casa gli fosse venuto incontro per primo; l'animale stava in groppa a un galletto e suonava molto bene; ma egli aveva scritto che non gli avrebbe dato nulla perché‚, tanto, Gian Porcospino non sapeva leggere. La principessa ne fu felice e disse che era ben fatto, perché‚ non ci sarebbe andata in nessun caso.
Ma Gian Porcospino custodiva gli asini e i porci, era sempre allegro e sedeva sull'albero a suonare la cornamusa. Ora avvenne che un altro re arrivò in carrozza con i suoi servi e alfieri; si era perduto e non sapeva tornare a casa, poiché‚ il bosco era tanto grande. Udì subito la bella musica da lontano e disse al suo alfiere di andare a vedere cos'era e di dove veniva la musica. Questi andò sotto l'albero e vide il gallo con Gian Porcospino in groppa. Gli domandò che cosa stesse facendo lassù. "Custodisco asini e maiali; ma voi, cosa volete?" L'alfiere rispose che si erano persi e che non potevano più tornare nel loro regno, e s'egli voleva indicare loro il cammino. Allora Gian Porcospino scese dall'albero con il gallo e disse al vecchio re che gli avrebbe indicato la strada se gli avesse concesso la prima cosa che gli fosse venuta incontro davanti al suo castello. Il re rispose di sì e firmò la promessa a Gian Porcospino. Allora questi lo precedette in groppa al suo gallo, gli mostrò la strada, e il re fece ritorno felicemente nel suo regno. Quando giunse a corte, la gioia fu grande. Il re aveva un'unica figlia, molto bella; lei gli venne incontro, gli saltò al collo, lo baciò, felice che il vecchio padre fosse tornato. Gli chiese dove fosse stato così a lungo in giro per il mondo, ed egli le raccontò di essersi perso e che forse non avrebbe più fatto ritorno; ma mentre attraversava un gran bosco, un essere mezzo porcospino e mezzo uomo, che stava in cima a un albero in groppa a un gallo, e suonava molto bene, lo aveva aiutato e gli aveva mostrato il cammino; in cambio però egli aveva dovuto promettergli la prima cosa che gli fosse venuta incontro a corte, e questa era lei, e ora egli era tanto afflitto. Ma lei gli promise che, all'arrivo di Gian Porcospino, lo avrebbe seguito volentieri per amore del suo vecchio padre.
Ma Gian Porcospino custodiva i suoi porci, e i porci mettevano al mondo altri porci e diventarono tanti che tutto il bosco n'era pieno. Allora Gian Porcospino mandò a dire a suo padre di sgombrare tutti i porcili del villaggio e di fare spazio, poiché‚ egli sarebbe arrivato con un branco tale di porci che, se avessero voluto, tutti avrebbero potuto macellare. All'udire questa notizia, il padre si rattristò perché‚ pensava che Gian Porcospino fosse morto da un pezzo. Gian Porcospino, invece, salì in groppa al suo gallo, menò i porci fino al villaggio e li fece macellare. Ah, fu una strage il cui rumore si poteva udire a due ore di distanza! Poi Gian Porcospino disse: "Babbino, andate nella fucina a far ferrare ancora una volta il mio gallo; poi me ne vado e non torno più in vita mia." Allora il padre fece ferrare il gallo ed era felice che Gian Porcospino non volesse più tornare.
Gian Porcospino se n'andò nel primo regno; il re aveva ordinato che, se arrivava uno in groppa a un gallo e con una cornamusa, gli sparassero tutti contro, lo battessero e lo ferissero, perché‚ non entrasse nel castello. Così quando arrivò Gian Porcospino, gli si gettarono addosso con le baionette; ma egli spronò il suo gallo, e volò oltre la porta, fino alla finestra del re; vi si posò e gli gridò di dargli ciò che aveva promesso, altrimenti avrebbe ucciso lui e sua figlia. Allora il re pregò la figlia di andare da Gian Porcospino, per salvare la sua vita e quella del padre. Lei si vestì di bianco, e il padre le diede una carrozza con sei cavalli, valletti sfarzosi, denaro e beni. Lei salì in carrozza e Gian Porcospino vi si sedette accanto con il gallo e la cornamusa; poi presero congedo e partirono, e il re pensava che non l'avrebbe mai più rivista. Invece andò in modo ben diverso. Quando furono a qualche distanza dalla città, Gian Porcospino la svestì e la punse con i suoi aculei finché‚ fu tutta sanguinante e disse: "Questa è la ricompensa per la vostra slealtà; vattene, non ti voglio." Così la cacciò e la rimandò a casa, e lei fu disonorata per tutta la vita.
Gian Porcospino invece proseguì sul suo gallo e con la sua cornamusa verso il secondo regno, dove si trovava l'altro re al quale aveva indicato la strada. Questi aveva ordinato, se arrivasse uno come Gian Porcospino, di presentargli le armi, lasciarlo entrare liberamente, gridare evviva e introdurlo nel castello. Quando la principessa lo vide, inorridì perché‚ il suo aspetto era davvero bizzarro; ma pensò che non c'era nient'altro da fare, l'aveva promesso a suo padre. Così diede il benvenuto a Gian Porcospino, egli dovette accompagnarla alla tavola regale, e lei sedette al suo fianco, mangiarono e bevvero insieme. Alla sera, quando fu ora di andare a dormire, lei aveva molta paura dei suoi aculei, ma egli le disse di non temere, non le avrebbe fatto alcun male; e disse al vecchio re di mandare quattro uomini che facessero la guardia davanti alla porta della loro camera e accendessero un gran fuoco: entrato in camera per mettersi a letto, egli sarebbe sgusciato fuori dalla sua pelle di porcospino e l'avrebbe lasciata davanti al letto; allora i quattro uomini dovevano raccoglierla in fretta, gettarla nel fuoco e aspettare che il fuoco l'avesse distrutta. Quando la campana suonò le undici, egli entrò in camera, si tolse la pelle di porcospino e la lasciò per terra davanti al letto; allora vennero gli uomini, la presero in fretta e la gettarono nel fuoco; e quando il fuoco l'ebbe distrutta, egli fu libero dall'incantesimo, e giaceva nel letto ormai del tutto uomo; però era nero come il carbone, come se lo avessero bruciato. Il re mandò a chiamare il suo medico, che lo lavò con dei buoni unguenti e lo profumò; ed egli divenne un giovane signore, bianco e bello. Quando lo vide, la principessa ne fu felice; si alzarono contenti, mangiarono e bevvero, si festeggiarono le loro nozze e Gian Porcospino ottenne il regno dal vecchio re.
Quando fu trascorso qualche anno, andò con la sua sposa dal padre e gli disse che era suo figlio; ma il padre rispose che non ne aveva: glien'era nato solo uno che aveva gli aculei come un porcospino, e se n'era andato in giro per il mondo. Allora egli si fece riconoscere e il vecchio padre si rallegrò e lo seguì nel suo regno.Questo episodio è offerto da Podbean.com.

Tuesday Aug 13, 2024
Tuesday Aug 13, 2024
Un onesto soldato aveva guadagnato del denaro e lo aveva messo da parte, perché‚ era scrupoloso e non lo scialava, come gli altri, all'osteria. Due suoi camerati avevano il cuore cattivo e volevano portargli via il suo denaro; in apparenza, tuttavia, si comportavano molto amichevolmente. Un giorno gli dissero: -Ascolta, che cosa stiamo a fare qui in città, chiusi come se fossimo prigionieri? E per giunta uno come te, che a casa potrebbe guadagnare a dovere e vivere contento-. Insistettero così a lungo con questi discorsi, finché‚ egli acconsentì e scappò con loro. Ma gli altri due non avevano altro intento che di rubargli il denaro fuori città. Quand'ebbero percorso un tratto di strada, i due camerati dissero: -Dobbiamo prendere la strada verso destra se vogliamo arrivare al confine-. -Ma neanche per idea!- rispose l'altro -di qui si torna dritti in città: dobbiamo proseguire a sinistra.- -Che cosa? Vuoi forse fare il prepotente?- gridarono gli altri due, gli si scagliarono addosso, lo picchiarono finché‚ egli cadde a terra e gli presero i soldi di tasca. Ma non era ancora abbastanza: gli cavarono gli occhi, lo trascinarono alla forca e ve lo legarono stretto. Lo abbandonarono là e se ne tornarono in città con il denaro rubato. Il povero cieco non sapeva in quale luogo triste si trovasse; tastò attorno a s‚ e capì di essere seduto sotto una trave di legno. Allora pensò che si trattasse di una croce e disse: -E' stato bello da parte vostra avermi almeno legato sotto una croce: Dio è con me- e incominciò a pregare. Quando stava per imbrunire, udì un frullar d'ali: erano tre cornacchie che si posarono sulla forca. Ne udì una che diceva: -Sorelle, che novità ci portate? Ah, se la gente sapesse quello che sappiamo noi! La principessa è malata, e il vecchio re l'ha promessa in isposa a colui che la guarisce. Ma questo non lo può nessuno poiché‚ la principessa ridiventerà sana solo se il rospo che si trova nello stagno verrà ridotto in cenere ed ella la berrà-. La seconda cornacchia disse: -Ah, se la gente sapesse quello che sappiamo noi! Questa notte verrà dal cielo una rugiada salutare e portentosa, e chi è cieco e si strofina gli occhi con essa, riacquista la vista-. La terza disse: -Ah, se la gente sapesse quello che sappiamo noi! Il rospo può essere di aiuto a una sola persona e anche la rugiada è rimedio per pochi, ma in città c'è grande pericolo: tutti i pozzi sono prosciugati e nessuno sa che se si toglie la grossa pietra quadrata che si trova sulla piazza del mercato, e vi si scava sotto, ne sgorgherà dell'ottima acqua-. Quando le cornacchie ebbero pronunciato queste parole, egli le udì volar via con un frullar d'ali. Piano piano si liberò dalle corde, poi si chinò, raccolse qualche erbetta e si strofinò gli occhi con la rugiada che vi era caduta sopra. Subito tornò a vederci, e siccome in cielo c'erano la luna e le stelle, vide che si trovava presso la forca. Cercò allora un vaso di terracotta e raccolse quanto più pot‚ della preziosa rugiada; poi andò allo stagno, rimosse un po' l'acqua, tirò fuori il rospo e, dopo averlo ridotto in cenere, si recò alla corte del re. Là fece bere la cenere alla principessa, e quand'ella guarì la domandò in moglie, come era stato promesso. Ma siccome era vestito miseramente, egli non piacque al re, sicché‚ questi fece sapere che colui che volesse avere sua figlia in isposa doveva prima procurare acqua alla città; così credeva di essersi liberato di lui. Ma egli andò alla piazza del mercato e disse alla gente di sollevare la pietra quadrata e di cercare l'acqua scavandovi sotto. Così fecero e presto trovarono una bella sorgente che dava acqua in abbondanza. Il re non pot‚ più rifiutargli la figlia, ed essi si sposarono e vissero insieme felici. Un giorno, mentre se ne andava a passeggio per i campi, incontrò i due camerati di un tempo che erano stati tanto sleali con lui. Essi non lo riconobbero, mentre egli li identificò subito, andò da loro e disse: -Vedete, sono il vostro camerata di un tempo, al quale avete cavato gli occhi in modo così infame; ma il buon Dio, per fortuna, me li ha fatti ricrescere-. Allora essi si prostrarono ai suoi piedi e chiesero grazia; e siccome egli era di buon cuore, ne ebbe pietà, li prese con s‚ e diede loro vestiti e nutrimento. Indi raccontò come gli erano andate le cose e come fosse arrivato a tanta fortuna. Appresa ogni cosa, gli altri due non si davano pace e vollero anch'essi trascorrere una notte sotto la forca per vedere se sentivano qualcosa di interessante. Quando si trovarono sotto al patibolo, udirono un frullar d'ali sopra le loro teste: erano le tre cornacchie. La prima disse alle altre: -Ascoltate, sorelle, deve averci ascoltate qualcuno, poiché‚ la principessa è guarita, il rospo è sparito dallo stagno, un cieco è tornato a vederci e in città hanno scavato di fresco un pozzo; venite e cerchiamo, forse troveremo colui che ci ha ascoltate!-. Le tre cornacchie scesero a volo e trovarono i due soldati; prima che questi potessero difendersi, si posarono sulle loro teste e cavarono loro gli occhi a forza di beccate, poi continuarono a beccarli finché‚ li uccisero. Così i due rimasero distesi sotto la forca. Non vedendoli tornare da due giorni, il loro vecchio camerata si chiese dove fossero andati a finire e si mise a cercarli. Ma non trovò altro che le loro ossa, le portò via dalla forca e le mise in una fossa.Questo episodio è offerto da Podbean.com.

Tuesday Aug 13, 2024
Tuesday Aug 13, 2024
Tre garzoni servivano in un mulino dove viveva un vecchio mugnaio senza moglie e senza figli. Dopo aver trascorso alcuni anni insieme, un giorno il mugnaio disse: -Andate, e chi mi porterà a casa il miglior cavallo avrà il mulino-. Il terzo garzone era un servitorello che gli altri ritenevano uno sciocco e non volevano che avesse il mulino; del resto egli stesso non lo desiderava. Partirono tutti e tre insieme e, quando furono fuori dal villaggio, gli altri due dissero a quello sciocco di Gianni: -Puoi anche rimanere qui, tanto in vita tua non troverai mai un cavallo-. Ma Gianni andò lo stesso con loro e, quando fu notte, giunsero a una grotta dove si coricarono per dormire. I due furbi aspettarono che Gianni si fosse addormentato, poi uscirono dalla grotta e scapparono lasciando Gianni da solo, e pensavano di esser stati astuti: sì, ma vi andrà male! Quando sorse il sole e Gianni si svegliò, si trovò in fondo a una grotta; si guardò attorno ed esclamò: -Ah, Dio! Dove sono mai!-. Si alzò, risalì la grotta, andò nel bosco e pensò: "Come farò mai a trovare un cavallo!." Mentre se ne andava così, assorto nei suoi pensieri, incontrò una gattina pezzata che disse: -Dove vai, Gianni?-. -Ah, tu non puoi proprio aiutarmi!- rispose. -So bene quello che vuoi- disse la gattina -vuoi un bel cavallo. Vieni con me; se mi servirai per sette anni, te ne darò uno, più bello di quanti tu ne abbia mai visti in vita tua.- Così la gatta lo condusse nel suo piccolo castello incantato, dove egli doveva servirla e spaccare la legna tutti i giorni: per questo gli fu data un'ascia d'argento, cunei e sega d'argento e la mazza era di rame. E così spaccava la legna e se ne stava in casa, gli davano da mangiare e da bere, ma non vedeva nessuno all'infuori della gatta pezzata. Una volta ella gli disse: -Va' a falciare il mio prato e fai seccare l'erba- e gli diede una falce d'argento e una pietra per affilarla che era d'oro, e gli ordinò di consegnare tutto per bene. Gianni andò e fece come gli era stato ordinato; quand'ebbe finito riportò a casa la falce, la cote e il fieno, domandò se non credeva che fosse ormai giunto il tempo di dargli il suo compenso. -No- rispose la gatta -prima devi farmi un'altra cosa: qui c'è della legna d'argento, un'ascia, una squadra e ciò che occorre, tutto d'argento: costruiscimi una piccola casetta.- Allora Gianni costruì la casetta, poi disse che aveva fatto tutto ma non aveva ancora il cavallo. I sette anni erano trascorsi come se fossero stati sei mesi. La gatta gli chiese se voleva vedere i suoi cavalli. -Sì- rispose Gianni. Allora aprì la casetta e come dischiuse la porta, ecco là dodici cavalli dall'aspetto superbo. Erano lustri come specchi e il cuore del giovane gli balzò in petto dalla gioia. Poi la gatta gli diede da mangiare e da bere e disse: -Va' pure a casa, il cavallo per adesso non te lo do; fra tre giorni vengo io a portartelo-. Così Gianni andò a casa ed ella gli mostrò la strada per il mulino. Ma la gatta non gli aveva dato neppure un vestito nuovo, ed egli dovette tenersi il vecchio camiciotto cencioso, che aveva portato con s‚ e che gli era diventato troppo corto in quei sette anni. Quando giunse a casa, erano ritornati anche gli altri due garzoni; tutti e due avevano portato un cavallo, ma uno era cieco e l'altro zoppo. Gli domandarono: -Gianni, dov'è il tuo cavallo?-. -Arriverà fra tre giorni.- Si misero a ridere e dissero: -Sì, dove vuoi trovarlo tu un cavallo, Gianni! Chissà che bella roba!-. Gianni entrò nella stanza, ma il mugnaio gli disse che non poteva sedersi a tavola: era troppo cencioso e lacero, c'era da vergognarsi se entrava qualcuno. Così gli diedero due bocconi di cibo e lo fecero andare fuori a mangiarseli; e la sera, quando andarono a dormire, gli altri due non vollero dargli un letto, ed egli finì coll'andare nella stia delle oche e coricarsi su di un po' di paglia. La mattina dopo, quando si sveglia, sono già trascorsi i tre giorni, e arriva una carrozza trainata da sei cavalli, ah, così lucidi che era uno splendore! e un servo ne conduceva un settimo, per il povero garzone. Ma dalla carrozza scese una splendida principessa che entrò nel mulino: era la piccola gattina pezzata, che il povero Gianni aveva servito per sette anni. Domandò al mugnaio dove fosse il garzone, il servitorello. Il mugnaio rispose: -Non possiamo più lasciarlo venire al mulino, è troppo cencioso; è nella stia delle oche-. Allora la principessa disse di andare subito a chiamarlo. Così fecero, ed egli dovette tenere insieme i brandelli del suo camiciotto per coprirsi. Allora il servo tirò fuori degli abiti sfarzosi, e dovette lavarlo e vestirlo; e quando fu in ordine, nessun re poteva sembrare più bello. Poi la fanciulla volle vedere i cavalli che avevano portato gli altri due garzoni: uno era cieco e l'altro zoppo. Allora ella ordinò al servo di portare il settimo cavallo, e quando il mugnaio lo vide, disse che nel suo cortile non ve n'era mai stato uno simile. -Questo è per il terzo garzone- diss'ella. -Allora avrà il mulino- disse il mugnaio, ma la principessa rispose che lì c'era il cavallo e che poteva tenersi anche il mulino; poi prende il suo fedele Giovanni, lo fa sedere nella carrozza e se ne va con lui. Vanno nella casetta ch'egli ha costruito con gli arnesi d'argento: è un grande castello e tutto dentro è fatto d'oro e d'argento. Là si sposarono, ed egli fu ricco, così ricco che non gli mancò mai nulla per tutta la vita. Perciò nessuno deve dire che uno sciocco non può fare fortuna.Questo episodio è offerto da Podbean.com.

Tuesday Aug 13, 2024
Tuesday Aug 13, 2024
1.
Un bambino sedeva per terra davanti alla porta di casa e aveva accanto a s‚ una scodellina di latte e pezzi di pane, e mangiava. In quella arrivò una serpe strisciando, ficcò la sua testolina nella scodella e mangiò con lui. Il giorno dopo tornò ancora e così ogni giorno per un certo periodo di tempo. Il bambino la lasciava fare, ma vedendo che la serpe beveva sempre solo il latte e non toccava i pezzetti di pane, prese il suo cucchiaino, la batté‚ un poco sul capo e disse: -Su, mangia anche il pane!-. In quel periodo il bambino era diventato bello ed era cresciuto. Un giorno la madre se ne stava dietro di lui e, vedendo la serpe, corse fuori e l'ammazzò. Da quel momento il bambino incominciò a dimagrire e infine morì.
2.
Un'orfanella sedeva presso il muro di cinta e filava, quando vide venire una serpe. Allora stese accanto a s‚ uno scialle di seta azzurra; piace tanto alle serpi e non vanno che su quello. Appena la serpe lo vide, tornò indietro, riapparve portando una piccola coroncina d'oro; la mise sullo scialle e se ne andò. La fanciulla prese la corona, che brillava ed era di sottile filigrana d'oro. Poco dopo la serpe tornò per la seconda volta, ma non vedendo più la corona, strisciò fino al muro e per il dolore vi picchiò contro la testina finché‚ ne ebbe la forza, e poi giacque morta. Se la fanciulla avesse lasciato stare la corona, la serpe avrebbe portato fuori dalla tana anche altri tesori.
3.
La serpe grida: -Uuh, uuh!-. Il bimbo dice: -Vieni fuori!-. La serpe esce e il bimbo chiede notizie della sorellina: -Non hai visto delle calzette rosse?-. La serpe risponde: -No, non le ho viste; e tu? Uuh, uuh!-.Questo episodio è offerto da Podbean.com.

Tuesday Aug 13, 2024
Tuesday Aug 13, 2024
C'era una volta un uomo che aveva poco denaro, e con quel poco che gli rimaneva se ne andò in giro per il mondo. Giunse in un villaggio dove i fanciulli correvano tutti insieme, gridando e facendo chiasso. -Che cosa state facendo, ragazzi?- domandò l'uomo. -Abbiamo preso un topo- risposero quelli. -Ora lo facciamo ballare, guardate che divertimento! Come saltella!- Ma all'uomo il povero animaletto faceva pena, perciò disse: -Lasciate andare il topo, ragazzi, in cambio vi darò del denaro-. Egli diede loro dei soldi e quelli liberarono il topo che corse, più in fretta che pot‚, a rifugiarsi in un buco. L'uomo proseguì il suo cammino e giunse in un altro villaggio dove dei ragazzi avevano preso una scimmia e la costringevano a ballare e a fare capriole; ridevano e non davano pace all'animale. Anche a essi l'uomo diede del denaro perché‚ liberassero la scimmia. Infine egli giunse in un terzo villaggio dove dei ragazzi facevano ballare un orso e, quando l'animale brontolava, essi si divertivano ancora di più. Anche questa volta l'uomo lo fece liberare e l'orso, felice di potersene andare, trotterellò via. Ma l'uomo aveva ormai speso tutto quel poco denaro che gli restava e non aveva più un centesimo in tasca. Allora disse fra s‚: -Il re ha tanto denaro che non usa nella sua camera del tesoro; non puoi morire di fame, perciò ne prenderai un po' del suo e quando ne guadagnerai dell'altro, lo rimetterai a posto-. Si introdusse allora nella camera del tesoro e prese un po' di denaro, ma nell'uscire fu sorpreso dai fedeli del re che lo accusarono di essere un ladro e lo condussero davanti alla corte. Così fu condannato a essere rinchiuso in una cassa che doveva essere gettata in mare. Il coperchio della cassa era pieno di buchi perché‚ potesse entrarvi aria, e gli diedero pure una brocca d'acqua e una forma di pane. Mentre navigava sull'acqua, pieno di paura, udì la serratura cigolare, stridere e scricchiolare; di colpo la serratura cedette, il coperchio si sollevò, ed ecco apparire il topo, la scimmia e l'orso: erano stati loro ad aprire la cassa, volevano soccorrerlo poiché‚ li aveva aiutati. Ora però non sapevano che cosa fare e si consigliarono l'un l'altro. In quella arrivò galleggiando sull'acqua una pietra bianca che sembrava un uovo rotondo. Allora l'orso disse: -Viene proprio a proposito: è una pietra magica, colui al quale appartiene può desiderare qualsiasi cosa-. Allora l'uomo afferrò la pietra e quando l'ebbe in mano desiderò un castello con giardino e scuderia e, non appena ebbe formulato il desiderio, subito si trovò nel castello con giardino e scuderia, e ogni cosa era così splendida che non finiva più di meravigliarsi. Dopo qualche tempo, passarono di lì dei mercanti. -Guardate un po'- esclamarono -che splendido castello; l'ultima volta che siamo passati per di qua c'era soltanto della sabbia.- Siccome erano curiosi, entrarono e chiesero all'uomo come avesse fatto a costruire tutto così in fretta. Egli rispose: -Non è stata opera mia, ma della mia pietra magica-. -Di che pietra si tratta?- domandarono quelli. Allora egli andò a prenderla e la mostrò ai mercanti. Questi avrebbero desiderato molto averla, e domandarono se non potevano acquistarla, e gli offrirono in cambio tutte le loro merci pregiate. L'uomo si fece sedurre dalla bellezza di quelle cose e, siccome il cuore umano è incostante, pensò che le merci pregiate valessero di più della sua pietra magica, sicché‚ la diede loro. Ma non appena l'ebbe consegnata, cessò anche la sua fortuna, ed egli si ritrovò sul fiume nella cassa chiusa con una brocca d'acqua e una forma di pane. I fedeli animali, il topo, la scimmia e l'orso, vedendo la sua disgrazia vennero di nuovo in suo soccorso, ma non poterono neppure aprire la serratura, poiché‚ era molto più solida della prima volta. Allora l'orso disse: -Dobbiamo riuscire a recuperare la pietra magica, o tutto è perduto-. Dato che i mercanti vivevano ancora nel castello, gli animali vi si recarono insieme e, quando giunsero nelle vicinanze, l'orso disse: -Tu, topo, vai e guarda attraverso il buco della serratura quello che si può fare; sei piccolo e nessuno ti noterà-.Il topo era d'accordo, ma ben presto tornò e disse: -Niente da fare: ho guardato dentro, ma la pietra è appesa a una cordicella rossa sotto uno specchio e d'ambo le parti ci sono due grossi gatti con occhi di fuoco che la sorvegliano-. Allora gli altri dissero: -Vai di nuovo dentro e aspetta che il padrone sia a letto e dorma poi, passando da un buco, introduciti nel suo letto, pizzicagli il naso e strappagli i capelli-. Il topo andò di nuovo dentro e fece come gli altri gli avevano detto. Il padrone si svegliò, si fregò il naso, stizzito, e disse: -I gatti non combinano nulla; lasciano che i topi mi strappino i capelli!-. E li cacciò via tutti e due, sicché‚ il topo l'ebbe vinta. La notte seguente, quando il padrone si fu addormentato di nuovo, il topo si introdusse nel castello e rosicchiò la cordicella rossa alla quale era appesa la pietra, finché‚ non la divise a metà e la pietra cadde a terra; poi la trascinò fin sulla porta.Ma ecco che il compito si fece difficile per il povero piccolo topo, sicché‚ disse alla scimmia, che già era all'erta: -Prendila tu la pietra con le tue zampe, e portala fuori!-. La cosa era facile per la scimmia; così prese la pietra e insieme al topo arrivò fino al fiume. Giunti là, la scimmia disse: -Come facciamo adesso a raggiungere la cassa?-. L'orso rispose: -E' presto fatto: io vado in acqua e nuoto; tu, scimmia, siediti sulla mia schiena, aggrappati forte con le zampe e prendi la pietra in bocca; tu, topolino, ti puoi mettere nel mio orecchio destro-. Così fecero e scesero sul fiume a nuoto. Dopo un po', non sentendo più parlare, l'orso incominciò a chiacchierare e disse: -Senti un po', scimmia, non siamo forse dei bravi camerati?-. Ma la scimmia non rispondeva e continuava a tacere. -Ehi!- esclamò l'orso -non vuoi rispondermi? Chi non risponde è un cattivo compagno!- All'udire queste parole, la scimmia aprì la bocca, la pietra cadde in acqua ed ella disse: -Non potevo rispondere, avevo la pietra in bocca! Adesso è andata a fondo e la colpa è tua!-. -Sta' tranquilla- disse l'orso -troveremo una soluzione.- Allora si consultarono e decisero di chiamare le rane, i rospi e tutti gli insetti che vivono in acqua; dissero loro: -Sta sopraggiungendo un terribile nemico; procurateci tante pietre: vi costruiremo una muraglia e vi difenderemo-. Gli animali si spaventarono e portarono pietre da ogni dove; finalmente venne su dal fondo un vecchio rospo grasso con in bocca la pietra magica dalla cordicella rossa. Vedendola, l'orso disse tutto contento: -Ecco ciò che volevamo-. Tolse la pietra al rospo, disse agli animali che era tutto a posto e prese congedo. Poi i tre raggiunsero l'uomo nella cassa e aprirono il coperchio aiutandosi con la pietra. Erano arrivati giusto in tempo, perché‚ egli aveva già mangiato il pane e bevuto l'acqua ed era mezzo morto. Ma come ebbe in mano la pietra, egli desiderò di essere nuovamente fresco e sano nel suo bel castello con giardino e scuderia. Là visse felice e i tre animali rimasero con lui e se la passarono bene per tutta la vita.Questo episodio è offerto da Podbean.com.

Tuesday Aug 13, 2024
Tuesday Aug 13, 2024
C'era una volta una povera fanciulla pia, che viveva sola con sua madre; e non avevano più nulla da mangiare. Allora la fanciulla andò nel bosco e incontrò una vecchia che già conosceva la sua povertà, e che le regalò un pentolino. Doveva dirgli: -Cuoci la pappa, pentolino!- e il pentolino cuoceva una buona pappa dolce di miglio; e quando diceva: -Fermati, pentolino!- il pentolino smetteva di cuocere. La fanciulla lo portò a casa a sua madre: la loro miseria e la loro fame erano ormai finite, ed esse mangiavano pappa dolce ogni volta che volevano. Un giorno che la fanciulla era uscita, la madre disse: -Cuoci la pappa, pentolino!-. Quello fa la pappa ed ella mangia a sazietà; ora vuole che il pentolino la smetta, ma non sa la parola magica. Così quello continua a cuocere la pappa, e la pappa trabocca e cresce e riempie la cucina e l'intera casa, e l'altra casa ancora e poi la strada, come se volesse saziare tutto il mondo, ed è un bel guaio e nessuno sa come cavarsela. Infine, quando non restava una sola casa intatta, ritorna a casa la fanciulla e dice: -Fermati, pentolino!- e il pentolino si ferma e smette di fare la pappa; e chi volle tornare in città, dovette farsi strada mangiando.Questo episodio è offerto da Podbean.com.

Tuesday Aug 13, 2024
Tuesday Aug 13, 2024
Una volta, d'estate, l'orso e il lupo se ne andavano insieme a spasso nel bosco; l'orso udì un dolce canto d'uccello e disse -Fratello lupo, che uccello è questo che canta così bene?-. -E' il re degli uccelli- rispose il lupo -dobbiamo inchinarci davanti a lui.- E invece era il re di macchia. -Se è così- disse l'orso -mi piacerebbe anche vedere la sua reggia: vieni, conducimi da lui.- -Non è così facile come credi- disse il lupo. -Devi aspettare che torni Sua Maestà la regina.- Poco dopo giunse Sua Maestà la regina con un po' di cibo nel becco, e così pure Sua Maestà il re; e volevano imbeccare i loro piccoli. L'orso avrebbe voluto seguirli subito, ma il lupo lo trattenne per la manica e disse: -No, prima devi aspettare che il re e la regina se ne siano andati-. Così guardarono bene dove si trovava il nido e se ne andarono. Ma l'orso non aveva pace, voleva vedere la reggia, e poco dopo tornò là davanti. Il re e la regina erano volati via: egli guardò dentro e vide cinque o sei piccoli nel nido -Sarebbe questa la reggia?- disse l'orso. -E' un palazzo ben misero! E anche voi non siete principini, ma gentaglia!- All'udire queste parole, gli scriccioletti andarono su tutte le furie e gridarono: -No, questo non è vero, i nostri genitori sono gente onorata. Orso, questa ce la pagherai!-. Il lupo e l'orso si spaventarono, e scapparono a rifugiarsi nelle loro tane. Ma i piccoli scriccioletti continuarono a gridare e a strepitare, e quando i genitori ritornarono con il cibo dissero: -Non toccheremo neanche una zampetta di mosca, a costo di morir di fame, se prima non mettete in chiaro se siamo o no gente onorata: è venuto l'orso e ci ha insultati-. Allora il vecchio re disse -State tranquilli, tutto sarà chiarito-. Poi volò con Sua Maestà la regina davanti alla tana dell'orso e gridò: -Orso brontolone, hai insultato i nostri piccoli: peggio per te, risolveremo la cosa in una guerra sanguinosa-. Così dichiararono guerra all'orso e furono chiamati a raccolta tutti i quadrupedi: il bue, l'asino, il toro, il cervo, il capriolo e tutte le bestie che vi sono sulla terra. Il re di macchia, invece, radunò tutte quelle che volano, non solo gli uccelli grandi e piccoli, ma anche le zanzare, i calabroni, le api e le mosche. Quando venne il momento di incominciare la guerra, il re di macchia inviò delle spie per sapere chi fosse il comandante in capo del nemico. La zanzara fu più furba di tutti, vagò per il bosco dove si radunava il nemico e andò infine a posarsi sotto una foglia dell'albero dove si dava la parola d'ordine. C'era l'orso che chiamò la volpe e disse: -Volpe, tu sei il più astuto degli animali, devi essere generale e guidarci; quali segnali adopereremo?-. La volpe rispose: -Io ho una bella coda lunga e folta che sembra quasi un pennacchio rosso: se la tengo diritta, le cose vanno bene, e voi dovete andare all'assalto; se invece la lascio pendere, scappate via in fretta-. Dopo aver sentito questo, la zanzara volò via e riferì tutto per filo e per segno al re di macchia. Quando giunse il giorno in cui si doveva dare battaglia, olà, i quadrupedi arrivarono di carriera facendo tanto rumore che la terra tremava; anche il re di macchia giunse a volo con la sua armata che ronzava, strillava e svolazzava da far paura. Così mossero gli uni contro gli altri. Ma il re di macchia mandò giù il calabrone, che doveva posarsi sotto la coda della volpe e pungerla a più non posso. Alla prima puntura, la volpe saltò su e alzò una gamba, ma sopportò e tenne la coda diritta; alla seconda dovette abbassarla per un momento; ma alla terza non pot‚ più trattenersi, mandò un grido e si prese la coda fra le gambe. A quella vista, gli animali credettero che tutto fosse perduto e si misero a correre, ognuno nella sua tana. Così gli uccelli vinsero la battaglia. Allora il re e la regina volarono dai loro piccoli e gridarono: -Allegri piccini, mangiate e bevete a volontà: abbiamo vinto la guerra!-. Ma i piccoli scriccioletti dissero: -Non mangiamo ancora: prima l'orso deve venire davanti al nido a scusarsi e dire che siamo figli di gente onorata-. Allora il re di macchia volò alla tana dell'orso e gridò: -Orso brontolone, devi andare al nido dai miei piccini a chiedere perdono, e devi dire che sono figli di gente onorata, altrimenti ti romperemo le costole-. L orso, pieno di paura, andò a chieder perdono. Allora finalmente i piccoli scriccioletti si sedettero tutti insieme, mangiarono, bevvero e se la spassarono fino a tarda notte.Questo episodio è offerto da Podbean.com.